Un dramma nell'Oceano Pacifico/20. Il naufragio della Nuova Georgia

20. Il naufragio della Nuova Georgia

../19. Sul rottame ../21. Il naufragio IncludiIntestazione 27 gennaio 2020 100% Da definire

19. Sul rottame 21. Il naufragio


[p. 182 modifica]

Capitolo Ventesimo.

Il naufragio della «Nuova Georgia.»


Il pilota ed i tre marinai, impazienti di rimettersi alla vela, si posero al lavoro senza perder tempo, sotto la direzione del capitano Hill.

Innanzi tutto, sgombrarono la coperta che era sparsa di cadaveri mezzo divorati e di tigri. Gli avanzi del disgraziato equipaggio furono raccolti, rinchiusi in parecchie amache e calati in mare; dopo li seguirono le tigri, quantunque a tutti rincrescesse non poco di perdere quelle superbe pellicce, dalle quali si potevano ricavare degli splendidi tappeti d’un gran pregio.

Pulita la coperta dalle larghe chiazze di sangue e trasportate nella stiva le casse e i barili che la ingombravano, procedettero al taglio dell’albero di maestra, che da un momento all’altro poteva rovinare sul ponte, essendo la sua base bruciata e la cassa distrutta. Lavorando vigorosamente d’ascia, dopo mezz’ora lo fecero precipitare in mare, avendo precedentemente recise le manovre e i cordami che lo univano all’albero di mezzana. [p. 183 modifica]

La caduta di quel colosso danneggiò gravemente la murata di babordo, ma il pilota si ripromise riparare il guasto a tempo più opportuno.

Terminati i diversi lavori, scesero nel frapponte per tentare di chiudere la falla aperta dall’incendio, la quale lasciava entrare di tratto in tratto le onde.

Quantunque misurasse quasi due metri di lunghezza e uno e mezzo di altezza, Asthor aiutato dai tre marinai riuscì ad otturarla alla meglio con delle materasse, tenute salde da parecchie tavole incrociate. Era un riparo momentaneo, inefficace contro le grandi ondate, ma poteva bastare per alcuni giorni e forse fino all’arrivo all’isola di Tanna.

Alle otto pomeridiane, nel momento in cui il sole si tuffava, o meglio pareva che si tuffasse in mare, la Nuova Georgia era pronta a riprendere la navigazione, interrotta da tante disgrazie.

Il capitano stabilì i quarti di guardia per non stremare le forze di tutti, cosa quanto mai pericolosa, essendo l’equipaggio così scarso e la nave troppo grande e così malamente attrezzata, non possedendo che un solo albero.

Asthor, Grinnell e Mariland dovevano montare il primo quarto; Hill, Fulton e Anna, giacchè questa non voleva essere da meno degli altri, e di manovra se ne intendeva, il secondo. Così almeno ognuno poteva riposare le sue quattr’ore, prima di riprendere il servizio delle altre.

Alle nove l’equipaggio spiegò le vele sull’albero di mezzana, sciolse un’altra vela stabilita a prua a mo’ di flocco, Asthor si mise al timone e la Nuova Georgia riprese a navigare con la prua rivolta al nord, ossia verso l’arcipelago delle Nuove Ebridi.

Il vento era debole e il mare un po’ agitato, però la notte era [p. 184 modifica] chiara, essendo allora allora sorta la luna. La nave, quantunque non troppo bene servita dall’albero di mezzana, che come si sa è situato a poppa, cominciò a filare ma con una straordinaria lentezza.

Era molto se percorreva due nodi all’ora!

Il capitano, Anna e Fulton si ritirarono nelle loro cabine, lasciando i compagni di guardia.

Nulla che meriti di venir notato accadde durante il primo quarto. La Nuova Georgia, quantunque sovente uscisse di rotta obbligando il pilota a un’attiva sorveglianza del timone per causa dell’albero di mezzana che esercitava uno sforzo squilibrato sulla poppa, navigò senza interruzione percorrendo in quelle prime quattro ore circa nove nodi.

Alla mezzanotte il capitano, Fulton ed Anna, che non aveva voluto rimanere nella sua cabina, considerandosi già come un uomo dell’equipaggio, montarono il secondo quarto.

