Un dramma nell'Oceano Pacifico/24. I forzati
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Capitolo Ventesimoquarto.
I forzati.
Collin fece servire la birra che aveva ottenuta colla fermentazione di parecchie frutta, e che fu dichiarata ad unanimità eccellente, accese una pipa regalatagli da Asthor, si sdraiò sulle stuoie, poi disse:
— Voi tutti avrete supposto che io sia caduto in mare a causa d’una disgrazia qualunque, quella notte che la Nuova Georgia lottava contro il secondo uragano. Sono certo che a nessuno di voi è mai venuto in mente che il mio capitombolo si dovesse attribuire ad un infame delitto.
— A un delitto! — esclamarono tutti, mentre Anna impallidiva per l’emozione. — E commesso da chi?
— Lo saprete fra poco. Fino dal primo momento in cui Bill venne tratto a bordo del nostro veliero, io sospettai il suo vero essere. Quelle lividure che portava ai polsi e alle gambe mi avevano spiegato abbastanza, e lo tenevo sorvegliato attentamente, sapendo di quali azioni sono capaci i forzati delle isole Norfolk, che sono i peggiori di tutti, la vera schiuma dei ladri e degli assassini dell’Inghilterra. Egli si era accorto senza dubbio dei miei sospetti, poichè tutte le volte che io gli passavo d’accanto, gettava su di me i suoi sguardi pieni d’odio profondo, nei quali si leggeva un intenso desiderio di sbarazzarsi della mia pericolosa persona. Credo che ci fosse un altro motivo, e cioè che egli mi sospettasse suo rivale in amore.
— Suo rivale! — esclamò il capitano stupito, mentre Anna arrossiva.
— Sì, poichè egli segretamente amava miss Anna.
— Ma che sia proprio vero? Non lo credevo, malgrado tante prove.
— Sì, Collin ha ragione, — disse la giovanetta. — Quel miserabile aveva messo gli occhi su di me. Mi guardava sempre, cercava di soddisfare i miei piccoli desiderii, mi seguiva ovunque e mi ricordo che nel momento in cui la Nuova Georgia si arenava dinanzi alle isole Figii mi disse: «Volete vivere o morire?» Poi si decise a oliare il mare.
— Sì; deve essere proprio così, — riprese il capitano; — quello sciagurato ti amava, e solo per questo ha cercato di rapirti, e forse ha ordito l’infernale trama. Continuate, Collin.
— Quella notte che ci colse la seconda tempesta, — continuò il tenente, — ero salito sull’albero di maestra per togliere un nodo che ci impediva di imbrogliare la vela. Mentre stavo eseguendo l’operazione, me lo vidi dietro, a cavalcioni dello stesso pennone. Credetti che fosse salito per aiutarmi, ma d’improvviso mi afferrò per la gola e approfittando del momento in cui la Nuova Georgia si rovesciava sul tribordo o sul babordo, mi precipitava in mare.
— Infame! — esclamarono i naufraghi.
— Quando tornai in me, la nave fuggiva trasportata dall’uragano. Mi credetti perduto; pure mi misi a lottare disperatamente contro le onde che mi travolgevano come una piuma, lanciandomi di cresta in cresta, di abisso in abisso. Poco dopo vidi passarmi dinanzi una barca montata da alcuni selvaggi, che la tempesta trascinava nella sua furiosa corsa. Rapido come il lampo mi aggrappai ai bordi, sentii due braccia che mi aiutavano e caddi svenuto. Quando rinvenni mi trovai sulle spiagge di quest’isola. Alcuni selvaggi che tornavano dalle isole di Tonga mi avevano raccolto, e invece di mettermi allo spiedo o nella pentola colla salsa verde, mi nominarono re del loro villaggio! Mi avevano scambiato per una divinità marina o per un uomo di grande valore? Io ancora lo ignoro; so però che qui tutti mi adorano, che ogni mio desiderio per loro è un comando, e che a un mio cenno sfiderebbero senza esitare anche le fiamme del vulcano.
