Una campagna autonomistica/Riassunti di discorsi/L'autonomia del Trentino e la questione comunale

Riassunti di discorsi - L'autonomia del Trentino e la questione comunale

../L'eloquenza delle cifre IncludiIntestazione 29 dicembre 2023 100% Da definire

Riassunti di discorsi - L'autonomia del Trentino e la questione comunale
Riassunti di discorsi - L'eloquenza delle cifre

[p. 65 modifica]


L’autonomia del Trentino

e la questione comunale1




Ho assistito ieri ad Innsbruck ad un comizio nel quale prevalevano due elementi: l’operaio e lo studentesco. Oggi qui in Levico io vedo vicino ad una larga rappresentanza degli operai e dei contadini il fiore della cittadinanza borghese. Quest’unione del braccio colla mente è un augurio ottimo per le nostre lotte. Dovunque avvenne, esso fu foriero di vittoria. I movimenti più belli, più efficaci, della storia italiana nel ’48 sono quelli voluti e determinati dall’unione delle forze proletarie colle forze intellettuali.

Informino le cinque giornate di Milano, dove un filosofo, un pensatore, Carlo Cattaneo, si metteva alla testa delle schiere operaie. Informi quel che ora avviene nelle Russie. Se oggi il trono dell’assolutismo vacilla non è già perchè contro di esso hanno appuntato le armi i letterati, i filosofi, gli studiosi, non è già perchè torme di operai si dieno alla rivolta; è perchè è avvenuta l’unione tra le due forze, tra il braccio ed il pensiero, fra la gioventù pensante e le classi operaie.

La nostra lotta per l’autonomia — confermiamolo sinceramente — non apparve negli ultimi anni come lotta di tutti gli [p. 66 modifica]elementi formanti la nostra popolazione; fu tale nel 1848; ora, per l’apatia delle classi dirigenti che si tennero troppo lontane dalle classi lavoratrici della città e della campagna, s’era ridotta a lotta di una sola classe, della classe dei privilegiati da quel complesso di leggi politiche vigenti in Austria, conservate qui nel cuore d’Europa, quale un museo vivente della barbarie medioevale.

Eppure, l’ottenere la cooperazione di tutte le forze trentine per la conquista della nostra indipendenza economica, non è, nè dovea esser nel passato, cosa difficile.

Astraendo da quelle ragioni, per cui ogni cittadino nel proprio interesse deve desiderare l’interesse, l’incremento, la prosperità della collettività a cui appartiene, qui vi sono cause speciali che ad ogni singola casta fanno apparire come direttamente utile la riforma del sistema amministrativo, che ci delizia. Dall’ultimo degli strati sociali al più elevato, dal piccolo possidente all’industriale, dall’artigiano all’operaio, dal commerciante al maestro, allo studente c’è per ciascuno una ragione peculiare a volere scosso il giogo dell’amministrazione tirolese.

Il contadino, piccolo proprietario, che vive stentatamente sudando sul piccolo campicello, non può adattarsi alle leggi fatte per la possidenza tedesca: studi pure il D.r Grabmayr il limite da porsi all’ipotecamento della piccola possidenza. Qui dove le ipoteche corrispondono al 200% del valore reale, non c’è più da studiar limiti.

D’altre cose varrebbe la pena di occuparsi: del modo di aiutare col credito il piccolo contadino, delle leggi contro la pellagra, una malattia che non sancisce l’unità della provincia perchè è solo nostra, tutta nostra. E son problemi che nel Tirolo, nel vero Tirolo non si conoscono.

Il possidente — grande e medio — che ritrae il sostentamento da culture che non prosperano nel Tirolo settentrionale, dall’allevamento dei bachi, dalla coltivazione della vite, non sa che farsene delle leggi fatte per la protezione dei «masi chiusi» dove il prato s’alterna col bosco e coi campi coltivati a cereali, e dove vige un sistema di eredità che è l’opposto di quello in uso fra noi. [p. 67 modifica]

L’industriale e il commerciante hanno qui rapporti e interessi differenti da quelli dei tirolesi; hanno da soddisfare a bisogni, a gusti differenti. Hanno come punto di partenza una ben diversa condizione di cose, un diverso sviluppo economico.

Il maestro non può adattarsi a regolamenti, a pratiche e a sistemi che possono magari esser ottime pei figli di Arminio e sono pessime per noi. Colla lingua abbiam differenti le qualità dell’ingegno, l’indole, il carattere: tutto quello che deve saper plasmare un maestro.

