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La roba 35


enorme coi manichi arabescati, col piatto di sopporto frastagliato come una trina?

Posate d’argento ce ne dovevano essere almeno sei o quattro o tre; ma esserci insomma. E chi le avrebbe avute? Forse suo fratello Marco, celibe, dissipatore, beone? Forse quella gatta morta della figlioccia, colle sue arie di falsa signora, e che alla fin dei conti non c’entrava per nulla, legittimamente?

I pensieri di Marco, il fratello, non erano tanto complicati. Egli trascinava in giro per la camera del morto la sua gamba zoppa appoggiata al bastoncino — te tec, te tec — e fiutava la roba complessivamente, con una vaga speranza che egli potrebbe essere, per il fatto del sesso, l’unico erede.

La figlioccia sì che si desolava!

— Se il padrino non ha fatto testamento non mi danno nulla..... e dovrò vedere tanta bella roba artistica (aveva studiato per maestra e conosceva i vocaboli) cadere nelle mani di codesti villani cornuti, cui muove solo il vile interesse.

Tanto lo zoppo quanto la sorella avrebbero voluto che la figlioccia fosse lontana; ma come metterla su di una strada a notte fatta? Quanto all’accompagnarla nessuno di loro voleva esser quello, per non lasciare l’altro solo in mezzo alla roba. Intanto si gettavano occhiate furibonde, finchè la vecchia non potendo più contenersi disse: