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XIX.


Combattuta fra tanti pensieri, decise di fare una gita a Milano. La prima persona che incontrò lungo il corso fu Olimpio spigliato, sorridente, con un paja di guanti freschissimi color paglia e una camelia all’occhiello dell’abito, più che mai biondo, più che mai bello.

Egli sostenne l’incontro colla massima disinvoltura; ella, turbata e commossa lo rimproverò (per la prima volta) della sua condotta, poi gli disse del sequestro e da ultimo, a guisa di minaccia, gli fece intendere che a quel modo non si poteva continuare a vivere.

Olimpio la ascoltò pazientemente chiedendo forse in cuor suo dov’era andata a far provvista di tanto coraggio e di tanta loquela — senza pensare che quando la tazza è colma, l’acqua la più innocente conviene che trabocchi. [p. 159 modifica]

— Mia cara, rispose, dopo che ella ebbe finito; entriamo se ti garba in un caffè, perchè a declamare qui in pubblico ci prenderanno per due commedianti di provincia che ripassano la loro parte — poi, sia detta in confidenza, si capisce proprio che giungi dal podere — hai un certo cappello alla rococò....

— Non ho bisogno che d’una parola sola. Torni oggi a casa con me?

— Diamine! — la decisione è un po’ precipitata; non posso assolutamente.

— E chi pensa a pagare l’affitto?

— Io, perbacco — ci penserò io!

Giulia lo guardò incredula — egli replicò:

— Ci penso, sta sicura.

— E... ti fermerai ancora molto?

— Dipenderà dalle circostanze, dagli affari; non ho ancora potuto parlare collo zio Prospero; lo aspetto di giorno in giorno.

Olimpio non offerse a sua moglie di restare in città; ella non lo chiese e si separarono asciutti, malcontenti ambedue, persuasi segretamente che una catastofe era vicina.

Quindici giorni passarono — non in un lampo, ma infine passarono.

Giulia, indecisa e perplessa, affrettava col desiderio un avvenimento qualsiasi che mettesse fine a quella [p. 160 modifica] penosa esistenza. Superiore ad ogni altro la dominava il pensiero della pigione e il dubbio che Olimpio non avesse mantenuto la sua parola.

Ogni suono di campanello la faceva trasalire, ogni rumore insolito la metteva in sospetto.

Gettò un grido nel vedere la serva che entrava con una lettera — la prese tremante — consultò il suggello e la soprascritta, ma l’uno e l’altra le riuscivano al tutto nuovi.

La lettera vergata in calligrafia maschile, senza firma, diceva così:

«Signora,

«Una persona che morirebbe volontieri per lei e vive solo nella speranza di poterle essere utile, l’avverte che domani le verrà presentato l’ordine definitivo di sequestro — non lo accetti — basandosi su una mancanza di formalità che consiste nell’ommissione del nome di battesimo del di lei marito.

«Questo incidente, piccolissimo com’è, basta a sospendere per qualche giorno il sequestro e frattanto ella ne approfitti come crederà meglio.

«Perdoni l’anonimo di questa lettera. L’onestà dello scopo la renda indulgente sulla volgarità del mezzo.»

C’era di che strabiliare. [p. 161 modifica]

Chi mai poteva prendersi tanto interesse per la povera tradita? Ella non conosceva nessuno; per quanto pensasse non le venne fatto di trovare un’ipotesi accettabile.

Il timbro postale, mezzo cancellato, diceva la provenienza di Milano; del rimanente nessun indizio e la scrittura affatto ignota.

Senza rendersi ragione della causa, e non potendo attribuirla al momentaneo vantaggio che le recava l’annunciato sbaglio di citazione, Giulia si sentì improvvisamente rallegrata da una blanda letizia, da una speranza vaga che le riscaldava dolcemente il cuore.

Forse, nella profonda solitudine in cui l’aveva relegata il destino, le sorrideva il pensiero d’una persona viva che si occupava di lei — di lei, abituata a cercare fra i morti la rimembranza d’un affetto.

Rilesse quella lettera e le parve che da ogni parola sprizzasse una scintilla di luce.

La piegò con cura e la pose nel taschino dell’abito — ma la mano vi correva sopra sovente, quasi per accertarsi che non aveva sognato.

Le balenò un tratto la vecchia istoria delle principesse erranti smarrite nelle selve e il cavaliere incognito bruno vestito, a visiera calata che non mancava mai di comparire nel momento del bisogno.

A galoppo sulla fantasia le sovenne (e lo aveva fino [p. 162 modifica] allora dimenticato) la misteriosa sparizione del suo fazzoletto in quella notte d’autunno che, appoggiata al davanzale della finestra, aveva veduto un’ombra scivolare silenziosa lungo i pioppi.

Quale relazione vi poteva essere fra la prima e la seconda mistificazione? Giulia non vide alcun punto di contatto e rinunciò a indovinare.

Poche ore dopo comparve l’usciere — ella osservò il mandato del Tribunale e potè verificare la mancanza del nome di battesimo. Tutto andò come le era stato annunciato — l’usciere riconobbe lo sbaglio e riprese la sua carta.

Appena partito, Giulia lesse per la dodicesima volta l’enigmatico avviso e a quelle parole: ne approfitti come crederà meglio, riflettè che stando al podere, sola, non avrebbe potuto approfittarne gran fatto. Se c’era qualche cosa da fare, era a Milano, con suo marito, coll’avvocato.

Si rimise dunque in viaggio, e questa volta decisa di venirne a capo o in un modo o nell’altro.

