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atto terzo. 53

Che chi l’offende, il Dio del cielo offende
Nella più pura immagin sua. Lo vinci
Tu di fortuna e di poter, ma d’alma
Nessun mortale: un che si muor tel dice.

                        carlo.
                       (ai CONTI)
Amar così deve un Fedel.
                      (ad ANFRIDO)
                                    Tu porti
Teco la nostra stima. È il re de’ Franchi
Che ti stringe la man, d’onore in segno,
E d’amistà. Nel suol de’ prodi, o prode,
Il tuo nome vivrà; le franche donne
L’udran dal nostro labbro, e il ridiranno
Con riverenza e con pietà: riposo
Ti pregheran. Fulrado, a questo pio
Presta gli estremi ufizi.
           (ai SOLDATI che rimangono)
                            In lui vedete
Un amico del re. Conti, ad Eccardo
Incontro andiam: nobil saluto ei merta.


SCENA VIII.


Bosco solitario.


DESIDERIO, VERMONDO, altri LONGOBARDI

fuggiaschi in disordine.


                       vermondo.
Siamo in salvo, o mio re: scendi, e su queste
Erbe l’antico e venerabil fianco
Riposa alquanto. O mio signor, ripiglia
Gli affaticati spirti. Assai dal campo
Siam lunge, e fuor di strada: al nostro orecchio
Lo scellerato mormorio non giunge.
Cinto non sei che di leali.

                       desiderio.
                                  E Adelchi?

                       vermondo.
Or or fia qui, lo spero; alla sua traccia
Più d’un fido inviai, che lo ritragga
Dall’empio rischio, a miglior pugna il serbi,
E a questa posta de’ leali il guidi.