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conosciuta; stia tranquilla, la compagnia l’avrà e ottima.

Giulia volle subito vedere la sua nuova dimora; non era molto discosta dall’albergo ed era proprio una casa signorile come aveva detto l’albergatrice. Salì al primo piano e tirò il campanello d’ottone di un uscio accuratamente inverniciato sulla cui soglia giaceva un piccolo tappeto con suvvi scritto: buon giorno.

Una servetta pulita; pettinata e modesta, le aperse introducendola in un salotto borghesemente ricco — che è quanto dire tappezzato di verde, coi posapiedi, ricamati al canovaccio e i cuscini a punto di Tunisi.

La servetta si allontanò cautamente avvertendo di mettere i piedi sulla corritoja di tela che preservava il tappeto, e chiudendo bene l’uscio onde non andasse disperso il calore della stufa.

Giulia respirava con infinita voluttà quell’aria intima di famiglia, vi sentiva il tepido palpito d’un cuore affettuoso.

La sua attenzione era caduta su un roseo bimbo paffuttello, che torreggiava su una scatola di confetti — messa in evidenza come fosse un vaso etrusco o un mosaico romano — quando l’uscio sì accuratamente chiuso fu riaperto, e ricalcando le orme della servetta sulla corritoja, si avanzò una grassa signora con un vestito di seta ritinta, un grembiale d’orléans nero e un’enorme spilla a dagherotipo....