Adelchi (1881)/Atto terzo

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ATTO TERZO





SCENA PRIMA


Campo de’ Longobardi. Piazza dinanzi alla tenda di Adelchi.


ADELCHI, ANFRIDO.


                       anfrido.
                  (che sopraggiunge)
Signor!

                       adelchi.
               Diletto Anfrido; ebben, che fanno
Codesti Franchi? non dan segno ancora
Le tende al tutto di levar?

                       anfrido.
                                    Nessuno
Finora: immoti tuttavia si stanno,
Quali sull’alba li vedesti, quali
Son da tre dì, poi che le prime schiere
Cominciar la ritratta. Una gran parte
Scorsi del vallo, esaminando; ascesi
Una torre, e guatai: stretti li vidi
In ordinanza, folti, all’erta, in atto
Di chi assalir non pensa, ed in sospetto
Sta d’un assalto; e più si guarda, quanto
Più scemato è di forze; e senza offesa
Ritrarsi agogna, ed il momento aspetta.

                       adelchi.
E lo potrà, pur troppo! Ei parte, il vile
Offensor d’Ermengarda, ei che giurava
Di spegner la mia casa; ed io non posso
Spingergli addosso il mio destrier, tenerlo,
Dibattermi con esso, e riposarmi
Sull’armi sue! Nol posso! In campo aperto
Stargli a fronte, non posso! in queste Chiuse,
La fè de’ pochi che a guardarle io scelsi,
Il cor di quelli ch’io prendea tra i pochi,
Compagni alle sortite, alla salvezza

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Potè bastar d’un regno: i traditori
Stetter lontani dalla pugna, inerti,
Ma contenuti. In campo aperto, al Franco
Abbandonato da costor sarei,
Solo coi pochi. Oh vil trionfo! Il messo
Che mi dirà: Carlo è partito, un lieto
Annunzio mi darà: gioia mi fia
Che lunge ei sia dalla mia spada!

                       anfrido.
                                             O dolce
Signor, ti basti questa gloria. Come
Un vincitor sopra la preda, ei scese
Su questo regno, e vinto or torna: ei vinto
Si confessò quando implorò la pace,
Quando il prezzo ne offerse; e tu sei quello
Che l’hai rispinto. Il padre tuo n’esulta;
Tutto il campo il confessa; i fidi tuoi
Alteri van della tua gloria, alteri
Di dividerla teco: e quei codardi
Che a non amarti si dannar, temerti
Dovranno or più che mai.

                       adelchi.
                                    La gloria? il mio
Destino è d’agognarla, e di morire
Senza averla gustata. Ah no! codesta
Non è ancor gloria, Anfrido. Il mio nemico
Parte impunito; a nuove imprese ei corre;
Vinto in un lato, ei di vittoria altrove
Andar può in cerca; ei che su un popol regna
D’un sol voler, saldo, gittato in uno,
Siccome il ferro del suo brando; e in pugno
Come il brando lo tiensi. Ed io sull’empio
Che m’offese nel cor, che per ammenda
Il mio regno assalì, compier non posso
La mia vendetta! Un’altra impresa, Anfrido,
Che sempre increbbe al mio pensier, nè giusta
Nè gloriosa, si presenta; e questa
Certa ed agevol fia.

                       anfrido.
                          Torna agli antichi
Disegni il re?

                       adelchi.
                     Dubbiar ne puoi? Securo
Dalle minacce d’esti Franchi, incontro
L’apostolico sire il campo tosto
Ei moverà: noi guiderem sul Tebro

