Vecchie storie d'amore/II/Dio lo vuole!
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | II - La salvazione di fra’ Gerunzio | II - Disperazione | ► |
DIO LO VUOLE!
Con soave accondiscendenza la giovinetta avvolse il braccio al collo di lui e gli rispose con sommissione pudica; poi, stanca, abbandonò il capo al cuscino e a poco a poco, chiusi gli occhi, s’addormentò. Riccardo la sentiva così dormire; la sentiva alitare e palpitare, e sembrava che dal contatto gli derivasse allo spirito commosso una tenerezza mesta e un trepido senso di pietà: il suo spirito riagitato da un sentimento piú antico e profondo che l’amore, ma che tuttavia l’amore gli deprimeva dentro, già tremava e sbigottiva in un presentimento di pene prossime e fatali.
Rifletteva. Nel giorno aveva visti molti cavalieri apparecchiarsi al passaggio a cui il principe Edoardo d’Inghilterra e il conte di Brettagna erano stati chiamati da Luigi il santo, e di quelli egli aveva compresa e raccolta la gioia impetuosa dell’andare a combattere i nemici della fede. Ma egli pensava che non poteva partire, per la sua donna.
Per le donne di Antiochia vendute all’incanto, per i fanciulli ceduti schiavi agli schiavi, per le vergini insozzate dai mamalucchi partivano i re. Partivano i nobili inglesi e scozzesi per i fratelli cristiani di Palestina e di Siria minacciati dalla ferocia di Bibars. Ma Riccardo non poteva partire.
Bibars il sultano feroce aveva distrutti i templi di Maria in Antiochia e in Nazareth e sparsi al vento e al fuoco i vangeli e sugli altari scannati i sacerdoti di Cristo; i guerrieri di Soppé e di Safad erano morti trucidati tutti ad uno ad uno al cospetto di Bibars. Ma Riccardo non poteva partire.
Sui morti rimasti insepolti a Joppé ed a Safad brillava, la notte, una luce celeste e i guerrieri di Francia, di Spagna e Sicilia, già in terrasanta, incontro a Maometto cantavano:
Vexilla Regis prodeunt: |
Riccardo non voleva partire. Rifiutava l’onore del corpo: alla salute dell’anima non voleva pensare. Pensava. Quando, ecco parergli che il buio della camera s’estendesse senza limiti, enorme come quello dei ciechi, e ch’egli, fuori di sé, vi smarrisse la coscienza corporea: quando, ecco nella nera oscurità balenare una luce viva da una croce di fiamma e dalla croce uscire il suono di queste parole sensibili, quasi luminose anch’esse: — Dio lo vuole! Va!
La moglie si destò atterrita al terrore di lui ed egli, tornato in sé medesimo, affannosamente le diceva della miracolosa visione. — Io ho paura di Dio — egli diceva — . Mi bisogna andare in questo passaggio — . Ma la donna tacque, e poi ruppe in pianto e tra i singhiozzi si dolse che non per sí breve letizia ella aveva sofferto tanto nel suo lungo ed avversato amore e tante rampogne soffriva ogni giorno dal parentado ricco e superbo. Pure, dopo molto pregare e piangere, essa fu queta e persuasa alla volontà divina, e toltosi un anello di dito lo diede a Riccardo dicendo: — Questo vi ricordi me e la mia fede e il frutto dell’amor nostro se con il mio dolore potrà crescere in me. —
Riccardo abbracciò la donna.
II.
Quando Edoardo d’Inghilterra fu sbarcato al lido cartaginese re Luigi nono era già morto. Invano il Santo ricoperto di cilicio sopra un letto di ceneri aveva mormorato fra i respiri estremi: Jerusalem! Jerusalem!, perché il re di Sicilia conchiuse una tregua, levò l’assedio da Tunisi e affrettò i suoi ed i Franchi al ritorno.
Ma non tornarono essi i guerrieri d’Inghilterra; e per recar innanzi i vessilli della croce tracciarono dei loro corpi la via fino a Nazareth quanti, a cento a cento, perirono di caldo, perirono di fame o avvelenati dal miele dai frutti e dalle erbe che ne ristoravano a pena la fame. A Nazareth le schiere decimate non trovarono da massacrare che un popolo d’inermi. E bisognò che ritornassero: senza gloria di geste, senza ricordi e speranza d’imprese generose tornare! Tornare senza aver tócca una ferita combattendo! Cosí Edoardo d’Inghilterra, colpito di pugnale e a tradimento in San Giovanni d’Acri, non fu tosto risanato che, quasi fuggisse la maledizione, fuggí di Terrasanta.
E tra alcuni che rimasero infermi in San Giovanni d’Acri fu pure Riccardo; e vi rimasero poveri in modo che, riavutosi a stento dalla malattia, Riccardo dovette procacciarsi il pane con umili fatiche. Egli temeva non rivedere mai piú la sua donna lontana.