E l’operaio? Dannato il nostro all’emigrazione, stabile invece l’operaio tirolese. Bisognoso il nostro di leggi speciali, di protezione nei suoi dolorosi pellegrinaggi d’emigrazione, di cose che non pensano a darci i vicini del Nord.

Per ogni abitante di questa nostra terra, viva esso alla pianura, sui monti, nelle valli, sia ricco o povero, colto od analfabeta v’è qualche specifica ragione impellente che gli fa sospirare, desiderare l’indipendenza economica del proprio paese.

Bisogna esser elementi affatto estranei al paese, essere funzionari mandati qui d’altre regioni a governarci, come nel medio evo si mandavano i capitani di ventura (non parlo degli impiegati piccoli e medi che se anche estranei si immedesimano subito colla popolazione e sul magro bilancio delle loro famiglie sentono gli effetti dello sfavorevole ambiente economico in cui vivono), bisogna esser gente che non sa avvicinarsi al popolo, che vive solo nel mondo delle formalità burocratiche o inebbriata del potere di cui dispone, per non sentire uno stimolo a far causa comune con esso, a schierarsi con esso in difesa dei suoi diritti.

E questo spiega perchè l’alto clero e i vescovi, che in fin dei conti sono alti impiegati, si siano sempre pronunciati contro l’autonomia del Trentino, o nel migliore dei casi, pur avendo mezzi potenti per aiutarci, siano rimasti inerti, indifferenti.

La storia dei principi vescovi che tennero il principato trentino non è mai stata del resto la storia del popolo trentino.

E a chi non credesse al disprezzo che per l’indipendenza nostra ebbe la curia vescovile negli ultimi decenni, basterebbe ricordare il classico esempio del Principe Vescovo Pietro Vigilio [p. 68 modifica]che al principio di questo secolo contrattò con lo straniero la vendita del principato.

Ben diverso da quello degli alti prelati le cui rendite sono di decine di migliaia fu il contegno del clero minuto, che nella lotta per l’autonomia seppe molte volte ribellarsi alle imposizioni politiche della corte vescovile.

Contro l’autonomia qui non ci posson essere che coloro che vivono come piante esotiche e parassitane, non coloro che qui sono nati e vissuti, e dal paese non solo ritraggono, ma ad esso danno sostentamento.

Questa condizione di cose ha fatto sì che ogni partito politico del Trentino, sostenuto, composto di elementi paesani, debba esser per necessità di cose autonomista.

Ed autonomista sarà tanto più schiettamente quanto meno sarà influenzato da elementi parassitari che in esso si abbiano ad infiltrare. A qual partito io alluda, ognuno capisce.

Appunto perchè ogni partito trentino è favorevole all’autonomia, io socialista, posso dir cose, esprimere a questo riguardo idee condivise da tutti, quantunque ci sieno anche ragioni peculiari per cui le masse operaie — costituenti il partito socialista — posson desiderare l’autonomia.

La classe operaia sente in doppia misura i torti che si fanno alla borghesia trentina. L’operaio soffre dovunque del suo stato di minorità di fronte alla borghesia; ma qui doppiamente soffre, perchè contro di lui sta una borghesia alla sua volta sfruttata da un’altra borghesia.

Le ragioni fondamentali per cui tutti i partiti paesani sentono di dover aspirare all’autonomia sono uguali. Io le voglio accennare rapidamente per soffermarmi poi con maggior agio ad una.

Ci sono ragioni storiche e di queste parlo non perchè riconosca ad esse un valore, ma per rispondere ad un’obiezione degli avversari.

Il Trentino ha sempre costituito da’ tempi romani fino al 1814 uno stato a sè, affatto indipendente dal Tirolo.

Gli avvenimenti di quell’anno lo hanno aggregato all’Austria [p. 69 modifica]e in essa al Tirolo. Gli storici tirolesi che per loro uso e consumo hanno costruita e inventata la storia trentina voglion dimostrare che un’indipendenza il Trentino non la ebbe mai, che esso per un verso o per l’altro fu sempre soggetto al Tirolo. La storia invece fatta dai galantuomini ci dice che i Tirolesi hanno ben sempre avuto il desiderio di tenerci soggetti, ma che non ci sono mai riusciti e che ad ogni loro tentativo il paese oppose efficace e valida resistenza.

