Un dramma nell'Oceano Pacifico/10. Un re sepolto vivo
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Capitolo Decimo.
Un Re sepolto vivo.
Non esiste forse in tutto il mondo un popolo che abbia tanta poca paura della morte quanto il Figiano. Abbiamo già detto che per gli abitanti dell’arcipelago di Figii la morte non rappresenta che un puro cambiamento di vita, perchè nei loro animi è radicata fortemente la convinzione che una pronta risurrezione li attenda, appena lasciata questa terra; ma a quale punto arrivano!
Quando un uomo crede di esser vissuto abbastanza nella sua isola, non trova cosa più naturale che di farsi strangolare da qualche fido amico, il quale si presta colla miglior buona grazia che immaginare si possa a quel lugubre ufficio.
Un uomo si sente ammalato? Si fa strangolare, non sembrandogli giusto di presentarsi al Grande Spirito affatto agonizzante o stremato di forze. Muore un bambino? La madre lo segue facendosi strangolare dal marito, perchè ritiene che il piccino possa avere ancora bisogno delle sue cure nell’altro mondo. Due amici carissimi non vogliono separarsi? Quando uno muore, l’altro si affretta a seguirlo facendosi uccidere!... Due amanti si adorano ma non possono sposarsi per differenza di casta? Pregano il padre od il suocero o chiunque altro di toglier loro la vita per unirsi nell’altro mondo, e quei bravi selvaggi non si fanno pregare due volte.
Che più? Quando un padre è vecchio e pieno di acciacchi, i figli lo avvertono rispettosamente che ha vissuto anche troppo, che è giunta l’ora di lasciare questa terra di miserie, e sempre rispettosamente lo strangolano o lo fanno strangolare.1
Quando il re è vecchio ed ammalato, la popolazione umilmente lo avverte che è tempo di lasciare il trono al figlio primogenito, e si prepara a fargli grandi funerali ed a festeggiare contemporaneamente il successore. Il povero despota di ieri, bene o male bisogna che si adatti al volere dei suoi fedelissimi sudditi e si lascia portare alla sepoltura, ma con questa differenza, che mentre gli altri vengono sotterrati morti, egli invece è sepolto, sì; ma sepolto ancor vivo!...
Questo seppellimento di un uomo vivo, che potrebbe tuttavia campare un buon numero d’anni, si compie con cerimonie speciali, come si converrebbe a persona potente. La sposa principale che non può, con suo profondo rammarico, seguire il re nel grande viaggio, poichè gli usi della corte glielo vietano, dipinge il petto e le braccia del povero despota adoperando un color nero che si ottiene da una specie di noce chiamata aluazzi; poi gli annoda attorno alle gambe ed alle reni delle strisce di stoffa bianca detta masi, che si ricava dalle fibre filate di una specie di gelso, comunissimo in tutte le isole del Grande Oceano.
Ciò fatto si trasporta con grande pompa il morto-vivo alla sepoltura; ma prima di calarlo nella fossa, vi si gettano dentro, già strangolati, due o tre dei più famosi guerrieri onde gli servano di scorta e facciano capire al Grande Spirito che ha da fare con un potente personaggio, e vi si gettano altresì parecchie donne, che sono destinate a servirlo nell’altra vita!
Questi costumi, che non possono essere stati immaginati che dalle menti degli antropofagi, sembreranno strani, anzi addirittura inverosimili, tanto sono orribili, e si potrebbe credere che fossero stati inventati dalla fantasia degli scrittori o dei marinai, se i navigatori che visitarono più volte quell’arcipelago non li avessero constatati coi loro occhi. I missionari che in questi ultimi anni sbarcarono in quelle isole, tentarono ogni sforzo per mettere un freno a simili atrocità e in parte vi riuscirono; ma non è molto tempo che il reverendo Thomas William dovette assistere al seppellimento del re Somo-Somo, uno dei più valorosi selvaggi che regnava a Nasima e che fu trasportato al sepolcro ancor vivo, quantunque fosse gravemente ammalato, insieme con parecchie donne che erano state prima strangolate per tenergli compagnia nell’altra vita! Ed il missionario, atterrito e impotente, poichè tutti i suoi sforzi erano riusciti vani, affinchè quell’orribile funerale non si facesse, fu costretto a udire i colpi di tosse del vecchio re, mentre la terra lo aveva già ricoperto!
La sinistra notizia portata dal selvaggio che montava la canoa, come è facile immaginare, produsse una impressione dolorosa in tutto l’equipaggio, poichè nessuno ignorava i feroci costumi di quegli spietati mangiatori di carne umana.
I disgraziati naufraghi della nave inglese, che l’equipaggio sperava di trovare ancora liberi e di salvarli senza dover ricorrere alle armi, stavano per venire sacrificati per servire di scorta al moribondo re nel grande viaggio da cui più non si torna, e d’altra parte la Nuova Georgia stava per venire assalita senza avere la speranza di prendere il largo, dacchè l’uragano l’aveva spinta attraverso alle scogliere.
Per alcuni istanti a bordo della nave regnò un profondo silenzio, tanta era stata l’impressione ricevuta da quelle brutte notizie; poi il capitano Hill che era un uomo di grande energia e risoluto, lo ruppe:
— Non scoraggiamoci, — disse. — Siamo pochi, è vero, ma tutti valorosi e non nuovi ai pericoli; abbiamo armi, polvere e palle in abbondanza, e non dobbiamo temere quei brutti antropofagi. Orsù, Bill, cosa mi consigli di fare? —
Il naufrago che guardava l’isola cogli occhi fiammeggianti, i pugni chiusi, il viso sconvolto da una collera furiosa, si volse come una fiera. Non era più l’istesso uomo di poche ore prima, freddo e tranquillo; era pallido e nel suo viso si leggeva un non so che di furore e di sinistro, da mettere paura.
— Cosa vi consiglio di fare? — diss’egli con voce rauca. — Lo so io forse?
— Tu conosci l’isola e gli isolani meglio di me, e puoi darmi dei preziosi consigli. Credi tu che si possano salvare i tuoi compagni? —
Un lampo di gioia attraversò gli occhi di Bill.
— Volete salvarli? — chiese, cambiando tono.
— Se è possibile, sono pronto a tentarlo.
— Possiamo farlo; ma dovremo ricorrere alla forza, signore, e dare battaglia ai selvaggi.
— Hai un piano tu?
— Forse, — rispose Bill, dopo alcuni istanti di meditazione.
— Mettilo fuori.
— La Nuova Georgia per ora non correrà pericolo alcuno; di questo sono certo. Finchè non sarà finita la cerimonia del seppellimento, nessun selvaggio verrà ad inquietarci, perchè nessuno lascerà le feste che seguiranno l’inaugurazione del nuovo regno. Abbiamo quindi del tempo per agire, senza temere un improvviso assalto....
— Proseguite, — disse miss Anna.
— Ecco il mio piano: questa sera, dopo calato il sole, lasceremo la nave sotto la guardia di sei uomini risoluti, e andremo a sbarcare in una piccola rada a me nota. Per un sentiero che non è conosciuto dai selvaggi, attraverseremo la foresta ed andremo ad appostarci in prossimità del grande villaggio abitato dal morente re. Quando la cerimonia funebre comincerà, piomberemo addosso all’orda, rapiremo i miei compagni e fuggiremo verso la rada. Se più tardi, rimessisi dalla sorpresa che certamente farà loro la nostra improvvisa comparsa, verranno ad assalirci sulla nave, preparerò io un’insidia che li terrà per sempre lontani.
— Sta bene; noi tenteremo il colpo.
— E non vi seguirò io? — chiese Anna.
— È impossibile, figlia mia, — rispose il capitano. — So che tu sei coraggiosa ed abile nel maneggio delle armi da fuoco, ma non potresti seguirci sotto i boschi, forse con i selvaggi alle spalle. Ti darò una buona guardia però, e Asthor non lascerà avvicinare il nemico, sta’ certa.
— Farò quello che tu vorrai, padre mio. —
Il mare frattanto si era calmato, e la costa era deserta. Il capitano fece calare in acqua le due imbarcazioni maggiori, che armò con due spingarde caricate a mitraglia; vi unì un gran numero di fucili scelti fra i migliori, una buona provvista di polvere e di palle e alcune provvigioni, ignorando ancora quanto durerebbe la spedizione.