San Giovanni d’Acri a quei giorni era peranche la piú bella città della Siria: una città lussuriosa. Ampio il porto, dove le navi europee scambiavano merci e ricchezze; alte e dipinte le case; i palagi del re di Gerusalemme e del re di Cipro e dei principi di Galilea, di Cesarea, d’Antiochia, di Tripoli, di Tiberiade, Tiro, Sidone erano magnifici, con vetriate che riflettevano il sole: príncipi e re coronati e gemmati passeggiavano per le vie incontrandosi con i mercanti di Venezia, Genova e Pisa, e con Francesi e Inglesi, Tartari e Armeni, e nelle piazze protette contr’il sole da paramenti di seta e di sargia giostravano i cavalieri a spettacolo e ad onore di dame sfarzose e superbe. I chierici stessi smarrivano Dio tra le ricchezze e i piaceri. Il che considerando Riccardo, dopo la delusione delle imprese sognate in patria con mente fervida e pura, dopo l’abbandono dei compagni che erano stati ricordevoli solo di sé, e nella vicenda di fatti pei quali sembrava che Cristo dormisse affinché trionfasse la gente dell’Islam, perdette anch’egli a poco a poco la luce, la guida e il conforto della fiducia divina; e la necessità quotidiana delle fatiche volgari gli oscurò, gli restrinse il pensiero ed il cuore. Ma l’affetto, che aveva posposto alla fede, risorse allora a sorreggerlo piú vivo e piú intenso; e come la fortuna cominciò a secondarlo, per quel desiderio di allietare un giorno con la ricchezza la sua donna e il figliolo, se gli era nato e cresciuto, protrasse il ritorno anche quando n’ebbe occasione propizia. Perciò, e perché non temeva piú Iddio, si diede a trafficare per vie non lecite e a prestare ad usura; e accumulava i quattrini. Tuttavia, in tanta cupidigia, quell’affetto buono di cui solo nutriva il cuore e il pensiero lo conteneva in una delle antiche virtú, una sola: viveva casto. Egli guardava religiosamente l’anello della sua donna.
III.
Un giorno, e non seppe né dove né come, Riccardo perdette l’anello; e n’ebbe grande dolore, e solo dopo assai tempo poté darsi pace di questa sventura. Ma perduto l’oggetto del ricordo perdette anche la tenacia e la virtú del ricordo, ed il freno di sé. Meditò l’adulterio a pena s’avvide che la moglie d’un suo amico e compagno di traffici lo adocchiava proterva; e, avendo agio a praticarsi, dopo poco e facilmente essi s’intesero fra di loro.
Quando, nell’abbraccio dell’adulterio, ecco che dalla attitudine disonesta e incomposta di quella donna il pensiero di Riccardo fu respinto a vedere la moglie nella sommissione vergognosa e pudica delle prime strette nuziali, ed ecco che il raffronto gli ridestò vivo, preciso, sensibile tutto che della moglie aveva smarrito e obliato: le sembianze, la voce, lo sguardo, il respiro. Egli sobbalzò repugnando; e di meraviglia la donna rise, salace. Ma Riccardo riudiva la moglie raccomandarsi al suo amore e raccomandargli la fede in lei mentre piangeva e gli porgeva l’anello, e nello spinto, respinto da quel ricordo d’amore alla fede antica di Dio, egli ebbe anche l’allucinazione dell’antico portento: — Torna a Dio ed in patria. Va!
Così quella voce che l’aveva ammonito con visibile segno ad andare al passaggio, l’ammoniva ora, oscura nell’animo, e sembrava che gli dicesse quest’altre parole: — Se la tua donna potrà riconoscerti e ti sarà rimasta fedele, Dio t’avrà perdonato. — Riccardo fuggì dalla donna e recatosi da un cavaliere dell’Ospedale, uomo di probità conosciuta, l’impegnò a distribuire fra i poveri di Tolomeide le sue ricchezze male acquistate: né di quanto aveva acquistato con onesta fatica ritenne piú del bisogno ad imbarcarsi in una nave che quel giorno stesso salpava da Acri.
IV.
Il pellegrino finalmente ha toccato il suolo della patria; ma ha la schiavina tutta lacera, i piedi nudi e il sangue infermo per il malore che già lo gravò con affanno mortale. Imprende il suo viaggio ristando qua e là a domandare elemosina e sospinge lo sguardo in cerca delle sue montagne ancora indefinite nel cielo remoto, come ondeggiamenti di nebbia: la strada si dilunga innanzi bianca infuocata immutabile. Egli cammina. Lunga la strada, e la casa molto lontana; brevi i riposi, e a frusti il pane della carità. Egli cammina, cammina.
Finché l’occhio non vaga piú per luoghi mai visti, ma corre ai monti nativi che acquistano linee precise nel chiaro azzurro, e il pensiero misura la distanza alla meta: anche pochi giorni di viaggio. I piedi laceri e le membra corrose dal male; assidua scòrta, la morte. Egli cammina, cammina.
Rivede estenuato e angoscioso i luoghi amici: i bei luoghi. Anche un giorno. Rivede il colle ridente nel sole ed il paese bianco tra il verde: in capo al paese il castello paterno. Anche un’ora. Non piú stanchezza, non male: mormora a costo la strada il ruscelletto dall’acqua pulita, e non beve; un cane gli esce contro di furia, non teme. Egli cammina e guarda innanzi, come in un sogno; e l’intento dell’animo al prossimo fine lo trascina ansante barcollante muto su per l’erta al castello.
Nell’androne è una turba di miseri ai quali ad uno ad uno la dama fa la carità con atto umile e mesto, e un gentil fanciullo aiuta la madre nella cura pietosa e sorride: il pellegrino muto, a capo basso, in ginocchio, attende il perdono di Dio, mentre dicono i poveri: — Dio ve ne renda merito. — E la donna dice: — Pregate Dio che mi torni Riccardo!
Senza sospetto, in fine, ella porge una moneta a Riccardo e s’avvia; ma l’ignoto mendico con la foga degli ultimi spiriti avvinghia delle braccia il figliolo e lo stringe, disperatamente, e lo bacia, e al grido del fanciullo la donna manda un grido di terrore e d’amore vedendo il marito cadere, corpo morto, riverso.