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e Ticinese corse alle sponde dell’Adda tra Vaprio e Trezzo. I soldati volevano passar oltre a dare il guasto, ma il podestà inviò alcuni a Bergamo per chiedere soddisfazione della ricevuta ingiuria, lasciando a que’ cittadini due giorni di tempo a risolvere. I Bergamaschi, avvedutisi dell’errore commesso provocando una città così potente, spedirono per la via di Trezzo quaranta ambasciatori al campo milanese per iscusare la loro condutta.

Il Tornano allora intimò che dovessero congedare tutti i Milanesi proscritti, e indennizzare li abitanti di Aicurzio. A questi patti fu stabilita la pace. I Milanesi esuli in numero di circa novecento, espulsi anche da Bergamo, ripararono al Monte di Brianza, e si chiusero nel forte castello di Tabiago, dove pure assediati dovettero infine arrendersi per difetto di viveri. La fortezza fu tosto ruinata1 e i prigionieri tradutti su carri a Monza, indi a Milano. A Martino della Torre ed ai maggiorenti è dovuto se alcuni cambiarono il patibolo coll’esiglio. Degli altri che furono incarcerati, quale fu posto nel castello di Stezzano, quale in quello di Trezzo, chi nel campanile di Vimercate, e chi finalmente in Milano nella torre della porta di Sant’Ambrogio e in quella di Porta Nuova. È da quest’epoca in poi che il forte di Trezzo accolse quasi di continuo illustri prigionieri di Stato. Quei

  1. Oggidì rimangono solo li avanzi di una gran torre quadrata che serve ad uso di magazino. Sull’esterno di una parete vedonsi sculpite le parole del Corio relative al fatto.