Ciò fatto, il bravo capitano attese la notte per agire.
Alle dieci di sera diede il comando d’imbarcarsi. Abbracciò Anna che era vivamente commossa per quella separazione la quale poteva riuscire fatale all’uno e all’altro, raccomandò al vecchio Asthor e ai sei marinai di fare buona guardia, poi scese nella imbarcazione.
I tredici marinai destinati a prendere parte all’ardito colpo di mano, avevano già preso posto nelle scialuppe portando con loro altre armi, e non attendevano che un segnale per dar mano ai remi.
— Veglia, Asthor, — disse il capitano, prima di prendere il largo. — Ti affido mia figlia, che è il tesoro più caro che abbia sulla terra.
— Mi farò uccidere se sarà necessario, ma la ritroverete viva, signore, — rispose il lupo di mare.
Il capitano fece un ultimo saluto ad Anna che stava ritta sulla murata, poi comandò di prendere il largo.
Le due scialuppe, facendo meno rumore che era possibile e protette dalle tenebre, si allontanarono girando attorno alle scogliere e misero la prua verso il sud.
Il naufrago che si era messo al timone della maggiore, segnava la via additando ai remiganti i bassifondi e le scogliere, onde non dessero in secco. Di quando in quando però li faceva arrestare e con quei suoi occhi, che anche di notte luccicavano come quelli dei gatti, scrutava con cura minuziosa le sponde dell’isola per assicurarsi che nessuno gli spiava.
Dopo una buona mezz’ora Bill spinse la sua scialuppa verso la costa e superato un banco, sopra cui rompevasi il mare con una certa violenza, la fece entrare in una piccola baia assai ristretta, circondata da una fitta foresta di banani (ficus indica), alberi di proporzioni colossali, con tronchi formati di grossi fusti intrecciati, che riuniti misurano quasi trenta metri di circonferenza e una massa enorme di fogliame capace di proteggere, colla sua ombra, quattrocento persone e più.
— Fermi, — mormorò il naufrago.
I remiganti si arrestarono a dieci o dodici metri dalla riva, e non sapendo di che cosa trattavasi, raccolsero i fucili armandoli.
— Cosa succede? — chiese il capitano Hill, che giungeva con la seconda scialuppa.
— Ascoltate! —
Tutti fecero silenzio e stettero in ascolto, rattenendo perfino il respiro. In lontananza si udivano echeggiare i selvaggi clamori a cui si univano talvolta dei suoni strani, che parevano prodotti con delle conche marine. Il capitano Hill impallidì e provò una stretta al cuore.
— Che assaltino il mio legno? — chiese.
— No, — disse Bill. — Queste grida non vengono dalla parte del mare, ma dalla parte del grande villaggio. O Vavanuho è morto o qualche grave avvenimento è accaduto.
— Chi è questo Vavanuho?
— È il re che devono seppellire.
— Sbarchiamo. —
Le due scialuppe si accostarono alla spiaggia e si arenarono su di un banco di sabbia. I quindici uomini armatisi dei fucili, delle pistole e delle sciabole d’abbordaggio, sbarcarono ai piedi dei grandi fichi banani, le cui radici venivano a lambire l’acqua della piccola baia. Bill fece gettare sulle scialuppe una grande quantità di rami e di foglie onde non venissero scoperte, poi messosi alla testa del drappello, s’inoltrò sotto la fitta ombra proiettata dai giganteschi alberi.
Avevano percorso appena sei o sette passi, quando Bill si arrestò bruscamente afferrando il fucile.
— Cosa avete veduto? — chiese il capitano Hill.
— Un’ombra ha attraversato il sentiero.
— To’! — esclamò in quell’istante una voce. — Bill qui! Sogno o i cannibali mi hanno accoppato? —
Note
- ↑ Presso i Battias, popoli che abitano la costa settentrionale dell’isola di Sumatra, fra il regno di Achin e il mare, si fa quasi lo stesso. Quando i padri non possono più lavorare vanno a legarsi ad un albero e aspettano che i parenti vadano a mangiarli! E si noti che i Battias godono una certa civiltà, e non recente.