Che fino al 1814 il Trentino fosse un quid a se, non una parte del Tirolo, fu sancito dalla corona stessa che accanto al titolo di Conte del Tirolo mettea quello di Principe di Trento. Che si vuole di più?

Ma a noi dei «diritti storici» non importa proprio niente.

Fosse stato fino ad ieri soggetto il Trentino al Tirolo, non sarebbe questa una ragione perchè dovesse restar tale domani. Una volta che un popolo ha la forza, la capacità e sente il bisogno di governarsi da sè, non v’è più per nessun altro popolo il diritto di imporglisi a tutore. Le stesse, nazioni civilizzatrici di popoli barbari, compiuta la loro missione, hanno dovuto dare la libertà alle colonie da esse civilizzate e quando non vollero darla ebbero a pagarne duramente il fio. L’Inghilterra ne sa qualcosa.

Ma noi, per Dio, non siamo un popolo che debba la sua civiltà nè ai tedeschi, nè al Tirolo. Noi senza orgoglio possiam dire agli avversari nostri che eravamo grandi quando loro non eran ancor nati. Possiamo ricordare che da Roma — la madre della nazione nostra — la civiltà si diffuse per quasi tutta l’Europa e trasse le genti germaniche dallo stato di barbarie a quello di civiltà.

Noi non siamo degli inetti, degli incapaci, dei barbari. E se volessimo ragionare a modo dei nostri avversari e volere lo statu quo del passato, potremmo anche oggi invocare il predominio di Roma e sull’Europa e sull’Africa e sulle coste asiatiche.

Se il passato merita ogni rispetto per gli ammaestramenti che può darci, non merita niente affatto d’esser conservato in ciò che oggi è in vivo contrasto colla coscienza moderna. I tirolesi non vorranno oggi ripudiare le ferrovie, il telegrafo, il telefono e tante altre invenzioni perchè non c’eran nel passato, [p. 70 modifica]

Quel che vale per noi è non il diritto storico, è il diritto naturale. E questo si basa sui bisogni, sulle necessità. Per un popolo la necessità prima è quella di viver bene, di educarsi, di elevarsi. Viver bene ed elevarsi intellettualmente sono due cose che si completano a vicenda; giacchè un popolo tanto più cresce in civiltà, quanto più economicamente sta bene e viceversa.

Ora non v’è progresso, non v’è civiltà pei popoli che vivono sotto tutela. E la libertà quella che crea gli organismi vitali, che feconda le iniziative, che educa i caratteri.

Libertà dunque di reggerci da noi, noi vogliamo.

Ma là coltura non v’è senza il mezzo di comunicazione, senza la lingua.

Difendere, coltivare questa, vuol dir difendere la coltura e a questo compito non può giovare un organismo amministrativo tedesco che deve far leggi per scuole italiane, per maestri italiani.

Sottometterci ad un’amministrazione tedesca vuol dire privarci della vita nazionale, privarci dei benefici di quell’ideale che ha riempito di sè il secolo passato e che nella stessa Germania, fra i nostri avversari d’oggi, s’è realizzato con tanto sacrificio di sangue.

I tedeschi non hanno diritto ad opprimerci senza rinnegare la storia loro, senza insultare la memoria del loro Tirteo, di Teodoro Körner, dei loro martiri, dei loro padri più illustri.

Per crearsi questo diritto sapete che cosa hanno pensato? Hanno inventato la favola che noi siam tedeschi italianizzati e dobbiamo ritornare tedeschi. Noi senza inventar frottole potremmo davvero dimostrare che la lingua nostra si spingeva un tempo al di là di Bolzano, fino a Merano; eppur di fronte alla realtà del presente riterremmo stoltezza il vantar diritti su Merano e Bolzano.

Intimamente connesso colla coltura e colla civiltà è lo sviluppo economico di un popolo. E che razza di sviluppo economico ci sia concesso dall’amministrazione tirolese è troppo noto. Il paese nostro è povero, stremato, non ha commerci, non ha industrie, non ha strade, non ha vie ferrate; non ha che debiti, ipoteche, imposte enormi da pagare, pel gusto di vedere i propri denari consumati in favore altrui. [p. 71 modifica]

E non ci tengo qui a ridir cifre, e ragioni che dissi, altre volte e dalle quali chiaro appare che contendendoci il diritto ad un’amministrazione nostra ci si contende il diritto alla vita.

