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giava la testina sul petto e gli rivolgeva cento domande se vedeva un corvo volare gracchiando, un passero levarsi da una macchia, un cespuglio carico di bacche scarlatte, una quercia verdeggiante di ghiande. Il Farre gli spiegava ogni cosa con pazienza, e ogni tanto gli dava un bacio.

— Vedi, quello è un pero selvatico; guarda, guarda, ha più frutti che foglie; ti piacciono eh, le pere selvatiche, piccolo porcellino, eh, eh? E quelle cose grigie lunghe, che sembrano candelabri? E quelle lì sai cosa sono? Sono fusti di canna gurpina (canna volpina), buoni a far cannelli da pipa. I pastori si fanno le pipe così. Eh, i pastori non sono come i signori, sai, che vanno dal mercante e comprano le cose belle e fatte: i pastori s’arrangiano: e tu ti farai pastore, eh?

— Io mi farò pastore, sì, — disse il bambino indolentemente e farò le pipe con quelle canne là.

— Eh, no, eh, no! Lo sentite, babbo Portolu, il bimbo vuol farsi pastore! Non è vero che invece lo faremo dottore?

Erano inezie; eppure Elias, che veniva cavalcando accanto al Farre, ne soffriva fanciullescamente. Che aveva da vederci, quell’uomo