Zecche e monete degli Abruzzi/Sora
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XII.
SORA.
in terra di lavoro
Le memorie che venni fino ad ora sponendo delle zecche degli Abruzzi non potrebbero dirsi compiute, ove non soggiungessi, in via di appendice, un qualche cenno intorno a quella di Sora, avvegnachè questa città in Terra di Lavoro si giaccia; pure, siccom’è prossima ai confini di Abruzzo, e le sue prime monete hanno tipo, peso, bontà e valore comuni con quelle di Atri e di Chieti, le ultime con quelle d’Aquila, di Chieti, di Manopello, di Ortona e di Sulmona, reputai non solo acconcio, ma necessario, il dar qui riuniti i frutti delle mie conghietture sulla esistenza e sulla durata di questa zecca, che rimase ignota perfino a quel diligentissimo investigatore delle memorie sorane, che fu il padre Francesco Tuzii1. I miei primi studii intorno ad essa feci di pubblico diritto fino dal 18562; e l’accoglienza che s’ebbero appo gli eruditi italiani e stranieri m’incoraggiò ad estendere quelle ricerche, affin di riunire quanto potei trovare, così di appunti storici che avvalorano e riducono a certezza la interpretazione da me data all’epigrafi che incontriamo sulle monete rivendicate alla sorana officina, come di quelli che dai monumenti superstiti possono venire chiariti. Parmi che per tal guisa la storia e la numismatica del medio evo si colleghino e si perfezionino a vicenda; e quei piccioli pezzi di metallo coniato, che sfuggirono alla distruzione e rimasero fin qui inosservati, tengano il posto d’irrefragabili documenti, e non d’inutili curiosità ammassate negli stipetti di un ozioso raccoglitore.
Giacomo Cantelmi, i cui posteri fantasticarono nel secolo XVII fosse rampollo dei re di Scozia3, aveva accompagnata la spedizione di Carlo di Angiò in Italia, ed in benemerenza dei servigii resi al signor suo ottenne in feudo, negli anni 1269, le terre di Popoli, di Sora, di Alvito ed altre. Nel 75, mentre Carlo copriva a Roma la dignità senatoria, sappiamo luogotenente nel regno il Cantelmo4. Un costui discendente, pure di nome Giacomo, imputato di fellonia a’ danni del re Ladislao, perdette Sora ed Alvito intorno il 1390; e quattro anni dopo ne vennero investiti i Tomacelli di Napoli, consanguinei di papa Bonifazio IX. Ritolti il 1406 que’ feudi ai nuovi signori, e ridati al Cantelmo, egli li trasmise, quando venne a morte, nei figliuoli Francesco ed Antonio. Defunto il primo senza prole, Antonio testando nel 39 chiamava il secondogenito Onofrio a succedergli nella signoria di Popoli, le altre lasciando al primogenito Nicolò; sennonchè questi violentemente spogliò il fratello di ogni dominio.
Parteggiando per Alfonso di Aragona contro l’angioino Renato, Nicolò ebbe da lui il 1442 il titolo di duca di Sora, che alla sua morte, accaduta il 53, passò nel figliuolo Piergiampaolo colla signoria di Alvito, mentre Popoli per ultimo volere di Nicolò dovea tenersi dall’altro figliuolo, Giovanni. Nè molto andò che Piergiampaolo, seguendo il paterno esempio, tolse Popoli al fratello, che fu poscia costretto a riconsegnargli.
Giovane d’età e dato al mestiere delle armi, non è a dire quanto caldamente Piergiampaolo abbracciato avesse, nella sollevazione del 1459, la causa degli angioini. Scorrendo colle sue masnade gli Abruzzi, aveva per via sorpreso e catturato un messo di Chieti, che recavasi a Napoli per protestare a Ferdinando I la lealtà e la devozione del suo comune; del qual fatto lamentavansi i chietini, scrivendo al re in data 22 dicembre dell’anno stesso: Ceterum havevamo deliberato tucti insemj mandare ad vostra maestà ve piacesse fare forte Mactheo de Capua de uno cinquecento fantj o più oltra la sua conducta, et far lo officiale de questa vostra provincia, la quale stava senza officiale, ma la maestà vostra prudentemente ce ha tolta franga senza altro nostro recordo che lo ha facto, la quale provisione è stata et è la salute de questa provincia, massime se vostra maestà lo fa forte de li dicti fantj, perchè gagtigarà in breve tutti quelli che cerca de turbare lo stato de vostra maestà in questa provincia; in la quale mo’ novamente è stato pilgiato misser Ambrosio nostro ambasciatore dalj hominj de lo duca de Sora, che molto ce ne dolemo per infiniti boni respecti5.
