Voci della notte/La roba
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La roba
— È morto — disse il dottore, lasciando andare mollemente sulla coperta il polso che teneva fra le dita.
— Proprio morto? — domandò la sorella.
— Morto senza pronunciare una parola! — esclamò il fratello.
— Senza riconoscerci! — gemette la figlioccia.
— Morto — ripetè il dottore.
E stirandosi le maniche, cogli occhi bassi, nell’umiltà della propria impotenza, si allontanò dal letto per cercare il cappello.
— Dice che è stato?... — domandò ancora la sorella, affilando la sua faccia furba di vecchia.
— Un colpo apoplettico.
— Come nostro padre. E non si ebbe nemmeno tempo di chiamare il prete!
— Se non fosse stato per la mia gamba... — biascicò il fratello.
— Ed io per i miei anni......
— Ed io per la debole salute......
Tutti e tre volevano giustificarsi davanti al dottore per averlo lasciato morire così, come un cane. Ma il dottore sembrava indifferente alla cosa. Aveva un solo pensiero: tornare a casa più che in fretta per riattaccare il sonno perduto.
— Tornerò domattina per la fede di decesso.
— Può dire stamattina, è già il tocco, — disse il fratello del morto, zoppicando sui passi del medico per aprirgli la porta.
— Addio, addio, coraggio!
Attraverso l’uscio socchiuso, una folata di vento spense la candela, mentre il dottore si allontanava in mezzo al nevischio.
— Madonna! — fecero insieme le due donne.
E nella semi oscurità di un lampadino ad olio si udì un brancicare confuso intorno alle sedie.
— Presto, presto, riaccendi il lume, Marco.
Alla fiamma del lume riacceso si guardarono in faccia tutti e tre; le donne un po’ pallide; lo zoppo con una cera torva ed inquieta.
Giaceva il morto lungo disteso, col lenzuolo tirato sopra la testa, molto grosso sotto le coperte invernali nelle quali lo si era cacciato senza nemmeno spogliarlo: tanto il male lo aveva preso con violenza ed all’improvviso, là in mezzo al paese, alla presenza di tutti; così che il fratello, la sorella e la figlioccia, lo avevano saputo subito ed erano accorsi contemporaneamente.
— Che cosa c’entra costei che non è del sangue? — aveva mormorato la sorella contrariata.
Al che lo zoppo, filosofo, rispose con calma:
— Che ne sappiamo noi se non è del sangue? Egli l’ha sempre considerata come tale.
— Sta a vedere.... sta a vedere.... ci mancherebbe altro!
E la languida figlioccia, sedendosi subito perchè era fresca di parto, ripeteva fra sè: Questi villani mi vogliono contendere fin gli ultimi momenti del mio padrino!
Contesa inutile perchè il padrino era diventato freddo senza riconoscere nessuno.
Il fatto è che si detestavano, ognuno dal canto loro, cordialmente e si guardavano di traverso come belve attirate intorno alla stessa preda.
Il morto non doveva lasciare molti denari, ma della roba ne aveva e fina, deposito di una intera generazione di gente economa e massaia, antichi contadini arricchiti. La sorella meglio che tutti conosceva il numero e la qualità delle lenzuola, le coperte di filugello tessute in casa, gli asciugamani lunghi un metro e mezzo, le tovaglie di puro lino col disegno a dama.
E le maioliche vecchie? i piattini col campanile, cogli alberi, colle mele che parevano vere? le chicchere dipinte a uccelletti? la zuppiera enorme coi manichi arabescati, col piatto di sopporto frastagliato come una trina?
Posate d’argento ce ne dovevano essere almeno sei o quattro o tre; ma esserci insomma. E chi le avrebbe avute? Forse suo fratello Marco, celibe, dissipatore, beone? Forse quella gatta morta della figlioccia, colle sue arie di falsa signora, e che alla fin dei conti non c’entrava per nulla, legittimamente?
I pensieri di Marco, il fratello, non erano tanto complicati. Egli trascinava in giro per la camera del morto la sua gamba zoppa appoggiata al bastoncino — te tec, te tec — e fiutava la roba complessivamente, con una vaga speranza che egli potrebbe essere, per il fatto del sesso, l’unico erede.
La figlioccia sì che si desolava!
— Se il padrino non ha fatto testamento non mi danno nulla..... e dovrò vedere tanta bella roba artistica (aveva studiato per maestra e conosceva i vocaboli) cadere nelle mani di codesti villani cornuti, cui muove solo il vile interesse.
