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Quel che vale per noi è non il diritto storico, è il diritto naturale. E questo si basa sui bisogni, sulle necessità. Per un popolo la necessità prima è quella di viver bene, di educarsi, di elevarsi. Viver bene ed elevarsi intellettualmente sono due cose che si completano a vicenda; giacchè un popolo tanto più cresce in civiltà, quanto più economicamente sta bene e viceversa.
Ora non v’è progresso, non v’è civiltà pei popoli che vivono sotto tutela. E la libertà quella che crea gli organismi vitali, che feconda le iniziative, che educa i caratteri.
Libertà dunque di reggerci da noi, noi vogliamo.
Ma là coltura non v’è senza il mezzo di comunicazione, senza la lingua.
Difendere, coltivare questa, vuol dir difendere la coltura e a questo compito non può giovare un organismo amministrativo tedesco che deve far leggi per scuole italiane, per maestri italiani.
Sottometterci ad un’amministrazione tedesca vuol dire privarci della vita nazionale, privarci dei benefici di quell’ideale che ha riempito di sè il secolo passato e che nella stessa Germania, fra i nostri avversari d’oggi, s’è realizzato con tanto sacrificio di sangue.
I tedeschi non hanno diritto ad opprimerci senza rinnegare la storia loro, senza insultare la memoria del loro Tirteo, di Teodoro Körner, dei loro martiri, dei loro padri più illustri.
Per crearsi questo diritto sapete che cosa hanno pensato? Hanno inventato la favola che noi siam tedeschi italianizzati e dobbiamo ritornare tedeschi. Noi senza inventar frottole potremmo davvero dimostrare che la lingua nostra si spingeva un tempo al di là di Bolzano, fino a Merano; eppur di fronte alla realtà del presente riterremmo stoltezza il vantar diritti su Merano e Bolzano.
Intimamente connesso colla coltura e colla civiltà è lo sviluppo economico di un popolo. E che razza di sviluppo economico ci sia concesso dall’amministrazione tirolese è troppo noto. Il paese nostro è povero, stremato, non ha commerci, non ha industrie, non ha strade, non ha vie ferrate; non ha che debiti, ipoteche, imposte enormi da pagare, pel gusto di vedere i propri denari consumati in favore altrui.