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96 | capitolo decimo. |
tutto l’equipaggio, poichè nessuno ignorava i feroci costumi di quegli spietati mangiatori di carne umana.
I disgraziati naufraghi della nave inglese, che l’equipaggio sperava di trovare ancora liberi e di salvarli senza dover ricorrere alle armi, stavano per venire sacrificati per servire di scorta al moribondo re nel grande viaggio da cui più non si torna, e d’altra parte la Nuova Georgia stava per venire assalita senza avere la speranza di prendere il largo, dacchè l’uragano l’aveva spinta attraverso alle scogliere.
Per alcuni istanti a bordo della nave regnò un profondo silenzio, tanta era stata l’impressione ricevuta da quelle brutte notizie; poi il capitano Hill che era un uomo di grande energia e risoluto, lo ruppe:
— Non scoraggiamoci, — disse. — Siamo pochi, è vero, ma tutti valorosi e non nuovi ai pericoli; abbiamo armi, polvere e palle in abbondanza, e non dobbiamo temere quei brutti antropofagi. Orsù, Bill, cosa mi consigli di fare? —
Il naufrago che guardava l’isola cogli occhi fiammeggianti, i pugni chiusi, il viso sconvolto da una collera furiosa, si volse come una fiera. Non era più l’istesso uomo di poche ore prima, freddo e tranquillo; era pallido e nel suo viso si leggeva un non so che di furore e di sinistro, da mettere paura.
— Cosa vi consiglio di fare? — diss’egli con voce rauca. — Lo so io forse?
— Tu conosci l’isola e gli isolani meglio di me, e puoi darmi dei preziosi consigli. Credi tu che si possano salvare i tuoi compagni? —
Un lampo di gioia attraversò gli occhi di Bill.
— Volete salvarli? — chiese, cambiando tono.
— Se è possibile, sono pronto a tentarlo.