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Tutta Longobardia, pronta, concorde
Contro gl’inermi, e fida allor che a certa
E facil preda la conduci. Anfrido,
Qual guerra! e qual nemico! Ancor ruine
Sopra ruine ammucchierem: l’antica
Nostr’arte è questa: ne’ palagi il foco
Porremo e ne’ tuguri: uccisi i primi,
I signori del suolo, e quanti a caso
Nell’asce nostre ad inciampar verranno,
Fia servo il resto, e tra di noi diviso;
E ai più sleali e più temuti, il meglio
Toccherà della preda. - Oh! mi parea,
Pur mi parea che ad altro io fossi nato,
Che ad esser capo di ladron; che il cielo
Su questa terra altro da far mi desse
Che, senza rischio e senza onor, guastarla.
- O mio diletto! O de’ miei giorni primi,
De’ giochi miei, dell’armi poi, de’ rischi
Solo compagno e de’ piacer; fratello
Della mia scelta, innanzi a te soltanto
Tutto vola sui labbri il mio pensiero.
Il mio cor m’ange, Anfrido: ei mi comanda
Alte e nobili cose; e la fortuna
Mi condanna ad inique; e strascinato
Vo per la via ch’io non mi scelsi, oscura,
Senza scopo; e il mio cor s’inaridisce,
Come il germe caduto in rio terreno,
E balzato dal vento.

                       anfrido.
                          Alto infelice!
Reale amico! Il tuo fedel t’ammira,
E ti compiange. Toglierti la tua
Splendida cura non poss’io, ma posso
Teco sentirla almeno. Al cor d’Adelchi
Dir che d’omaggi, di potenza e d’oro
Sia contento, il poss’io? dargli la pace
De’ vili, il posso? e lo vorrei, potendo?
- Soffri e sii grande: il tuo destino è questo,
Finor: soffri, ma spera: il tuo gran corso
Comincia appena; e chi sa dir, quai tempi,
Quali opre il cielo ti prepara? Il cielo
Che re ti fece, ed un tal cor ti diede.

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SCENA II.


ADELCHI, DESIDERIO.

                   (ANFRIDO si ritira)

                       desiderio.
Figlio, a te, rege qual son io, m’è tolto
Esser largo d’onor: farti più grande
Nessun mortale il può; ma un premio io tengo
Caro alla tua pietà, la gioia e l’alte
Lodi d’un padre. Salvator d’un regno,
La tua gloria or comincia: altro più largo
E agevol campo le si schiude. I dubbi,
Ed il timor, che a’ miei disegni un giorno
Tu frapponevi, ecco, gli ha sciolti il tuo
Braccio; ogni scusa il tuo valor ti fura.
Dissipator di Francia! io ti saluto
Conquistator di Roma: al nobil serto
Che non intero mai passò sul capo
Di venti re, tu di tua man porrai
L’ultima fronda, e la più bella.

                       adelchi.
                                           A quale
Tu vogli impresa, il tuo guerriero, o padre,
Ubbidiente seguiratti.

                       desiderio.
                            E a tanto
Acquisto, o figlio, ubbidienza sola
Spinger ti può?

                       adelchi.
Questa è in mia mano; e intera
L’avrai, fin ch’io respiro.

                       desiderio.
                                    Ubbidiresti
Biasmando?

                       adelchi.
                    Ubbedirei.

                       desiderio.
                                Gloria e tormento
Della canizie mia, braccio del padre
Nella battaglia, e ne’ consigli inciampo!
Sempre così, sempre fia d’uopo a forza
Traggerti alla vittoria?

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SCENA III.


Uno SCUDIERO frettoloso e atterrito, e DETTI.


                      lo scudiero.
                              I Franchi! i Franchi!

                       desiderio.
Che dici, insano?

                    un altro scudiero.
                         I Franchi, o re.

                       desiderio.
                                           Che Franchi?
(la scena s’affolla di LONGOBARDI fuggitivi. Entra BAUDO)

                       adelchi.
Baudo, che fu?

                        baudo.
                      Morte e sventura! Il campo
È invaso e rotto d’ogni parte: al dorso
Piombano i Franchi ad assalirci.

                       desiderio.
                                             I Franchi!
Per qual via?

                        baudo.
                   Chi lo sa?

                       adelchi.
                                  Corriamo; ei fia
Un drappello sbandato.
                    (in atto di partire)

                        baudo.
                                 Un’oste intera:
Gli sbandati siam noi: tutto è perduto.

                       desiderio.
Tutto è perduto?

                       adelchi.
                       Ebben, compagni, i Franchi?
Non siamo noi qui per essi? Andiam: che importa
Da che parte sian giunti? I nostri brandi,
Per riceverli, abbiamo. I brandi in pugno!
Ei gli han provati: è una battaglia ancora:
Non v’è sorpresa pel guerrier: tornate;
Via, Longobardi, indietro; ove correte,
Per Dio? La via che avete presa è infame:
Il nemico è di là. Seguite Adelchi.
                      (entra ANFRIDO)
Anfrido!