Ho parlato di diritti naturali; e mi par di sentir qualcuno invitarmi a ragionar d’altri diritti, e cacciarmi sotto il naso il libro dei diritti austriaci. Ebbene anche a questo io mi appello in difesa dell’autonomia del Trentino.

Mi appello al capitolo XIX della costituzione austriaca il quale prescrive che tutte le nazioni dello stato abbiano eguali diritti, e che ogni singola nazione abbia l’inviolabile diritto di conservare e di coltivare la propria nazionalità ed il proprio idioma.

Non esiste in Austria una norma di diritto per la delimitazione delle provincie, ma la necessità di un differente assetto politico-amministrativo fu sancita colla concessione di diete speciali alle varie provincie dello stato, e precisamente ognun sa che la Slesia, la Bucovina, la Carinzia, il Salisburghese furono erette a provincie solo nel 1849 mentre prima erano aggregate; la Slesia alla Moravia, la Bucovina alla Galizia, la Carinzia alla Carniola, il Salisburghese all’Austria superiore. Il Vorarlberg ebbe dieta propria nel 1861. Al Litorale furono assegnate tre diete. E molti di questi paesi — fatti autonomi — hanno analogia col nostro; molti anzi hanno meno abitanti e minor estensione del Trentino.

Si aggiunga poi che in nostro favore milita il fatto che nel Trentino la popolazione appartiene nella sua quasi totalità ad un solo idioma.

Mi appello al codice civile austriaco che nel suo § 830 accorda ad ogni consorte la facoltà di domandare che cessi la comunione purchè non intempestivamente od in pregiudizio degli altri.

Mi appello infine al regolamento comunale per la principesca contea del Tirolo il quale nel suo § 3 del Capitolo I stabilisce che più comumi riuniti od anche uno solo possono venire suddivisi in comuni locali, quando ognuno possegga i mezzi di prosperare. [p. 72 modifica]

Anche attenendoci alle norme della legislazione austriaca e tirolese, noi siamo in pieno diritto di reclamare l’autonomia.

Ma la litania delle ragioni che militano in favor nostro non si può terminare tanto presto ed io molte ne tralascio per venire ad una d’indole particolare, d’evidenza, direi quasi, pratica, sulla quale intendo soffermarmi più a lungo: sulla questione dei comuni.

I comuni nell’organismo austriaco sono soggetti alla sorveglianza delle amministrazioni provinciali. Tale sorverglianza ha uno speciale valore pei comuni piccoli, dove più difficilmente si trovano persone capaci, istruite e pratiche d’affari. E non si tratta di sorveglianza soltanto; l’autorità esecutiva provinciale — la giunta — deve illuminare, consigliare, soccorrere.

Come effettua l’autorità residente in Innsbruck questo compito? O meglio — per esser più oggettivi — come può effettuarlo?

Non può effettuarlo, è la risposta. E non può per varie cause: per ragioni di tempo, essendo circa 1000 i Comuni del Trentino e del Tirolo, soggetti al controllo di un’unica autorità; per ragioni di spazio, data la distanza di molti paesi dalla capitale della provincia; per ragioni di lingua, data la non conoscenza da parte dei nostri della lingua tedesca e la corrispondente ignoranza anche di molti impiegati delle amministrazioni provinciali della lingua nostra; per ragioni storico-economiche-geografiche, quali: l’estensione dei comuni, la popolazione media di ciascun d’essi, gli ordinamenti locali della proprietà, il tipo dei possedimenti comunali, la fonte da cui essi ritraggono i proventi di sussistenza, ecc., circostanze tutte che variano dal Trentino al Tirolo.

La mancata sorveglianza ha dato modo al sorgere e al perpetuarsi di camorre, di corruzioni, di ladrerie d’ogni genere.

Senonchè alla mancata sorveglianza si deve aggiungere un altro guaio: lo sfruttamento dei nostri comuni che alla provincia pagano gravissime imposte (pesanti in special modo, come quella del grano, sulla gente povera) e non ricevono dalla stessa che magri compensi. Mentre altrove la provincia sopperisce a tutta [p. 73 modifica]la bisogna scolastica e paga del suo i maestri, qui tutto il dispendio pesa — meno un miserabile contributo del 20 p. cento — sui comuni; la provincia non ha concorso che in parte irrisoria a darci strade e vie ferrate: non ha qui che rari istituti di beneficenza; lesina l’aiuto alle nostre istituzioni.

