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Ma ella non lo tentò oltre. Egli ricevette i primi ordini, continuò a studiare e in breve fu consacrato sacerdote e potè dire la prima messa. In casa sua fecero festa come per nozze: parenti ed amici gli portarono doni come ad uno sposo; si sgozzarono pecore e agnelli, si fece banchetto, si cantò improvvisando versi per il giovane sacerdote. Zio Portolu vestiva tutto di nuovo, aveva i capelli unti, le treccioline rifatte; e ascoltava la gara dei poeti estemporanei, tenendo sulle ginocchia il piccolo Berte che gli chinava melanconicamente la testina sul petto.

— Che hai, agnellino mio? — chiese zia Annedda, chinandosi sul piccino. — Sonno hai?

Il bambino scosse la testa; i suoi occhioni glauchi erano tristi. Zia Annedda andò e prese con due dita un dolce di pasta e di miele in [p. 235 modifica]forma d’uccellino, e chinandosi di nuovo sul nipotino glielo porse.

— Prendi; ecco l’uccellino; non addormentarti, sai. — Il bimbo prese il dolce svogliatamente, senza sollevar la testa dal petto del nonno, e accostò alle labbra il becco dell’uccellino, ma non lo mangiò.

— Hai sonno? — chiese zio Portolu, guardandolo. — Non hai dormito, stanotte, uccellino mio? Su, scuotiti, ascolta che belle canzoni! Quando sarai grande anche tu canterai così. Ti porterò a cavallo alla tanca e canteremo assieme.

Ma il piccino, che sempre s’entusiasmava all’idea di andare alla tanca, non si scosse. A pranzo non volle da mangiare, e non si staccò dal nonno, sul cui petto teneva sempre appoggiata la testa.

— Ml pare che tuo figlio sia malato — gridò il Farre a Maddalena.

Prete Elias trasalì, guardò il bambino e immediatamente ricordò il sogno avuto la notte in cui vegliava il cadavere di Pietro. Maddalena accarezzò il bambino, lo interrogò, lo prese fra le braccia e lo portò sul lettuccio, dove una volta dormiva Elias.

— Ha sonno e adesso dorme, — disse, [p. 236 modifica]rientrando. Ma prete Elias non s’acquietò: avrebbe voluto alzarsi, andar dal bambino, esaminarlo; e invece non potè muoversi e dovette nascondere la sua inquietudine.

Ascoltava i cantori, sorrideva lievemente per certi versi ben riusciti, ma non parlava, non rideva. Vedeva il Farre, quel ricco e grosso parente che parlava ansando, andare e venire per la casa, dando ordini, immischiandosi in ogni cosa come fosse il padrone, parlando spesso con Maddalena; e ne provava gelosia, e accorgendosi di questa gelosia s’irritava contro sè stesso, ma taceva.

Dopo il pranzo entrò quasi furtivamente presso il bimbo, si chinò e lo guardò a lungo e vedendolo dormire soavemente, con la boccuccia semiaperta, con l’uccellino dolce tra le manine, provò un impeto di tenerezza, e lo baciò religiosamente. Sollevandosi ricordò il giorno e la notte delle nozze di Maddalena, e la malattia e il dolore ch’egli aveva sofferto su quel lettuccio.

— Le cose del mondo! — pensò. — Chi avrebbe mai creduto che dovevano accader queste cose?

Rientrando in cucina sentì il Farre che discorreva del bimbo con Maddalena, intenta a preparare del caffè.

[p. 237 modifica]— Tu non hai cura di lui, — le diceva. — Non vedi che sta poco bene? È viso di bimbo sano, quello? No. Io farò venire il dottore e vedrai che ho ragione.

— Che gliene importa! — disse Elias fra sè, con amarezza e con gelosia. — Spetta a me curarmene, e non a lui.

Uscì nel cortile, dove i poeti ricominciavano a cantare, e sedette accanto al padre; e parve ascoltare la gara estemporanea, ma pensava sempre al Farre, a Maddalena, al bimbo, e si rattristava e s’irritava, e s’accorgeva di un suo nuovo desiderio: che Maddalena restasse vedova: non aveva mai pensato che, se lei si rimaritava, egli non avrebbe più autorità sul bambino.