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                       anfrido.
                O re, son teco.

                       adelchi.
                      (avviandosi)
                                  O padre; accorri.
Veglia alle Chiuse.
(parte seguito da ANFRIDO, da BAUDO e da alcuni LONGOBARDI.)

                       desiderio.
         (ai fuggitivi che attraversano la scena)
                         Sciagurati! almeno
Alle Chiuse con me: se tanto a core
Vi sta la vita, ivi son torri e mura
Da porla in salvo.
(sopraggiungono soldati fuggitivi dalla parte opposta a quella)
              da cui è partito ADELCHI)

                  un soldato fuggitivo.
                           O re, tu qui? Deh! fuggi.
                    (attraversa le scene)

                       desiderio.
Infame! al re questo consiglio? E voi,
Da chi fuggite? In abbandon le Chiuse
Voi lasciate così? Che fu? Viltade
V’ha tolto il senno.
(i SOLDATI continuano a fuggire. DESIDERIO appunta la spada
           al petto d’uno di essi, e lo ferma.)
                           Senza cor, se il ferro
Fuggir ti fa, questo è pur ferro, e uccide
Come quello de’ Franchi. Al re favella:
Perché fuggite dalle Chiuse?

                       soldati.
                                        I Franchi
Dall’altra parte hanno sorpreso il campo;
Gli abbiam veduti dalle torri. I nostri
Son dispersi.

                       desiderio.
                   Tu menti. Il figliuol mio
Gli ha radunati, e li conduce incontro
A que’ pochi nemici. Indietro!

                       soldati.
                                        O sire,
Non è più tempo: e’ non son pochi; e’ giungono;
Scampo non v’è: schierati ei sono; e i nostri
Chi qua, chi là, senz’arme, in fuga: Adelchi
Non li raduna: siam traditi.

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                       desiderio.
                (ai fuggitivi che s’affollano)

                                        Oh vili!
Alle Chiuse salviamci; ivi a difesa
Restar si può.

                      un soldato.
                     Sono deserte: i Franchi
Le passeranno; e noi siam posti intanto
Tra due nemici: un piccol varco appena
Resta alla fuga: or or fia chiuso.

                       desiderio.
                                               Ebbene;
Moriam qui da guerrier.

                    un altro soldato.
                                Siamo traditi;
Siam venduti al macello.

                    un altro soldato.
                                 In giusta guerra
Morir vogliam, come a guerrier conviensi,
Non isgozzati a tradimento.

                    altro soldato.
                                 I Franchi!

                    molti soldati.
Fuggiamo!

                       desiderio.
                  Ebben, correte; anch’io con voi
Fuggo: è destin di chi comanda ai tristi.
                   (s’avvia coi fuggitivi)



SCENA IV.


Parte del campo abbandonato da’ Longobardi, sotto alle Chiuse.

CARLO circondato da CONTI FRANCHI, SVARTO.


                        carlo.
Ecco varcate queste Chiuse. A Dio
Tutto l’onor. Terra d’Italia, io pianto
Nel tuo sen questa lancia, e ti conquisto.
È una vittoria senza pugna. Eccardo
Tutto ha già fatto.
                    (a uno de’ CONTI)
                       Su quel colle ascendi,
Guarda se vedi la sua schiera, e tosto
Vieni a darmene avviso.
                    (il CONTE parte)

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SCENA V.


RUTLANDO e DETTI.


                        carlo.
                             E che? Rutlando,
Tu riedi dal conflitto?

                       rutlando.
                          O re, ti chiamo
In testimonio, e voi Conti, che in questo
Vil giorno il brando io non cavai: ferisca
Oggi chi vuol: gregge atterrito e sperso,
Io non l’inseguo.