Ne è derivato per conseguenza che i comuni dovendo far tutto da sè hanno elevato le tasse comunali, hanno portato al massimo i balzelli sul pane e hanno spinto la sovraimposta comunale oltre il 300 p. cento e fino al 1200 p. cento!

Un’occhiata ai nostri comuni e ci persuaderemo subito: Quanti fra essi hanno un edifizio scolastico decente? quanti paesi sono esenti da tasse scolastiche? quanti pagano il medico ed il segretario con un salario che non sia di fame? quanti hanno acqua potabile, bagni, quanti hanno strade tollerabili? quanti hanno l’essicatoio comunale pei bozzoli? Forse il 10%. E per contro: quanti non hanno fatto spese inutili per chiese, per campanili; quanti non hanno i registri in pieno disordine: quanti non hanno ancor l’uso d’affidare — malgrado il divieto di legge — la riscossioni delle imposte ai ricevitori che si ingrassano coi caposoldi, cogli interessi di mora e simili altre ladrerie? Meglio non arrischiar cifre sul numero di questi comuni che, anche se altissime, potrebbero esser inferiori al vero.

V’ha di peggio. Alla miseria, alla mancata sorveglianza si aggiunge un altro guaio. I più birbanti fra camorristi che si sono infeudati nei comuni hanno imparato l’arte di farsi non solo tollerare, ma anche proteggere e ciò col coprire tutte le loro ladrerie col manto del patriottismo austriaco.

E le croci di cavaliere furon proposte a bizzeffe per molta gente che il popolo con santa ragione avrebbe voluto veder non colla croce, ma sulla croce.

Occorrono esempi? Ognuno ha presente il panamino di Levico, ha presente la somma sfrontatezza del podestà cav. Ognibeni che si lascia dar del ladro, della spia, del truffatore, dello spostatore di confini, a danno del comune, e tace. Ognuno sa che per colpa di quell’uomo e de’ suoi partitanti Levico subì un danno di ben due milioni; ognun sa che di far luce su tante [p. 74 modifica]porcherie le autorità non si sono date troppo pensiero e che le proteste di 700 padri di famiglia, i reclami contro le più evidenti illegalità sono stati messi a riposare negli archivi.

E dopo Levico che serie larga di panamini comunali già in parte svelati! Trambilleno dove un cassiere ex-gendarme che è sotto il sospetto di aver incendiato gli atti del comune, vanta un credito inesistente di migliaia di corone; Moena dove un cassiere per lucrare il giubileo confessa — dietro istigamento del confessore — di aver da restituire una somma grossissima illecitamente lucrata sui beni pubblici; e qui parlando di giubilei mi sovviene di un comune della Vallagarina, dove, come ebbe a constatare un revisore di giunta, c’era l’abitudine di fare ogni cinque anni un giubileo.... l’amnistia cioè per quanti non avean pagate le tasse comunali, ed eran di solito i consiglieri del comune.

Ricordo ancora Lardaro dove la giunta si ostinò per anni a mantenere come amministratore comunale un suo Beniamino, ex impiegato postale. Invano tutto il paese in mille modi fece conoscere la poca stima che meritava questo.... amminestratore, pardon voleva dire amministratore.

L’anno scorso quando i nodi vennero al pettine, e le marachelle non poterono nascondersi più, la giunta provinciale per timore di uno scandalo turò i buchi che aveva lasciato fare nel bilancio comunale versando quasi senza motivazione al comune 50 mila corone. Meno male se quei nostri tutori avessero pagato di loro saccoccia! Adoperarono invece denari provinciali, e quindi nostri; e quelle 56 mila corone andarono poi ad ingrossare la partita dei sussidi ai Comuni del Trentino, che i tirolesi ci rinfacciano come un’elemosina, mentre di quel fondo essi rossicchiarono la carne e gettarono a noi sotto la tavola appena le ossa.

Ricordo Ampezzo dove poco tempo fa si scopriva che nel granaio comunale «i topi» in un sol anno avevano mangiato per 80 mila fiorini di grano. Quali provvedimenti ha preso la giunta contro questi terribili topi? Nessuno se n’è accorto, a meno che quei piissimi signori non abbiano creduto più che [p. 75 modifica]sufficente invocare da qualcuno dei loro abati Treuenfels una benedizione al granaio perchè in avvenire diminuisca l’appetito ai suoi parassiti.