— Ma contate di rimanere re di quest’isola? — chiese il pilota. — La carica è buona, specialmente se vi trattano bene e vi ingrassano, ma avrei paura di venir mangiato.
— Non ho nessuna voglia di finire qui la mia vita, Asthor — disse il tenente ridendo. — Fra i miei sudditi conto degli abili carpentieri, i quali ci aiuteranno a costruire un grande canotto coi rottami dello sconquassato veliero, e quando avremo terminate le nostre faccende, spiegheremo le vele per l’Australia. —
In quel momento si presentò un selvaggio, dicendo:
— Paowang è giunto!
— È l’uomo che mandai alla scoperta, — disse Collin. — Che entri! —
Il selvaggio che attendeva di venir chiamato, si fece innanzi. Era un bell’uomo, di statura alta, di lineamenti energici, e con lo sguardo fiero. Pareva affannato per una lunga corsa, e per non perdere tempo teneva ancora indosso le sue armi, consistenti in una pesante mazza di legno adorna di ciuffi di peli di cane, in una lancia con la punta d’osso e in un arco con una dozzina di frecce.
— Gli hai veduti? — gli chiese Collin, senza lasciarlo quasi respirare.
— Sì, capo, — rispose il selvaggio con voce affannosa.
— Dove sono?
— Si trovano accampati presso una caverna della costa settentrionale.
— Quanti sono?
— Sette e un uomo ferito.
— Hanno nessuna barca?
— Ho veduto sulla spiaggia i rottami d’un canotto assai grande, — rispose il selvaggio.
— E cosa facevano quegli uomini?
— Hanno abbattuto un grande albero e lo scavano per fare una imbarcazione.
— Sono armati?
— Ho veduto che avevano di quelle canne che lanciano fuoco e mandano tuoni somiglianti a quelli del vulcano.
— Sapresti condurci alla loro caverna senza farci scoprire?
— Quando lo vorrete, anche subito, — rispose Paowang. — Ma sono tuoi parenti quegli uomini?
— No, sono miei nemici.
— Allora si mangiano, — rispose il fiero antropofago.
— Vedremo, — disse Collin.
— Non vi è alcun dubbio; sono i forzati! — esclamò il capitano quand’ebbe udita la traduzione di quel dialogo. — Il ferito è Bill, gli altri sono i suoi compagni. Chiedete al selvaggio se ha veduto un uomo assai magro e di statura alta.
Collin fece la domanda a Paowang.
— Sì, — rispose questi. — Ho veduto un uomo magro come un granchio ladro, dopo la stagione degli amori, e mi parve che fosse il capo di quella banda.
— È Mac Bjorn, — disse il capitano, — il luogotenente dell’infame Bill. Finalmente il giorno della vendetta è giunto! Asthor, tu tornerai alla costa coi marinai e una scorta di indigeni e porterai qui il cannoncino per demolire la caverna di quei miserabili, dei fucili e delle abbondanti munizioni.
— Non chiedo che di partire, capitano.
— E voi, Collin, farete radunare tutti i vostri guerrieri, i più scelti e i più valorosi, per aiutarci nell’impresa.
— Manderò tosto alcuni messi nei villaggi vicini. Prima di domani avrò sotto le armi due o trecento uomini scelti.
— E cosa farete dei forzati? — chiese Anna.
— Si appiccheranno all’albero più alto della foresta, miss, — disse Asthor. — Se i selvaggi vorranno poi metterli nello spiedo, io non glielo impedirò davvero.
— Non si arrenderanno di certo, — disse il capitano. — Se ne troveremo qualcuno vivo, lo condurremo con noi in Australia e lo faremo rimandare alle isole Norfolk.
— Verrò anch’io alla caverna? — chiese Anna.
— No, miss, — disse Collin. — Laggiù vi sono dei gravi pericoli; rimarrete qui sotto la guardia di Koturè. —
Poco dopo Asthor, i tre marinai e dieci indigeni scendevano le balze della grande montagna, mentre Collin inviava parecchi messaggeri nei vicini villaggi per fare accorrere i guerrieri e i loro capi.