                        carlo.
                        E non trovasti alcuno
Che mostrasse la fronte?

                       rutlando.
                                 Incontro io vidi
Un drappello venirmi, ed alla testa
Più duchi avea: sopra lor corsi; e quelli
Calar tosto i vessilli, e fecer segni
Di pace, e amici si gridaro. - Amici?
Noi l’eravam più assai, quando alle Chiuse
Ci scontravam - Chiesero il re; le spalle
Lor volsi; or li vedrai. No: s’io sapea
A qual nemico si venia, per certo
Mosso di Francia non sarei.

                        carlo.
                                      T’accheta,
Prode tra’ prodi miei. Bello è d’un regno,
Sia comunque, l’acquisto; in lungo, il vedi,
Non andrà questo; e non temer che manchi
Da far: Sassonia non è vinta ancora.
         (entra il CONTE spedito da CARLO)

                        conte.
                        (a CARLO)

Eccardo è in campo, e verso noi s’avanza;
Ei procede in battaglia: i Longobardi,
Tra il nostro campo e il suo, sfilati, in folla,
Sfuggono a destra ed a sinistra: il piano,
Che da lui ci divide, or or fia sgombro.

                        carlo.
Esser dovea così.

                        conte.
                       Vidi un drappello,

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Che s’arrendette ai nostri; e a questa volta
Venia correndo.

                    un altro conte.
                       È qui.

                        carlo.
                              Svarto, son quelli
Che m’annunziasti?

                        svarto.
                          Il son. - Compagni!



SCENA VI.


ILDECHI, ed altri DUCHI, GIUDICI, SOLDATI longobardi,

e DETTI.


                       ildechi.
                                              O Svarto,
Il re!

                        carlo.
       Son desso.

                       ildechi.
(s’inginocchia e mette le sue mani tra quelle di CARLO)
                      O re de’ Franchi e nostro!
Nella tua man vittoriosa accogli
La nostra man devota, e dalla bocca
De’ Longobardi tuoi l’omaggio accetta,
A te promess’o da gran tempo.

                        carlo.
                                         Svarto,
Conte di Susa....

                       svarto.
                       O re, qual grazia?...

                        carlo.
                                                Il nome
Dimmi di questi a me devoti.

                       svarto.
                                        Il duca
Di Trento Ildechi, di Cremona Ervigo,
Ermenegildo di Milano, Indolfo
Di Pisa, Vila di Piacenza: questi
Giudici son; questi guerrieri.

                        carlo.
                                        Alzatevi,

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Fedeli miei, giudici e duchi, ognuno
Nel grado suo, per ora. I primi istanti
Che di riposo avremo, io li destino
Al guiderdon de’ vostri merti: il tempo
Questo è d’oprar. Prodi Fedeli, ai vostri
Fratei tornate; dite lor, che ad una
Gente germana, di german guerrieri
Capo, guerra io non porto: una famiglia
Riprovata dal ciel, del solio indegna,
A balzarnela io venni. Al vostro regno
Non fia mutato altro che il re. Vedete
Quel sol? qualunque, in pria ch’ei scenda, omaggio
In mia mano a far venga, o de’ Fedeli
Franchi, o di voi, nel grado suo serbato,
Mio Fedel diverrà. Chi a me dinanzi
Tragga i due che fur regi, un premio aspetti
Pari all’opra.
               (i LONGOBARDI partono)

                        carlo.
               (a RUTLANDO in disparte)
               Rutlando, ho io chiamati
Prodi costor?

                       rutlando.
                     Pur troppo.

                        carlo.
                                    Errato ha il labbro
Del re. Questa parola ai Franchi miei
In guiderdon la serbo. Oh! possa ognuno
Dimenticar ch’io proferita or l’abbia.
                        (s’avvia).


SCENA VII.


ANFRIDO ferito, portato da due FRANCHI e DETTI.


                       rutlando.
Ecco un nemico. Ove si pugna?

                       un franco.
                                          Il solo
Che pugnasse, è costui.

