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il naufragio della «nuova georgia.» 187


— Sì; e giunto in tempo per assistere a questo bizzarro fenomeno. Come va la Nuova Georgia, signore?

— Cammina come uno zoppo, o meglio come un uccello che ha le ali ferite.

Tutto il giorno la Nuova Georgia filò assai lentamente verso il nord; ma vicino a sera accelerò la corsa, essendosi alzato un forte vento dal sud-sud-ovest.

Il sole si tuffò nel seno d’un nuvolone di colore oscuro, e il mare si alzò in larghe ondate rompendosi con fracasso contro i fianchi della nave.

Il capitano non volle prender riposo e rimase in coperta con tutto l’equipaggio. Era diventato inquieto, visitava sovente la falla che opponeva un debole riparo contro i colpi di mare e scendeva di frequente nella stiva per assicurarsi della solidità dell’albero di mezzana, il quale essendo privo dell’appoggio di quello di maestra, dacchè tutte le gomene erano state tagliate e anche del rinforzo delle griselle, poteva cedere e precipitare in coperta.

Alle dieci di notte il vento fischiava con grande violenza fra il sartiame e le vele; e fra la grande nube che si era distesa sull’oceano, lampeggiava e tuonava fragorosamente.

Le onde battevano furiosamente i fianchi dello stremato vascello, il quale rollava e immergeva la prua, vibrando poderose testate a babordo e a tribordo.

Per maggior disgrazia l’oscurità era così profonda, che a una gomena di distanza non si poteva distinguere nulla.

Anna, malgrado le preghiere del capitano, era risalita in coperta e guardava intrepidamente il tempestoso oceano, quasi lo sfidasse. La coraggiosa fanciulla non tremava e voleva mostrarsi degna del padre suo, che passava per uno dei più intrepidi lupi di mare delle due Americhe.