E avanti! Potrei ricordare un comune vicino a Trento dove il suo capo, obbligato a rifondere ad un terzo i danni causatigli per illecita esazione d’imposte, risarcendo coi soldi suoi invece che con quelli del comune, rispondeva al giudice che constatava la stranezza del suo contegno: Se riconosco il comune debitore verso questo individuo, ci saranno cent’altri che potranno accampare le stesse ragioni.

E potrei accennare di rappresentanze di città non abituate a presentare i consuntivi e a cento e cento altri esempi, se ve ne fosse il bisogno. A queste piaghe potrà certo giovare una sorveglianza occulata quantunque anche in questa si debba sperare solo fino ad un dato limite. La vera scopa delle porcherie comunali sarà l’entrata nei consigli dei proletari oggi esclusi dal diritto di voto. Ed io credo che questo diritto di voto l’avremo più facilmente da una dieta trentina che dalla tirolese, tanto più che a noi è lecito condizionare l’appoggio che eventualmente potremo dare ai borghesi autonomisti del paese, al patto che gli stessi accettino nel loro programma un dato nucleo di riforme liberali.

Ad ogni modo se oggi è impossibile ai proletari in qualunque questione far sentire la propria voce ai dominatori di Innsbruck; questo non avverrà più ad autonomia ottenuta, quando potremo ora per ora controllare, sindacare l’opera dei reggitori trentini a Trento.

Ci sovviene inoltre di larghe promesse già fatte da liberali e da moderati per la riforma dei comuni: la promessa di creare le rappresentanze di distretto, che non sarebbero se non federazioni dei piccoli comuni.

Quest’ordine d’idee è perfettamente consono alle vedute del nostro partito, il quale non potrebbe non veder di buon occhio la cooperazione dei piccoli comuni. Quante e quante funzioni non potrebbero esser meglio disimpegnate, quanti errori si potrebbero evitare! Ecco che i comuni piccoli, senza segre[p. 76 modifica]tario, potrebbero avere il segretario comune, potrebbero avere la rappresentanza federale dei comuni quale riveditrice dei conti, potrebbero fare cumulativamente quei servizi a cui uno per uno non possono sopperire come ad esempio: sfruttamento delle forze d’acqua, erezioni di centrali elettriche (pur troppo il Trentino ha disperso molte delle sue forze in minuscole centrali elettriche che non giovano punto all’industria), maggior cura delle selve, dei rimboschimenti, riattamento delle malghe, erezione in comune di segherie e falegnamerie, vendita cumulativa di legnami; erezione di alberghi comunali nei centri alpini; e poi oltre a queste proposte che posson stare nel programma di ogni partito tante altre che noi caldeggiamo: erezione di segretariati per l’emigrazione, fondazione di case operaie, bagni comunali ecc., costruzione di essicatoi comunali per bozzoli, assunzione in regia comunale di ogni impresa utile: tramvie, acqua potabile ecc.

C’è un programma immenso da svolgere: c’è tanto marcio da sanare, tante cose nuove da costruire.

E all’opera di costruzione non sarà possibile dar mano finchè qui non ci sia un regime centrale nuovo, non padrone, ma solo aiutatore, coordinatore, consentaneo ai nostri sentimenti, alle nostre aspirazioni, e che possa servire, oltre che di aiuto, di sorveglianza, di sprone al lavoro fecondo, al progresso.

Pur troppo: qui si muore d’inedia perchè non c’è esempio, non c’è stimolo alle iniziative. Una futura rappresentanza provinciale trentina, se l’abbia detto fin d’oggi, deve saper far molto, deve saper dar esempio di attività ai comuni; se così non farà, avrà implacabile la lotta del proletariato.

Il quale dà oggi il suo aiuto alla borghesia, ma non concederà domani tregua se essa non saprà mettersi all’altezza della situazione.

Oggi noi non siamo che propulsori, coadiuvatori di un movimento che gioverà agli altri. Oggi siamo la macchina indietro che spinge il treno della borghesia. Alla borghesia auguriamo la vittoria per metter la nostra macchina in avanti e correr rapidi ad altre battaglie, ad altre vittorie, che saranno nostre.

Note

  1. Conferenza tenuta a Levico il 16 Giugno. Nel riassunto ho eliminate alcune cose già esposte nella conferenza del 15 ad Innsbruck, aggiungendovi per contro alcune altre dette in un pubblico comizio a Rovereto il 9 Giugno.