Ardeva tuttavia negli Abruzzi la guerra civile, quando il re aragonese spogliò nel 61 d’ogni stato il Cantelmo, concedendo ad Alessandro Sforza signore di Pesaro la investitura di Sora, annullata ben presto dalla cessione fattane a Pio II, che ritenea quel ducal feudo devoluto alla Chiesa; e la contea di Alvito diede invece a Giovanni conte di Popoli, fratello di Piergiampaolo, che, dopo la rotta toccatagli da Matteo di Capua, gli era ritornato fedele. Ne lo investì Ferdinando co’ suoi eredi legittimamente procreati, dandogli eziandio parecchie altre terre, come suona il diploma 29 novembre 1461, quae de praesenti tenentur et possidentur per Petrum Johannem Paulum Cantelmum, qui se ducem Sorae nominare consuevit, rebellem nostrum notorium, quae quidem terrae antiquitus fuerunt de domo vestra Cantelma.... concedendo etiam quod si forte dictus Petrus Johannes Paulus ad suam obedientiam reduci contigerit et remissionem et integram restitutionem obtinere contingerit, quod in tali casu semper praesens concessio in suo robore permaneat6.
Inseguito da Federico di Montefeltro, il duca sorano, quantunque da molti baroni sussidiato, dovette deporre le armi, dopo la presa del Castelluccio che proteggeva la sua città; e gli venne accordata una tregua, dopo la quale prestò ligio omaggio a Ferdinando nel 62, siccome rilevasi dal seguente luogo di una lettera che quel re scriveva, il 13 maggio dell’anno stesso, da Napoli a Matteo di Capua: Lo illustre duca de Sora in nostre mane per suo legitimo procuratore al deyce del presente jurò et prestò sacramento de fidelità7. Ma non potè, o non volle, il Cantelmo mantenere la giurata fede, perchè il dì 2 aprile del 65 lo sappiamo, dalla cronaca di Francesco di Angeluccio8, tra i baroni ribelli che accompagnavano ad Aquila il principe Giovanni di Angiò. Intanto la fortuna delle armi volgeva seconda agli aragonesi; e deve conghietturarsi che il duca di Sora, le cui schiere furono completamente sbaragliate dall’esercito pontificio capitanato da Napoleone Orsini, sfuggisse, mercè volontario esiglio, alla minacciata vendetta di Ferdinando; sempre peraltro sostenne i suoi diritti ai perduti dominii, se nel 1471 continuava ad intitolarsi dux Sorae et comes Albeti9.
In mezzo ai gravi sconvolgimenti del regno, durante la invasione angioina e prima della perdita di Sora, fra il 1459 e il 61, Piergiampaolo Cantelmi, sia per concessione di Giovanni, sia, il che è più verosimile, di proprio arbitrio, avea ivi aperta la zecca per battervi bolognini, di uno dei quali vedesi il disegno al n. 57 della sesta tavola:
D. + *petrvs.i.pa*, nell’area le ultime lettere vlvs disposte in croce, punto nel mezzo.
R. + *dvx.so.ran*, Dux Soranus; nel centro, grande A, sotto ad una rosetta e fra tre bisanti.
In una varietà di questa moneta, notevole anche per la mutata forma della t, che si conserva, al pari di quella or ora descritta, nel medagliere del Vaticano, intagliata al n. 58, leggesi nel diritto + petrvs.io.pa*. La prima delle due fu pubblicata dal Pfister a Londra10 nel 1855, e descritta lo stesso anno dal Cartier11; ma ambidue que’ valenti trasse in errore la non esalta interpretazione della leggenda Petrus I. Paulus, e credettero impresso il bolognino quando Sora fu aggregata al patrimonio di san Pietro, anzichè durante la signoria di Piergiampaolo.