Non le fu difficile trovare Olimpio, ed ebbero insieme un lunghissimo colloquio. Calma ma ferma, ella espose le sue ragioni, e disse di essere disposta a far valere i suoi diritti.

Olimpio non le nascose che il loro modo di pensare era troppo diverso, che il legame del matrimonio gli [p. 163 modifica] riusciva pesante, che egli non avrebbe mai parlato, ma poichè ella si lagnava....

Fu messa avanti la parola separazione.

Gli interessi poi andavano male. Era impossibile tornare al podere nonchè pagarne il fitto.

Della dote di Giulia restava giusto appena per poter vivere lei. Egli pensava emigrare in Inghilterra. Lo zio Prospero gli avrebbe fornito una somma ragionevole, e con quella voleva tentare nuova fortuna.

Sul punto di separarsi Olimpio, disse:

— Ti offrirei un alloggio nella mie due camere... ma sono così ristretto!

Un lieve rossore colorì le guancie di Giulia che non rispose nulla.

Per quella notte dovette acconciarsi in un albergo, ma non era suo pensiero rimanervi e incaricò la moglie dell’albergatore di procacciarle una cameretta presso onesta famiglia.

— Ho il fatto suo — le disse il giorno dopo l’albergatrice — una bella camera, a secondo piano, casa signorile, buon vicinato; appartiene a un maestro di musica che per il momento viaggia all’estero.

— Ma sarò sola! interruppe Giulia che aveva preso la solitudine in orrore.

— C’è la padrona di casa che tiene le chiavi della camera e che è la miglior signora ch’io abbia mai [p. 164 modifica] conosciuta; stia tranquilla, la compagnia l’avrà e ottima.

Giulia volle subito vedere la sua nuova dimora; non era molto discosta dall’albergo ed era proprio una casa signorile come aveva detto l’albergatrice. Salì al primo piano e tirò il campanello d’ottone di un uscio accuratamente inverniciato sulla cui soglia giaceva un piccolo tappeto con suvvi scritto: buon giorno.

Una servetta pulita, pettinata e modesta, le aperse introducendola in un salotto borghesemente ricco — che è quanto dire tappezzato di verde, coi posapiedi, ricamati al canovaccio e i cuscini a punto di Tunisi.

La servetta si allontanò cautamente avvertendo di mettere i piedi sulla corritoja di tela che preservava il tappeto, e chiudendo bene l’uscio onde non andasse disperso il calore della stufa.

Giulia respirava con infinita voluttà quell’aria intima di famiglia, vi sentiva il tepido palpito d’un cuore affettuoso.

La sua attenzione era caduta su un roseo bimbo paffuttello, che torreggiava su una scatola di confetti — messa in evidenza come fosse un vaso etrusco o un mosaico romano — quando l’uscio sì accuratamente chiuso fu riaperto, e ricalcando le orme della servetta sulla corritoja, si avanzò una grassa signora con un vestito di seta ritinta, un grembiale d’orléans nero e un’enorme spilla a dagherotipo.... [p. 165 modifica]

— Oh! chi vedo mai, sposina?

Questa esclamazione uscì in note giulive dall’ampio petto della signora Chiara. — Se ne ricordano ancora i lettori? Probabilmente no — e a questo modo potranno dividere il movimento di stupore che fece Giulia.

— Come! come! Ella non mi riconosce? — eravamo pur buoni vicini prima che....

— Diffatti; mi ricordo ora perfettamente. Scusi sa? — tanto tempo, tante vicende....

— Ma si figuri! S’accomodi, la prego — qui, qui vicino a me. A che cosa devo il bene d’una sua visita?

Questa domanda semplicissima e naturale mise Giulia in imbarazzo — esitò un istante cercando la frase, pensò se era il caso di inventare una piccola menzogna, ma poi, guardando il volto benevolo e simpatico della signora Chiara, si sentì côlta da una specie di tenerezza, da un bisogno irresistibile di sfogarsi — che era per vero dire compatibilissimo quando si rifletta che da sei mesi non aveva parlato con anima viva.

La signora Chiara, quasi indovinando quello che si agitava nella mente della giovane, e correndo col pensiero a certe voci che la cronaca scandalosa le aveva susurrate all’orecchio, le si fece d’accanto col piglio amorevole d’una madre, stringendole la mani, e accarezzandole i capelli in atto dolcemente famigliare: [p. 166 modifica]

— Cara sposina, anzi cara fanciulla, perchè è così che io la conobbi — permetta a me, vecchia e pratica di questo cattivo mondaccio, di farle un po’ da confessore. Venga qui — metta una mano sul mio cuore, e, vero come sono una donna onesta, le giuro che le ho sempre voluto bene, che l’ho compianta, che ho desiderato cento volte di esserle amica per correre da lei ad asciugarle le lagrime.

— Ma, dunque sa?....

— Eh! — lo sanno tutti. È stata sfortunata, poverina, proprio, non meritava! E adesso, la mi dica un po’, cosa conta di fare?

— La sua schietta cordialità mi ispira fiducia; le dirò francamente che voglio dividermi da mio marito — che egli stesso lo desidera, poichè infine, non ci resta altro partito.

Pronunciando queste parole la voce di Giulia era commossa; la signora Chiara le fece coraggio colla sua facile e persuasiva eloquenza, tanto che Giulia proseguì nelle sue confidenze, non ommettendo di parlare della camera — prima occasione di quel fortunato incontro.