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che a dare delle informazioni intorno alla pronunzia lancianese, e delle dichiarazioni sulla ortografia relativa, accompagnate da riscontri, credo, non inutili a chi incomincia lo studio del patrio idioma.

Nel Vocabolario, oltre a notare dei riscontri con le forme originarie, ho ceduto qualche volta alla forza irresistibile di manifestare i miei sospetti intorno ad alcune etimologie. Chiuse in parentesi e rincantucciate senza pretensione in fine di paragrafo, spero che quelle indicazioni non abbiano a far male a nessuno. In ogni caso, a una franca confessione della colpa non si negheranno, spero, le circostanze attenuanti.

6. Se niente altro rimanesse ad attestare l’antica differenza di tipo etnico, basterebbe la lingua per dedurne che i toscani sono i discendenti di quegli etruschi le cui civili istituzioni e le arti si svolsero in forme anche oggidì ammirate; e noi, stirpe sabellica, proveniamo da quel ceppo osco le cui propaggini ebbero in ogni tempo reputazione di forti. In bocca toscana, la parola è tornita, finita in ogni parte, e vibra come onda musicale; in bocca abruzzese, è semplicemente qualcosa che serve a comunicare il pensiero pur che sia. Nella nostra parola, niente di artistico; tutt'altro! Ogni comune ha modulazioni proprie, per cui ci è facile riconoscerci; ma tutte più o meno ingrate, e alcune così poco umane, che a noi stessi non par vero. V’ha di più, che oltre a potare con frequenti aferesi ed apocopi le parole, e di strizzarle con sincopi ed etlissi, poichè non ci cale che della tonica (a sua volta, per circostanze che saranno determinate, soggetta a non rari mutamenti) delle protoniche e postoniche facciamo mano bassa. Aggiungi, che il suono netto delle vocali non essendo di nostro genio, iniziali, quando restano, le aspiriamo; mediane, curiamo sempre di evitare l’iato;1 finali, non accentate, ne riduciamo il suono a un che d’indistinto: una specie di e muta. Da ultimo, nella lancianese, come nelle altre parlate abruzzesi, è notevole il costante passaggio delle consonanti tenui in medie per influenza di n. Il che conferma che se questa regione è tuttora di genti vel fortissimarum Italiae (Plin., III, 11), la nostra lingua non ha muscoli robusti ed agili come le nostre braccia, e che la nostra parola, sempre “opicante„, è lontana dalla venustà toscana.

Per le popolazioni che vivono tra il Gran Sasso, la Maiella, e il Velino, ciò che è piccino dovè parere spregevole. Così a confronto della dovizia toscana, ristretto è il numero dei nostri diminutivi; e tra questi, il più comune è quello che già



  1. Spesso, anche delle consonanti evitiamo l’incontro con epentesi di vocale
    Ved. n. 115.