«Non so (scrive il Litta12) come finisse il Cantelmi; pare che Pio II lo assolvesse, unitamente alla moglie ed ai figli, dal delitto di fellonia, poichè come duca di Sora era vassallo della Chiesa; ma non sembra che il re Ferdinando gli perdonasse.» La numismatica, soccorrendo qui al difetto, non però assoluto, delle memorie storiche, ci fa protrarre di trenta e più anni ancora la biografia di Piergiampaolo, fino cioè all’epoca della calata di Carlo VIII, nella quale uno dei figliuoli di lui, Alfonso, sappiamo liberato dal carcere ove pare stesse rinchiuso per reati di stato; l’altro, Sigismondo, aver parteggiato armata mano pel re di Francia. Ho detto che le memorie storiche non ci mancano dell’in tutto, perchè fra i baroni che nel 1495 vennero all’obbedienza del re cristianissimo in Napoli, leggiamo anche menzionato il vecchio duca di Sora13. Ora, chi può mai essere quel vecchio, fuorchè il nostro Piergiampaolo Cantelmi?
Il Fusco aveva conghietturato spettare alla zecca di Capua alcuni cavalli di rame, o di bassissima lega, improntati col nome e coi gigli di quel re, molto somiglianti alla seconda varietà de’ sulmonesi. Ripubblico sotto il num. 59 uno di tali pezzi, e qui ne soggiungo la descrizione, annotando fra parentesi le tenui differenze che si riscontrano nei varii esemplari sulla epigrafe del rovescio:
D. krolvs.d.g.r.fr.sic.ie: Tre fiordalisi nell’area; sovr’essi, corona di re.
R. pe.i.pa.can.(ca.)so.alb.(al.)dvx:(d.) Croce ancorata14.
Il dotto napoletano pubblicò eziandio alcuni esemplari di un tipo assai diverso nel diritto da quello dei cavalli da lui, non senza grave titubanza, pretesi capuani, e che si avvicina a quelli d’Aquila, di Chieti, di Manopello e di Ortona, sui quali i tre fiordalisi non istanno sparsi nel campo, ma raccolti entro lo scudo. Vedasi il n. 60 nell’ultima tavola.
D. carolvs.rex.fr.(f.) Arme incoronata di Francia.
R. pe.i.pa.ca. so. al. dvx. Croce ancorata15.
Non so come il Fusco abbia potuto separare questi due tipi, la identità del cui rovescio è evidente; e come, se l’uno attribuì dubbiosamente alla zecca di Capua, l’altro abbia dichiarato appartenere ad una zecca incerta d’Italia. E le abbreviature del rovescio, comune ad ambidue, lasciò inesplicate limitandosi solo ad esporre la sua idea, che la officina onde uscirono quelle monete dovesse trovarsi non lungi dalle frontiere napoletane, e che que’ monosillabi potessero indicare il nome di alcune «signorie di re Carlo; ma che queste debbano ricercarsi fuori dei confini del reame, non v’ha dubbio di sorte alcuna16.»
Il silenzio del Fusco acuì l’ingegno del Cartier a provarsi a diciferare l’enimmatiche sigle: «Il aurait fallu, d’abord,» dic’egli infatti, «interpréter la légende et en tirer quelque témoignage du lieu de fabrication.» Nè gli piacque leggere percussum in palatio capuae, perchè il rimanente restava mai sempre inesplicabile; ma andò cercando, in quella vece, sulla carta delle Calabrie de’ nomi geografici, per offerirci una interpretazione la quale, tutt’altro che felice e corretta, qui riporlo; petrizia . Isola . palmi . cantazaro (sic) . soriano . albinianus . dvx; supponendo queste monete battute per ordine del D’Aubigny governatore delle Calabrie, ma dichiarando in un medesimo, con quella modestia che non va mai disgiunta dal vero sapere: «Je suis dispose à renoncer à mon interprétation aussitôt qu’on en aura présente une meilleure»17.