Tanto lo zoppo quanto la sorella avrebbero voluto che la figlioccia fosse lontana; ma come metterla su di una strada a notte fatta? Quanto all’accompagnarla nessuno di loro voleva esser quello, per non lasciare l’altro solo in mezzo alla roba. Intanto si gettavano occhiate furibonde, finchè la vecchia non potendo più contenersi disse:
— Dovresti tu, Marco, ricondurla a casa sua.
— Colla mia gamba, sai..... al buio, nella neve. Una disgrazia è subito successa. Tu piuttosto.
— Io? Una donna, di notte?
— Alla tua età non vi sono più pericoli.
La figlioccia interruppe la discussione, dichiarando che voleva rimanere a far la veglia. Allora ciascuno tentò di mandare a letto i compagni.
— Coricatevi voi altre donne, che per far la veglia ci penso io.
— Tu piuttosto — rimbeccò la sorella malignamente — che ti duole la gamba.
— Tocca a me, tocca a me che sono la più giovane.
— E puerpera. Grazie! Non voglio rimorsi. Il mio parere quanto a voi è che avreste fatto meglio a non venire nemmeno.
— Oh, se si fosse senza cuore! — piagnucolò la figlioccia gettandosi ai piedi del letto, abbracciando d’un colpo le gambe del morto e il coltroncino di seta.
Lo zoppo girava, te tec, te tec, con una preoccupazione fissa che alla fine traboccò:
— Se si potesse trovare il testamento....
— Che testamento! — gridò la vecchia — Occorrono testamenti tra fratelli?
— Non si sa mai.... la regola.... E poi si vedrebbe se ha lasciato disposizioni per il funerale.
— Questo sì. È vero.
D’accordo, silenziosi, si posero a guardare, a frugare. Ma il sospetto li dominava. Appena che uno avesse aperto un tiretto, gli altri due gli erano sopra, trattenendo il fiato, col cuore che batteva. E si sorvegliavano, non abbandonandosi mai cogli occhi.
In questa lotta coperta, i volti indurivano, prendendo una tinta terrea sotto il lume vacillante della candela; le pupille scintillavano di cupidigia repressa; le mani tremavano — specie le mani della figlioccia, bianche ed affilate in mezzo ai cenci capovolti, ai batuffoli scoperchiati, essendosi già ferita ad un chiodo dell’armadio, ma non prendendo neppure il tempo di asciugare la gocciolina di sangue che lasciava qua e là una striscia sulle biancherie.
Improvvisamente lo zoppo lasciò cadere il suo bastone e prima di raccoglierlo brancicò a lungo fra le gambe del tavolino, rialzandosi poi rosso rosso, col pugno stretto.
— Ebbene?
— Che cosa?
— Mi sembrava....
Egli aveva frattanto cacciata la mano in tasca e levatala, colle cinque dita tese, si passò il fazzoletto sulla fronte.
— Non troveremo nulla — disse la figlioccia con accento secco, già stanca di quella inutile fatica.
— Voi, ve l’ho già detto, dovreste andare a riposarvi! — garrì la vecchia.
— No, no. Sto qui piuttosto accanto al mio povero padrino a recitargli il rosario, così anche dal mondo di là potrà vedere e giudicare chi gli vuol bene.
Fratello e sorella, dopo di aver girellato ancora un poco sempre l’uno sulla pista dell’altro, vennero a sedersi anch’essi vicino al morto biascicando avemarie, presi da una repentina tenerezza per quel loro fratello di cui non avrebbero più udita la voce.
Senonchè, rammentando la voce, tornavano loro a memoria i litigi avuti in parecchie occasioni, sempre che l’interesse fosse della partita; e come egli, primogenito, li avesse trattati male al momento della divisione, tenendosi il bene ed il meglio. Questa riflessione li consolò.
— Se potessi trovare solamente l’anello della mia povera madre! — tale pensiero attraversava la mente della vecchia, intanto che le labbra mormoravano preghiere. — Esso mi viene di diritto sacrosanto.
Mi viene, mi viene: continuava a borbottare tra un requiem e l’altro, mentre il capo le ciondolava, vinto dai primi attacchi del sonno. Ma sobbalzò, udendo il te tec, te tec, ripercosso sull’ammattonato della stanza vicina.
— Che fai lì?
— Nulla.
Si alzò essa pure, non volendo ad ogni costo cedere al sonno; e ripresero a vagolare misteriosamente, muti, nel duplice silenzio della notte e della morte. Il bastoncino dello zoppo, co’ suoi colpi cadenzati, destava un’eco sinistra che sembrava anticipare le palate di terra sulla fossa.
Che gente! — pensava la figlioccia, stringendosi tutta e rabbrividendo per il luogo, per l’ora, per la situazione — mossa anch’ella da brame cupide, ma persuasa che fossero più gentili perchè più gentile ne era la forma.
Anche nella sua mente passava la visione delle lenzuola fine, delle posate, delle maioliche, del vecchio anello a castone con una miniatura sopra smalto azzurro; e li desiderava; ma il suo era un desiderio fine, intelligente, una intuizione che tutta quella roba in mano di villani era, come dire, perle gettate ai porci. Per nient’altro la desiderava.
E poi, che ne avrebbe fatto Marco, senza famiglia, un beone grossolano? e quale costrutto ricavar ne poteva la vecchia già prossima alla tomba? Ma a lei giovane, lei educata, lei elegante, lei di buon gusto.....
— Oh! mio povero padrino — irruppe con uno scoppio di lagrime — povero, caro e amato! Oh! mio padrino che non puoi vedere, che non puoi parlare più!
— Commedie — borbottò lo zoppo, col naso ficcato dentro un armadietto dove stavano riposti liquori e vini scelti, preda che la sorella gli aveva abbandonata.
Abbandonata tanto più volentieri perchè intanto ella continuava a girare per suo conto, ingrossandosi i fianchi di protuberanze misteriose, cacciandosi ad ogni poco la mano in seno e nelle tasche.
La figlioccia, in quella lunga veglia, aveva presunto troppo dalle sue forze. Si sentiva sfinita, rotte le ossa, con un brivido per tutto il corpo; appoggiava ad ogni poco la testa contro il letto, ma il raccapriccio e la tristezza del cadavere ne la facevano allontanare. E tutta questa debolezza fisica accresceva il sentimentalismo del suo dolore che si sfogava in gemiti, in sospiri, in lagrime; in mezzo alle quali sorvolava tuttavia il rimpianto acuto del bene che stava per perdere.
Se il padrino non aveva fatto testamento, addio roba!
L’aculeo di tale pensiero le accresceva ancora i sospiri, per modo che la camera era tutta piena di lei e del suo dolore. Ma sollevando spesso gli occhi lagrimosi ad un altarino dove il defunto venerava, tra due palme di fiori di carta, una statuetta della Madonna, era attratta suo malgrado dal disegno di una trina antica che circondava i piedi della Madonna — una cosa da nulla, mezzo metro, tanto da cavarne un paio di manichini....
Non era forse vero che, se ella avesse chiesto quel pezzetto di trina all’adorato padrino, egli l’avrebbe concessa? E se invece la prendeva adesso, di moto proprio, non potendo più chiederla a lui, che gran male! Le restava almeno un cencio di ricordo, il solo, se quella gentaccia le negava il resto.... quasi un diritto. Oh! ed essi che cosa facevano girellando per la casa?... la derubavano com’è vero Dio! La derubavano, lì sulla faccia, spudoratamente, da quei villanacci esosi che erano, che si sarebbero proprio meritati un testamento contro!
Si alzò, barcollando, e andò a smoccolare la candela.
La notte stava per finire. Un chiarore biancastro rompeva le tenebre della finestra, battendo sul rigonfio del letto formato dal cadavere.
La vecchia, che si era appisolata sopra una cassa, si alzò pur essa. Di fronte, nel primo raggio dell’alba, le due donne si guardarono.
— Se Dio vuole è finita! — disse la vecchia, cercando, sotto il livido della faccia che aveva davanti, i segreti pensieri.
L’altra, muta, osservava le dimensioni prese dalla gonna e dal busto della vecchia.
Si squadravano, si pesavano a occhiate, si insultavano reciprocamente in un silenzio cupo, concentrato, dove le narici sole fremevano a guisa di segugi in caccia.
Te tec, te tec... La testa da satiro dello zoppo apparve in mezzo a loro, trasfigurata dall’emozione.
— Ho trovato il testamento! — gridò sollevando in alto un rettangolo bianco.
Fu un momento di angoscia indescrivibile. Tre cuori sospesero per un’istante le loro pulsazioni, tre vite si concentrarono in uno sguardo acuto, assorbente, quasi feroce...
Un raggio di sole entrava, obliquo, ad illuminare il letto dove il morto riposava, completamente staccato dalle miserie terrene.
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