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inchiuse un’idea di spregio: ‟uccio„. — Inoltre, parecchi nomi, che nel toscano sono di genere femminile, noi li facciamo maschili.

Tuttavia, questi sciatti parlari sono, in certo modo, i nostri migliori titoli nobiliari. Più che non i ruderi di bronzo, di pietra o di terra cotta, essi fanno testimonianza del tempo remoto nel quale i diversi idiomi italici si andavano conformando al latino. In quella fusione, che fu prima forma (romanza) della lingua nazionale, la nostra individualità etnica non aveva a perdere molto di se stessa;1 in guisa che anche oggi, per mezzo del nostro dialetto, ci è dato distinguere alcuni lineamenti caratteristici della nostra razza: nel linguaggio, più tenace delle stesse tradizioni e delle attitudini fisiche e morali, rinvenire i tratti fisiognomici di quei nostri progenitori, pei quali la storia, intenta a dir di Roma, non ha che poche e monche parole.

Nè all'assimilazione toscana (alla quale, e non già alla moderna Roma, dobbiamo l’esser oggi una nazione ‟italiana„) abbiamo resistito meno. Onde avviene:

a) Che se pure abbiamo forme sintattiche ricalcitranti e parole senza fine che ci è d’uopo imparare a pronunziare ortofonicamente, ne abbiamo altresì non in scarso numero che, in ricognizione dell’egemonia, dobbiamo imparare a pronunziare in modo diverso dal tipo fonetico originario (Es. Òpie, Capone, Caméle, Pruvéde’, Paròcchie, Muche, Alume, Sabbete, Caròfene, Ache, Séche, Spiche, Lache, Lóche, Macre, Secréte, Ánese, Façióle, Ceraçe, Jóche, Juva’, Jùdece, Judìzïe, Ssaudì’, Ssercetà’, Sequì’, Patre, Matre, Córïe, Máscule, Déce, Péde, Méte’, Virde, Sicche, Lònghe, Çìmïe, Muçe, Nuce, Rùvere, ecc.). dal che si vede che alcune modalità etniche, originariamente comuni alle favelle osca, umbra e latina — derivanti da una madre lingua, che fu quella degl’Itali di stirpe ariana — hanno avuto presso di noi più tenace vita, per modo che nel parlare siamo non di rado più latini di coloro che furono latini una volta.2



  1. Mentre i latini non intendevano senza interprete o senza averle studiate, le lingue etrusca, gallica e greca, non solamente intendevano l’osco, ma si dilettavano a sentire le commedie (atellane) recitate in tale lingua, la quale, se non la stessa cosa, come alcuni opinarono, fu certamente molto affine al sermo vulgaris dei latini.
  2. Anche più che nel lancianese, si nota in molti altri nostri subdialetti la grande frequenza di dittonghi. Nel qual fatto è da riconoscere uno stadio delle nostra vita linguistica simile a quello del latino non ancora divenuto il sermo urbanus trasmessoci dalla scrittura. Tuttavia, di speciale interesse è la parata lancianese, non solamente perchè è quella di una città, che ora, come negli antichi tempi, è tra le più popoloso e importanti della Regione, ma anche perchè, al pari dei sottodialetti parlati nei comuni sulla riva sinistra del Sangro, lontana dalle influenze del Molise, della Campagnia, del Lazio, dell’Umbria e delle Marche, è una delle più schiettamente abruzzesi.