— Sposerà il Farre, — pensava, — ed io non potrò più amare il mio figliuolo: mi saranno contati i baci e le carezze che potrò fargli. — E il suo pensiero si smarriva nell’avvenire, in cose del tutto estranee al ministero nel quale era quel giorno entrato.

Finita la festa, rientrato in seminario, s’accorse di tutti i pensieri vani, delle gelosie, delle tristezze provate durante la giornata, e un forte scontento di sè lo prese.

— È inutile, è inutile, — pensava, voltandosi [p. 238 modifica]e rivoltandosi sul letto. — La carne è attaccata all’osso, ed io non mi distaccherò mai dalle cose del mondo: sarò un cattivo sacerdote, come sono stato un cattivo secolare, perchè non sono un buon cristiano. Ecco tutto.

Intanto accadde ciò che egli prevedeva. Il Farre domandò la mano di Maddalena, e subito cominciò ad occuparsi del bambino come di cosa sua. Fece venire il medico, e il medico avendo dichiarato che il bimbo era anemico, il grosso uomo comprò le medicine, e quanto altro occorreva per la salute del piccolo Berte: prete Elias vedeva e taceva, ma dentro di sè si rodeva di gelosia; molte volte, quando era solo, ed anche stando in chiesa, si sorprendeva a pensare a quella grossa figura d’uomo sano e rosso, dalla pronunzia lenta, dalla parola ansante, e sentiva di odiarlo.

Un giorno il Farre lo invitò al suo ovile.

— Verrà anche zio Portolu, — disse, — e prenderemo il bimbo, che gli farà bene, e ci spasseremo.

Sulle prima Elias fu per rifiutare impetuosamente; poi si dominò e accettò.

Ma soffrì molto durante quella gita: il Farre portava il bambino con sè sul suo cavallo, sul davanti della sella, e Berteddu gli [p. 239 modifica]appoggiava la testina sul petto e gli rivolgeva cento domande se vedeva un corvo volare gracchiando, un passero levarsi da una macchia, un cespuglio carico di bacche scarlatte, una quercia verdeggiante di ghiande. Il Farre gli spiegava ogni cosa con pazienza, e ogni tanto gli dava un bacio.

— Vedi, quello è un pero selvatico; guarda, guarda, ha più frutti che foglie; ti piacciono eh, le pere selvatiche, piccolo porcellino, eh, eh? E quelle cose grigie lunghe, che sembrano candelabri? E quelle lì sai cosa sono? Sono fusti di canna gurpina (canna volpina), buoni a far cannelli da pipa. I pastori si fanno le pipe così. Eh, i pastori non sono come i signori, sai, che vanno dal mercante e comprano le cose belle e fatte: i pastori s’arrangiano: e tu ti farai pastore, eh?

— Io mi farò pastore, sì, — disse il bambino indolentemente e farò le pipe con quelle canne là.

— Eh, no, eh, no! Lo sentite, babbo Portolu, il bimbo vuol farsi pastore! Non è vero che invece lo faremo dottore?

Erano inezie; eppure Elias, che veniva cavalcando accanto al Farre, ne soffriva fanciullescamente. Che aveva da vederci, quell’uomo [p. 240 modifica]estraneo, nell’avvenire del suo bambino? No, no, egli non avrebbe mai permesso che colui s’immischiasse nella vita e nel destino del suo figliuolo. Ma, anche questo era un sogno; la realtà lo incalzava già con le parole di zio Portolu, il quale diceva al piccolo Berte:

— Ah, tu vuoi farti pastore, piccolo colombo? E perchè vuoi farti pastore? Non sai che i pastori dormono spesso all’aperto e soffrono il freddo? Vedi zio Elias? S’è fatto prete; perchè se fosse rimasto pastore sarebbe morto di freddo. No, ti faremo dottore, non pastore. Eh, non comanderai tu! C’è zio Farre che ti farà filar dritto, e se farai da cattivo zio Farre non scherzerà.