                        carlo.
                              Solo?

                       il franco.
                                      Gran parte
Gettan l’arme, o si danno; in fuga a torme

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Altri ne van. Lento ritrarsi e solo
Costui vedemmo, che alle barde, all’armi,
Uom d’alto affar parea: quattro guerrieri
Da un drappel ci spiccammo, e a tutta briglia
Sull’orme sue, pei campi. Egli inseguito
Nulla affrettò della sua fuga; e quando
Sopra gli fummo, si rivolse. Arrenditi,
Gli gridiamo; ei ne affronta: al più vicino
Vibra l’asta, e lo abbatte: la ritira,
Prostra il secondo ancor: ma nello stesso
Ferir, percosso dalle nostre ei cadde.
Quando fu al suol, tese le mani in atto
Di supplicante, e ci pregò che, posto
Ogni rancor, sull’aste nostre ei fosse
Portato lungi dal tumulto, in loco
Dove in pace ei si muoia. Invitto sire,
Meglio da far quivi non c’era: al prego
Ci arrendemmo.

                        carlo.
                     E ben feste: a chi resiste
L’ire vostre serbate.
                        (a SVARTO)
                           Il riconosci?

                       svarto.
Anfrido egli è, scudier d’Adelchi.

                        carlo.
                                          Anfrido,
Tu solo andavi contro a lor?

                       anfrido.
                                       Bisogno
C’è di compagni per morir?

                        carlo.
                                      Rutlando,
Ecco un prode.
                      (ad ANFRIDO)

                     O guerrier, perchè gittavi
Una vita sì degna? e non sapevi
Che nostra divenia? che, a noi cedendo,
Guerrier restavi e non prigion di Carlo?

                       anfrido.
Io viver tuo guerrier, quand’io potea
Morir quello d’Adelchi? Al ciel diletto
È Adelchi, o re. Da questo giorno infame
Trarrallo il ciel, lo spero, e ad un migliore
Vorrà serbarlo; ma, se mai.... rammenta
Che, regnante o caduto, è tale Adelchi,

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Che chi l’offende, il Dio del cielo offende
Nella più pura immagin sua. Lo vinci
Tu di fortuna e di poter, ma d’alma
Nessun mortale: un che si muor tel dice.

                        carlo.
                       (ai CONTI)
Amar così deve un Fedel.
                      (ad ANFRIDO)
                                    Tu porti
Teco la nostra stima. È il re de’ Franchi
Che ti stringe la man, d’onore in segno,
E d’amistà. Nel suol de’ prodi, o prode,
Il tuo nome vivrà; le franche donne
L’udran dal nostro labbro, e il ridiranno
Con riverenza e con pietà: riposo
Ti pregheran. Fulrado, a questo pio
Presta gli estremi ufizi.
           (ai SOLDATI che rimangono)
                            In lui vedete
Un amico del re. Conti, ad Eccardo
Incontro andiam: nobil saluto ei merta.


SCENA VIII.


Bosco solitario.


DESIDERIO, VERMONDO, altri LONGOBARDI

fuggiaschi in disordine.


                       vermondo.
Siamo in salvo, o mio re: scendi, e su queste
Erbe l’antico e venerabil fianco
Riposa alquanto. O mio signor, ripiglia
Gli affaticati spirti. Assai dal campo
Siam lunge, e fuor di strada: al nostro orecchio
Lo scellerato mormorio non giunge.
Cinto non sei che di leali.

                       desiderio.
                                  E Adelchi?

                       vermondo.
Or or fia qui, lo spero; alla sua traccia
Più d’un fido inviai, che lo ritragga
Dall’empio rischio, a miglior pugna il serbi,
E a questa posta de’ leali il guidi.

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                       desiderio.
O mio Vermondo, il vecchio rege è stanco,
È stanco dalla fuga.

                       vermondo.
                         Ahi traditori!

                       desiderio.
Vili! Nel fango han trascinato i bianchi
Capelli del lor re; l’hanno costretto,
Come un vile, a fuggir. - Fuggire! e quinci
Non sorgerò che per fuggir di nuovo?
A che pro? dove? in traccia d’un sepolcro
Privo di gloria? - E comple? Io, per costoro,
Fuggir? Chi il regno mi rapì, mi tolga
La vita. Ebben! quand’io sarò sotterra,
Che mi farà codesto Carlo?

                       vermondo.
                                 O nostro
Re per sempre, fa cor: son molti i fidi;
La sorpresa gli ha spersi; a te d’intorno
Li chiamerà l’onor: ti restan tante
Città munite; e Adelchi vive, io spero.

                       desiderio.
Maledetto quel dì che sopra il monte
Alboino salì, che in giù rivolse
Lo sguardo, e disse: Questa terra è mia!
Una terra infedel, che sotto i piedi
De’ successori suoi doveva aprirsi,
Ed ingoiarli! Maledetto il giorno,
Che un popol vi guidò, che la dovea
Guardar così! che vi fondava un regno,
Che un’esecranda ora d’infamia ha spento!

                       vermondo.
Il re!

                       desiderio.
            Figlio, sei tu?