All’alba il capitano che voleva dar riposo ad Anna, stava per svegliare il pilota e i suoi compagni, quando apparve un fenomeno strano, che meravigliò tutti. Già da alcuni minuti era stato osservato che sul ponte cadevano dei fili leggeri leggeri, più sottili di quelli che si traggono dai bozzoli dei bachi da seta e che si attaccavano in gran numero attorno ai pennoni, alle vele, ai paterazzi e alle sartie dell’albero di mezzana.

Fulton ed Anna che si erano accorti di ciò, stavano per domandare al capitano la spiegazione di quel fenomeno bizzarro, quando si videro cadere sul ponte numerosi filamenti d’una bianchezza abbagliante, che pareva scendessero dalle alte regioni dell’atmosfera.

Dapprima erano poche dozzine, ma un po’ più tardi apparve in aria come una nube vaporosa, leggera, la quale si tingeva dei primi riflessi dell’aurora e scendeva con un largo ondeggiamento, [p. 185 modifica] estendendosi sopra la nave e sopra un gran tratto dell’oceano circostante.

— Che cosa succede, padre mio? — chiese Anna nel colmo della sorpresa.

Il capitano non rispose. Fissava attentamente quella strana nube che continuava a discendere, lasciando cadere sul ponte e sull’attrezzatura delle tele d’una leggerezza unica, di cui talune misuravano perfino venti metri e parevano formate da un solo filo bizzarramente intrecciato.

— Ah! — esclamò ad un tratto ridendo. — Noi assistiamo ad uno dei più curiosi fenomeni e che non è tanto comune.

— A quale? — chiesero Anna e Fulton.

— A una emigrazione di ragni — rispose il capitano.

— A una emigrazione di ragni! — esclamò la giovanetta con tono incredulo.

— Sì, Anna.

— Ma sono tele di ragno queste?

— Non ti pare?

— Hai ragione; quantunque siano bianchissime, e abbiano una forma speciale e mi sembrino più resistenti.

— Ma io non vedo nessun ragno — disse Fulton.

— I ragni emigratori o aeronauti sono tanto piccoli, che si stenta a vederli; ma se tu osservi bene, li troverai fra le loro tele — disse il capitano. — Il fenomeno non è nuovo, ed è stato più volte osservato dagli scienziati.

— Ma che ragni sono? — chiese Anna che andava di sorpresa in sorpresa. — E perchè intraprendono simili strane emigrazioni?

— A quale specie appartengano non lo saprei dire, come pure ignoro i motivi che li spingono ad abbandonarsi alle correnti aeree. [p. 186 modifica] Per lo più questi viaggi si attribuiscono a eccentricità di ragni vagabondi; altri credono che siano dovuti semplicemente a viaggi accidentali. Alcuni scienziati hanno assistito alla partenza di questi ragni e specialmente a parecchie della specie dei thomicus viaticus.

— Deve essere stata una partenza curiosissima.

— I piccoli ragni prima di abbandonarsi all’aria, si arrampicavano sulla cima degli steli delle graminacee o sulla punta estrema dei gambi del frumento; di là gonfiavano l’addome, spingevano in aria un fascio di fili leggerissimi che faceva l’ufficio d’un pallone, poi al primo colpo d’aria lasciavano il loro punto d’appoggio e si lasciavano trasportare.

— Toh!... Toh!... — esclamò Fulton stupito. — I ragni si mettono a tessere nuovi ragnateli.

— Si preparano alla partenza — disse il capitano.

— Come! Riprendono il viaggio? — chiese Anna.

— Lo vedrai fra breve.

Infatti tutti quei ragni avevano abbandonati i vecchi ragnateli che erano diventati pesanti per l’umidità notturna e ne tessevano degli altri con sorprendente rapidità.

In capo a mezz’ora una gran parte, dopo d’aver lanciato in aria, con un soffio, il nuovo filo, s’abbandonavano al venticello mattutino che li trasportò via colla massima facilità innalzandoli verso le alte regioni dell’atmosfera. Al secondo colpo di vento i rimanenti seguivano i loro compagni scomparendo fra i primi raggi di sole.

— Buon viaggio! — gridò una voce allegra. — Ah! Come v’invidio!

Era Asthor che da parecchi minuti era salito in coperta e che osservava curiosamente quella emigrazione meravigliosa.