— E cosa è quello? — domandò Berteddu, indicando un albero, senza ascoltare le parole del nonno.

Ma le aveva ascoltate Elias, quelle energiche parole, e s’era sentito colpito nell’anima.

Da quel giorno la sua gelosia crebbe morbosamente: invano egli cercava di dominarsi, invano pensava:

— Jacu Farre avrà dei figli, ed allora dimenticherà e forse disamerà il mio: allora Berte sarà tutto mio: lo prenderò in casa, gli farò seguire una buona via, lo renderò felice.

[p. 241 modifica]No. No. Erano tutti sogni. Il presente incalzava, la realtà era dura. Elias soffriva; ed era un dolore diverso da tutti gli altri fin allora provati, ma non meno profondo. Egli tornava a disperarsi ed a ripetere la solita lamentazione:

— Non troverò mai pace; sono dannato. Qualunque cosa io faccia è errore. E forse ho errato a non dar ascolto a Maddalena; forse Dio voleva ch’io mettessi riparo al peccato, invece di dedicarmi indegnamente a Lui. Ah, prete Porcheddu aveva ragione: il peccato è una pietra che non ci leveremo mai di dosso; ed io sono dannato al peso eterno del dolore perchè ho peccato gravemente.

Così suoi giorni continuavano a scorrere melanconici e tormentosi. Ah, non era questa la vita quieta e santa che egli aveva sognato! Intanto si aspettava da un giorno all’altro che si rendesse vacante qualche parrocchia nei villaggi vicini, per mandarvelo; ed egli lo sapeva, e soffriva già pensando alla lontananza. Lui lontano, il Farre avrebbe sposato Maddalena, e si sarebbe impossessato completamente del bambino. Era finito, era tutto finito! Ma no, no, non era tutto finito. No, egli sentiva che da lontano avrebbe continuamente pensato al suo figliuolo, rodendosi di [p. 242 modifica]tenerezza, di desiderio, di gelosia, e che forse andava a cominciare una nuova vita di passione e di dolore, ben diversa da quella che era suo dovere di condurre.

Tutti i giorni andava a casa sua e insolitamente cercava di amicarsi il bambino, portandogli dolci, trastullandolo e viziandolo: si accorgeva che era una debolezza, questa, anzi una piccolezza, poichè era spinto a far così non dal suo amore paterno, ma dal bisogno d’impedire che Berte si affezionasse al Farre; ma non poteva far altrimenti.

Però vedeva con dolore che Berte restava per lo più indifferente, indolente e taciturno; non mangiava quasi mai i dolci, si stancava subito dei giocattoli e dei trastulli, e s’impermaliva per ogni più piccola cosa. Del resto, era così con tutti; ed Elias s’accorgeva che il piccino era malato, e si struggeva di vederlo così e di non poterlo far guarire.

Fece venire un medico, non quello consultato dal Farre, e provò una triste soddisfazione quando il nuovo dottore dichiarò il bimbo affetto da un malore latente, che non era anemia, e ordinò diverso medicamento.

— Lo vedi? — disse Elias a Maddalena, con un cattivo trionfo negli occhi.

[p. 243 modifica]— Lo vedo! — ella rispose tristemente, preoccupata soltanto dello stato del bambino.

Il nuovo medico e il nuovo medicamento non impedirono però che l’infiammazione latente nei delicati visceri del bimbo si manifestasse presto. Un giorno prete Elias trovò Berte coricato sul lettuccio della cameretta terrena; il bambino aveva una febbre altissima e delirava, con gli occhioni smarriti e il viso ardente. Maddalena lo vegliava, costernata e disperata, e zia Annedda aveva già ricorso ai suoi medicamenti, santi finchè si vuole, ma perfettamente inutili.

Ella aveva una reliquia speciale per guarire la febbre: la passò sul corpo ardente del bimbo e recitò con fervore diverse preghiere, a Dio, allo Spirito Santo, a Nostra Signora della Misericordia, a Nostra Signora del Rimedio, a Maria di Valverde, a Maria del Monte, a Maria del Miracolo, alle Anime Sante, a San Basilio, a Santa Lucia, al Sangue Santo, ai Santi Innocenti; ma la febbre non fece che aumentare.