Rifacendoci alle memorie della vita di Piergiampaolo Cantelmi esposte nel presente capitolo, la spiegazione dell’abbreviata leggenda riescirà facile e piana: pe.i.pa.can.so.alb.dvx, Petrus Johannes Paulus Cantelmus Sorae Albetique dux. Suffragata dalla critica epigrafica e storica, ed accolta ormai dai nummografi, questa interpretazione avvalora, mercè monumenti fino adesso ignorati, la veracità della notizia che ci ricorda vivente ancora nel 1495 lo spossessato duca di Sera, il quale, avverso agli aragonesi e al pontefice, non poteva non far causa comune col nemico loro; e ci muove ad ammettere quali fatti storici che, fra le castella italiane che cedettero agl’irruenti francesi o loro aprirono spontanee le porle, fosse anche Sora (feudo dei Della Rovere dal 1475), la cui zecca era rimasta inattiva dopo la cacciata di Piergiampaolo; e che questi abbia rioccupato, forse per brevissimo tempo, il suo feudo, stampandovi monete colle armi e col nome del vantato liberatore. Nè dubito che Gianvincenzo Fusco, con quella sua vasta dottrina e con quel suo perspicace ingegno, sarebbe riuscito a sciogliere anch’egli l’enimma, ed a chiarire così uno dei più oscuri punti della numismatica napoletana; ma la fine immatura di quel valoroso giovane, morto a’ ventott’anni, troncò in sul fiorire le molte speranze che la patria e la scienza avevano in lui fondatamente riposte.
Note
- ↑ Memorie storiche massimamente sacre della città di Sora, Roma 1724, in 4.
- ↑ Della zecca di Sora e delle monete di Piergiampaolo Cantelmi, ins. nell’Archivio Storico Italiano, Nuova serie, T. III, parte II, Firenze 1856.
- ↑ I Cantelmi vennero di Marsiglia; nella rivolta di quella città, scoppiata il 1257 contro Carlo di Angiò, R. Cantelmi, fautore del conte di Provenza, subì esiglio e confisca; ma sedata colle armi la ribellione, fra i capitoli che il conte dettò ai marsigliesi, leggiamo: Que les dommages et pertes par eux donnez au seigneur Philippe Ancelin et a ses freres et a R. Cantelmi et autres principauix de la ville ezitez pour avoir tenu le parti, selon qu’ils disoient, de Charles leur souverain seigneur, consistens tant en biens meubles qu’immeubles leur seroient entierement rendus et restituez fidelement. Questi capitoli, con molti altri documenti di somma importanza per la storia del terzodecimo secolo, pubblica il mio amico Camillo Minieri Riccio nella Geneologia di Carlo I di Angiò, Napoli 1857, p. 129. Ignoro se quel R. fosse padre dei fratelli Giacomo e Berteraimo, co’ quali il conte Pompeo Litta fa principiare la genealogia dei Cantelmi. La iniziale R. può interpretarsi Raimondo o Rostaino, nomi che incontriamo nella seconda generazione di quel casato nell’albero datoci dal Litta; il quale, se avesse conosciuto il citato documento, non avrebbe qualificato di semplice avventuriero il capo stipite dei duchi di Sora.
- ↑ Giannone, Istoria civile del regno di Napoli, edizione colla data di Palmyra, 1762, T. III, p. 11.
- ↑ Ravizza, o. c., II, 3.
- ↑ R. Archivio di Napoli. Repert. Prov. Terrae Laboris et comitatus Molisii, p. 8 a tergo.
- ↑ Ravizza, o.c., II, 9.
- ↑ O. c., in Muratori, Ant. Ital., VI, 904.
- ↑ R. Archivio di Napoli. Rep. Prov. Terrae Labori etc., p. 178, a tergo.
- ↑ Unique coin of Sora, struck in 1462 when the duchy of Sora became annexed to the patrimony of St. Peter, ins. nel Numismatic Chronicle.
- ↑ Revue Numismatique del 1855, p. 438.
- ↑ O. c., fam. Cantelmi di Napoli, tav. I.
- ↑ Giannone, o. c. III, 603.
- ↑ G. M. Fusco, Intorno alcune monete aragonesi, tav. II, n. 3. — G. V. Fusco, Monete di Carlo VIII, tav. IV, n. 3, 4, 5 e 6. — Cartier nella Revue numismatique del 1848, tav. V, n. 9.
- ↑ G. V. Fusco, o. c., tav. VI, n. 5, 6, 7, 8 e 9. — Cartier, l. c., tav. V, n. 10.
- ↑ O. c., p.81.
- ↑ L. c., p. 57 e 58.