— Ah! sei tu, vecchio mio — disse il capitano. [p. 187 modifica]

— Sì; e giunto in tempo per assistere a questo bizzarro fenomeno. Come va la Nuova Georgia, signore?

— Cammina come uno zoppo, o meglio come un uccello che ha le ali ferite.

Tutto il giorno la Nuova Georgia filò assai lentamente verso il nord; ma vicino a sera accelerò la corsa, essendosi alzato un forte vento dal sud-sud-ovest.

Il sole si tuffò nel seno d’un nuvolone di colore oscuro, e il mare si alzò in larghe ondate rompendosi con fracasso contro i fianchi della nave.

Il capitano non volle prender riposo e rimase in coperta con tutto l’equipaggio. Era diventato inquieto, visitava sovente la falla che opponeva un debole riparo contro i colpi di mare e scendeva di frequente nella stiva per assicurarsi della solidità dell’albero di mezzana, il quale essendo privo dell’appoggio di quello di maestra, dacchè tutte le gomene erano state tagliate e anche del rinforzo delle griselle, poteva cedere e precipitare in coperta.

Alle dieci di notte il vento fischiava con grande violenza fra il sartiame e le vele; e fra la grande nube che si era distesa sull’oceano, lampeggiava e tuonava fragorosamente.

Le onde battevano furiosamente i fianchi dello stremato vascello, il quale rollava e immergeva la prua, vibrando poderose testate a babordo e a tribordo.

Per maggior disgrazia l’oscurità era così profonda, che a una gomena di distanza non si poteva distinguere nulla.

Anna, malgrado le preghiere del capitano, era risalita in coperta e guardava intrepidamente il tempestoso oceano, quasi lo sfidasse. La coraggiosa fanciulla non tremava e voleva mostrarsi degna del padre suo, che passava per uno dei più intrepidi lupi di mare delle due Americhe. [p. 188 modifica]

A mezzanotte, Grinnell che era disceso nel frapponte, s’accorse che le traverse situate dietro alle materasse che ostruivano la falla, minacciavano di cedere contro l’impeto crescente delle onde.

Asthor accorse prontamente e aiutato da Fulton le assicurò meglio che potè, ammonticchiandovi dietro quante botti e quante casse si potevano trovare.

L’acqua però filtrava attraverso alle fessure e si udiva precipitare in fondo alla stiva in grossi zampilli.

Più tardi il mare divenne ancor più cattivo e il vento accrebbe la corsa del veliero, il quale divorava lo spazio con fantastica rapidità, non ostante che gli fosse rimasto un solo albero.

Frequenti colpi di mare, superando le mal ferme e mezzo infrante murate dalla caduta dei due alberi di maestra e di trinchetto, si rompevano in coperta spazzando via i rottami, entrando nel castello di prua e inabissandosi con sordo fragore nelle profondità della stiva. Le casse, i barili e le gabbie delle tigri, non più trattenute dai legami o dal peso, correvano per ogni dove, urtandosi e spaccandosi; ma l’equipaggio non aveva tempo di occuparsene, intento come era a manovrare il grande vascello, a cui sarebbero stati necessari almeno altri dieci uomini per ben dirigerlo.

Il capitano che diventava ad ogni istante più inquieto, invano interrogava le tenebre coll’acutezza del suo sguardo, sperando sempre di scorgere qualche fuoco che indicasse la vicinanza dell’isola.

Alle due del mattino però, al baleno d’un lampo, scorse sulla linea dell’orizzonte una grande massa oscura, sulla cui cima ondeggiava un nuvolone di fumo tinto di rosso.

— Un vulcano! — esclamò.

— Dove? — chiese una voce.

— Laggiù, Anna.

— Una terra adunque? — chiese la giovanetta. [p. 189 modifica]

— È Tanna! — esclamò il capitano. — So che ha un vulcano quasi sempre in attività.

— Ah! Padre!...

— Asthor! — gridò Hill. — Fa’ imbrogliare le vele e governa dritto all’asta di prua!

In quell’istesso momento a poppa si udì uno scroscio violento.

L’albero di mezzana era rovinato attraverso il cassero, tuffando l’estremità dell’alberetto nel seno delle onde spumanti!