Allora fu richiamato il primo medico; egli dichiarò che lo stato del bimbo era gravissimo, ma non disperato se non sopravveniva il tifo. Elias ascoltava, pallido, ritto presso il [p. 244 modifica]finestrino: in quel punto vide il Farre venir su dal viottolo e strinse istintivamente i pugni.

— Egli viene, eccolo! — pensò. — Egli viene per accrescere il mio dolore! Forse il bimbo morrà, ed io non posso avvicinarmi al suo lettuccio, non posso dargli le ultime carezze, le cure estreme, mentre tutto ciò sarà permesso a colui. Eccolo, eccolo che viene! Ebbene, io me ne vado, altrimenti se egli entra qui e si avvicina al bimbo, al bambino mio che muore, non rispondo più dei miei atti.

Se n’andò infatti assieme col medico; nel cortile s’incontrarono col Farre che si mostrò addolorato e s’informò dello stato del bimbo.

— Il bambino sta male; lasciatelo in pace assieme con la madre! — disse Elias ruvidamente.

Il Farre lo guardò un po’ stupito, ma non rispose.

Il medico invitò Elias ad una passeggiata giù per lo stradale; il giovane prete lo seguì volentieri; ma mentre l’altro parlava, egli guardava lontano, verso lo sfondo della valle, con gli occhi smarriti in un sogno doloroso. Vedeva il Farre seduto presso il letto del bimbo, e Maddalena triste e pallida, che si curvava [p. 245 modifica]sul piccolo malato per spiarne la crescente sofferenza. Il grosso fidanzato la confortava, poi stendeva la mano ad accarezzare il piccino e gli parlava amorosamente.

Il medico intanto parlava d’una ragazza grassa e rosea che avevano incontrato presso la fontana.

— Dicono sia l’amante del tale, quella ragazza. Che fianchi! Però non è ben fatta, precisamente. Ma sarà vero che è l’amante del tale? Ne ha sentito parlare, prete Elias?

Elias lo guardò con rabbia. Come mai il medico poteva fargli queste domande, quando il suo bambino moriva e il Farre gli faceva da padre?

— Cosa mi dice! — esclamò. — Perchè mi fa queste domande?

— Ma non son domande che si fanno agli uomini del mondo? Oh che non è un uomo del mondo anche lei?

Ah sì! anche lui era un uomo del mondo! Pur troppo era ancora un uomo del mondo, e come tale si sentiva morso dal dolore, dal dispetto, dalla gelosia.

Verso sera tornò da Maddalena e la trovò disperata perchè lo stato del bimbo si faceva sempre più grave. Ella stava in cucina preparando qualche cosa presso il focolare.

[p. 246 modifica]— La mamma è di là? — chiese Elias, andando verso la cameretta ove giaceva il bambino.

— Sì.

Egli avrebbe voluto domandare se c’era anche il Farre, ma non poteva. Sentiva che egli era là, seduto presso il letticciuolo; ne vedeva distintamente la grossa persona, ne sentiva il respiro ansante; e provava un’angoscia quasi morbosa. Eppure quando aprì l’uscio e vide il Farre seduto presso il letticciuolo, con la grossa persona un po’ ripiegata in avanti, silenzioso, ansante, trasecolò come spaventato da un’improvvisa apparizione.

“Il bimbo muore, ed egli è là e non mi lascia avvicinare, non mi lascia vederlo nè accarezzarlo!„ pensò amaramente. Infatti s’avvicinò appena al dappiedi del letto e guardò quasi timidamente il malatino.

— Sta male, sta male,— disse il Farre con dolore, come parlando tra sè.

Elias si fermò un momento, poi se ne andò senza aver detto una parola. Passò una notte orribile, e l’indomani mattina per tempo fu di nuovo là: attraversando il viottolo si lusingava di trovare il bimbo migliorato, e il suo volto s’illuminava di speranza. Entrò, con [p. 247 modifica]passo agile attraversò il cortile, la cucina, spinse l’uscio. E tosto il suo viso si fece livido. Il Farre era di nuovo là, seduto presso il letticciuolo del bambino, con la grossa persona ripiegata in avanti, silenzioso, ansante.