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SCENA IX.


ADELCHI e DETTI.


                       adelchi.
                            Padre, ti trovo!
                    (s’abbracciano)

                       desiderio.
S’io t’avessi ascoltato!

                       adelchi.
                              Oh! che rammenti?
Padre, tu vivi; un alto scopo ancora
È serbato a’ miei dì; spender li posso
In tua difesa. - O mio signor, la lena
Come ti regge?

                       desiderio.
                      Oh! per la prima volta
Sento degli anni e degli stenti il peso.
Di gravi io ne portai; ma allor non era
Per fuggire un nemico.

                       adelchi.
                     (ai LONGOBARDI)
                              Ecco, o guerrieri,
Il vostro re.

                     un longobardo.
                    Noi morirem per lui!

                    molti longobardi.
Tutti morrem!

                       adelchi.
                     Quand’è così, salvargli
Forse potrem più che la vita. - E a questa
Causa, or sì dubbia ma ognor sacra, afflitta
Ma non perduta, voi legate ancora
La vostra fede?

                    un longobardo.
                       A’ tuoi guerrieri, Adelchi,
Risparmia i giuri: ai longobardi labbri
Disdicon oggi, o re: somiglian troppo
Allo spergiuro. Opre ci chiedi: il solo
Segno de’ fidi è questo omai.

                       adelchi.
                                     V’ha dunque
De’ Longobardi ancora! - Ebben; corriamo
Sopra Pavia; fuggiam, salviam per ora
La nostra vita, ma per farla in tempo

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Cara costar; donarla al tradimento
Non è valor. Quanti potrem dispersi
Raccoglierem per via; misti con noi
Ritorneran soldati. Entro Pavia,
A riposo, a difesa, o padre, intanto
Restar potrai: cinta di mura intatte,
Ricca d’arme è Pavia: due volte Astolfo
Vi si chiuse fuggiasco, e re ne uscìo.
Io mi getto in Verona. O re, trascegli
L’uom che restar deva al tuo fianco.

                       desiderio.
                                             Il duca
D’Ivrea.

                       adelchi.
               (a GUNTIGI che s’avanza)
           Guntigi, io ti confido il padre.
Il duca di Verona ov’è?

                      giselberto.
                       (si avanza)
                                Tra i fidi.

                       adelchi.
Meco verrai: nosco trarrem Gerberga.
Triste colui che nella sua sventura
Gli sventurati obblia! Baudo, il tuo posto
Lo sai: chiuditi in Brescia; ivi difendi
Il tuo ducato, ed Ermengarda. - E voi,
Alachi, Ansuldo, Ibba, Cunberto, Ansprando,
              (li sceglie tra la folla)
Tornate al campo: oggi pur troppo ai Franchi
Ponno senza sospetto i Longobardi
Mischiarsi: esaminate; i duchi, i conti
Esplorate, e i guerrier: dai traditori
Discernete i sorpresi; e a quei che mesti
Vergognosi vedrete da codesto
Orrido sogno di viltà destarsi,
Dite ch’è tempo ancor, che i re son vivi,
Che si combatte, che una via rimane
Di morir senza infamia; e li guidate
Alle città munite. Ei diverranno
Invitti: il brando del guerrier pentito
È ritemprato a morte. Il tempo, i falli
Dell’inimico, il vostro cor, consigli
Inaspettati vi daranno. Il tempo
Porterà la salute; il regno è sperso
In questo dì, ma non distrutto!
        (partono gli indicati da ADELCHI.)