Maddalena piangeva. Appena vide Elias gli venne avanti, asciugandosi le lagrime col grembiule, e singhiozzando gli disse che il bimbo moriva. Elias la guardò dall’alto in basso, livido, cupo; non avanzò un passo, non parlò; e poco dopo uscì. Zia Annedda lo seguì in cucina, poi nel cortile e gli domandò esitando:

— Elias, figlio mio, che hai? Sei tu pure malato?

Egli si fermò presso il portone, si volse, e parole amare contro il Farre e contro Maddalena, che permetteva al fidanzato di star sempre là presso il malatino, gli vennero alle labbra; ma vide il piccolo viso di sua madre così pallido, così angosciato, che mormorò:

— No, non mi sento male. — E se ne andò.

— Che cosa ha egli detto? Non l’ho sentito, — disse fra sè zia Annedda. — Sta male anche lui? Che cosa ha? Aiutateci voi, San Francesco mio!

Da quel momento cominciò per Elias una [p. 248 modifica]vera ossessione. Appena si trovava libero andava invariabilmente, quasi senza accorgersene, a casa sua. Anche prima d’arrivare al viottolo sentiva che il Farre era là al suo posto; tuttavia s’ostinava a sperare il contrario ed entrava. E l’odiosa figura era là, sempre là.

Poco per volta fu preso da una specie di delirio. Veniva col desiderio di chinarsi sul bimbo, di baciarlo, di curarlo colle sue mani, di dirgli parole affettuose: gli pareva che la forza del suo amore sarebbe bastata per guarirlo; e invece veniva, o bastava appena che vedesse il Farre per sentirsi paralizzato; non osava neppure posar la mano sulla fronte del piccolo moribondo, mentre entro di sè urlava di dolore e di rabbia.

La sera del settimo giorno della malattia di Berte, zia Annedda gli venne incontro piangendo.

— Non passerà la notte, — mormorò.

— Il Farre è ancora là, mamma?

— Non c’è.

Egli si slanciò nella cameretta, scostò Maddalena che piangeva silenziosamente presso il lettuccio, e si chinò ansioso sul bimbo. E il bimbo moriva; il piccolo volto, già sì grazioso e pieno, era livido, scarno, improntato [p. 249 modifica]di una straziante sofferenza. Pareva il viso d’un vecchietto moribondo.

Elias non osò toccarlo nè baciarlo, preso tutto da un improvviso stupore. Come davanti al cadavere del fratello Pietro ebbe la visione della morte, e s’accorse che sino a quel momento gli era parso impossibile che Berte morisse. Invece moriva. Perchè moriva? Come moriva? Che cosa era la morte? La fine di ogni cosa, di ogni passione? E allora perchè egli odiava il Farre? Perchè soffriva?

“Figlio mio, piccolo figlio mio„ gemette fra sè “tu muori ed io non ti ho amato, ed io, invece di amarti, di curarti, di strapparti alla morte, mi sono perduto in un vano rancore, in una vana gelosia.... Ed ora tutto finisce, e non c’è più tempo, non c’è più tempo a nulla....

Lo assalì un impetuoso desiderio di prendere tra le braccia il piccino, di portarselo via, di salvarlo. Salvarlo? Come? Non sapeva come, ma gli pareva che bastasse stendere le braccia, protendere la sua persona sul corpicciuolo del bimbo, per tener lontana la morte. In quel punto entrò il Farre e s’avvicinò lentamente al letto: Elias sentì il grave passo, l’alito ansante, e instintivamente s’allontanò.

Il Farre riprese il suo posto; e ancora una [p. 250 modifica]volta Elias sentì fra sè e l’anima del suo bambino che se n’andava un ostacolo insormontabile. Si mise in fondo alla camera, accanto al finestrino, e i suoi occhi lampeggiarono d’un fosco bagliore verde. Pensava delirando:

— Perchè egli e là? Perchè mi ha tolto di là? Mi ha cacciato, mi ha spinto. Con qual diritto? È suo o mio il bimbo? È mio, è mio, non suo! Adesso vado, lo prendo a schiaffi, quel grosso otre, lo caccio di là, perchè devo starci io, non lui. Vado, vado, lo schiaffeggio, lo ammazzo: voglio bere il suo sangue, perchè lo odio, perchè mi ha tolto tutto, tutto, tutto, perchè quando c’è lui, io arrivo a desiderar la morte del mio bambino.

Ma per qualche minuto non si mosse dal suo posto; poi entrò in cucina, disse a sua madre:

— Ritornerò fra poco, — e se ne andò via rapidamente.

Rientrando nella sua cella gli parve di svegliarsi da un sogno; e riebbe coscienza della sua vita, del suo stato e del suo dovere. S’inginocchiò e si mise a pregare ed a chiedere perdono a Dio del suo delirio.

— Perdonatemi, Signore, perdonatemi per la vita eterna, giacchè in questa non sono [p. 251 modifica]degno di perdono. Io non riposerò mai; sono dannato a soffrire, ma ogni castigo è piccolo per il fallo che ho commesso. Sì, sì, fatemi pure soffrire come merito, ma datemi la forza di compiere i miei doveri, toglietemi dal cuore ogni vana passione. Dal canto mio prometto che farò di tutto per vincermi: viva o no il bambino andrò a vederlo il meno possibile. È forse mio? No. Io non devo aver nulla su questa terra; nè figli, nè parenti, nè beni, nè passioni. Devo esser solo; solo davanti a voi, Dio mio, Signore grande e misericordioso.

Ma un’ora dopo lo avvertirono in fretta che andasse a casa sua; ed egli corse, pallido e col cuore in tumulto. Era notte; una notte d’autunno, velata, silenziosa: la luna nuotava lentamente fra tenui vapori, circondata di una immensa aureola d’oro sbiadito; un silenzio profondo, una pace arcana e triste, qualche cosa di misterioso era nell’aria.

Elias sentiva che il bambino era morto, ed entrato nella cucina vide, infatti, seduta presso il focolare Maddalena che piangeva tragicamente, stringendosi ogni tanto il capo fra le mani. Pareva una schiava a cui avessero tolto tutto, libertà, patria, idoli, famiglia. Elias sentì l’immenso dolore della donna, e pensò:

[p. 252 modifica]— In questo momento forse ella crede che la perdita del bambino sia il castigo della sua colpa; e non sa che da questo dolore, invece, ella uscirà purificata e che troverà la via del bene. Le vie del Signore sono grandi, sono infinite! — Ma mentre così pensava, si guardava attorno per la cucina semioscura e tra le poche persone ivi raccolte non vedendo il Farre, pensava con dolore che l’uomo forse era ancora là, accanto al bambino morto.

Entrò. Il Farre non c’era. Solo zia Annedda, pallidissima, ma calma, senza piangere, senza far rumore, lavava e vestiva il morticino. Elias le diede qualche aiuto: dalla cassa prese le calzettine e le scarpette del bambino, e calzandolo sentì che i piedini esangui, assottigliati dalla malattia, erano ancora morbidi e tiepidi.

Finchè il morticino non fu vestito e accomodato tra i guanciali, e finchè zia Annedda rimase là, Elias si tenne calmo, ma appena fu solo provò un brivido per tutta la persona, sentì il volto e le mani raffreddarglisi, e s’inginocchiò e nascose il viso sulla coltre del letticciuolo.

Finalmente, finalmente era solo col suo bambino; nessuno più poteva toglierglielo, [p. 253 modifica]nessuno più poteva mettersi fra loro. E sul suo infinito accertamento sentiva calare un tenue velo di pace, e quasi di gioia — simile alla vaporosità di quella misteriosa notte autunnale — perchè l’anima sua si trovava finalmente sola, purificata dal dolore, sola e libera da ogni umana passione, davanti al Signore grande e misericordioso.



FINE.