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                       desiderio.
                                           O figlio!
Tu m’hai renduto il mio vigor: partiamo.

                       adelchi.
Padre, io t’affido a questi prodi; or ora
Anch’io teco sarò.

                       desiderio.
                        Che attendi?

                       adelchi.
                                          Anfrido.
Ei dal mio fianco si disgiunse, e volle
Seguirmi da lontan; più presso al rischio
Star, per guardarmi: io non potei dal duro
Voler, da tanta fedeltà distorlo.
Seco indugiarmi, di tua vita in forse,
Io non potea: ma tu sei salvo, e quinci
Non partirò, fin ch’ei non giunga.

                       desiderio.
                                              E teco
Aspetterò.

                       adelchi.
                 Padre....
             (a un soldato che sopraggiunge)
                             Vedesti Anfrido?

                      il soldato.
Re, che mi chiedi?

                       adelchi.
                        O ciel! favella.

                      il soldato.
                                            Il vidi
Morto cader.

                       adelchi.
                    Giorno d’infamia e d’ira,
Tu se’ compiuto! O mio fratel, tu sei
Morto per me! tu combattesti!.... ed io....
Crudel! perché volesti ad un periglio
Solo andar senza me? Non eran questi
I nostri patti. Oh Dio!... Dio, che mi serbi
In vita ancor, che un gran dover mi lasci,
Dammi la forza per compirlo. — Andiamo.

[p. 58 modifica]

                      
                       
                       CORO.

   Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti,
Dai boschi, dall’arse fucine stridenti,
Dai solchi bagnati di servo sudor,
Un volgo disperso repente si desta;
Intende l’orecchio, solleva la testa
Percosso da novo crescente romor.
  
   Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
Qual raggio di sole da nuvoli folti,
Traluce de’ padri la fiera virtù:
Ne’ guardi, ne’ volti, confuso ed incerto
Si mesce e discorda lo spregio sofferto
Col misero orgoglio d’un tempo che fu.

   S’aduna voglioso, si sperde tremante,
Per torti sentieri, con passo vagante,
Fra tema e desire, s’avanza e ristà;
E adocchia e rimira scorata e confusa
De’ crudi signori la turba diffusa,
Che fugge dai brandi, che sosta non ha.

   Ansanti li vede, quai trepide fere,
Irsuti per tema le fulve criniere,
Le note latebre del covo cercar;
E quivi, deposta l’usata minaccia,
Le donne superbe, con pallida faccia,
I figli pensosi pensose guatar.

   E sopra i fuggenti, con avido brando,
Quai cani disciolti, correndo, frugando,
Da ritta, da manca, guerrieri venir:
Li vede, e rapito d’ignoto contento,
Con l’agile speme precorre l’evento,
E sogna la fine del duro servir.

   Udite! Quei forti che tengono il campo,
Che ai vostri tiranni precludon lo scampo,
Son giunti da lunge, per aspri sentier:
Sospeser le gioie dei pranzi festosi,
Assursero in fretta dai blandi riposi,
Chiamati repente da squillo guerrier.

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   Lasciar nelle sale del tetto natio
Le donne accorate, tornanti all’addio,
A preghi e consigli che il pianto troncò:
Han carca la fronte de’ pesti cimieri,
Han poste le selle sui bruni corsieri,
Volaron sul ponte che cupo sonò.

   A torme, di terra passarono in terra,
Cantando giulive canzoni di guerra,
Ma i dolci castelli pensando nel cor:
Per valli petrose, per balzi dirotti,
Vegliaron nell’arme le gelide notti,
Membrando i fidati colloqui d’amor.

   Gli oscuri perigli di stanze incresciose,
Per greppi senz’orma le corse affannose,
Il rigido impero, le fami durâr;
Si vider le lance calate sui petti,
A canto agli scudi, rasente agli elmetti,
Udiron le frecce fischiando volar.

   E il premio sperato, promesso a quei forti,
Sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,
D’un volgo straniero por fine al dolor?
Tornate alle vostre superbe ruine,
All’opere imbelli dell’arse officine,
Ai solchi bagnati di servo sudor.

   Il forte si mesce col vinto nemico,
Col novo signore rimane l’antico;
L’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D’un volgo disperso che nome non ha.


fine dell’atto terzo.