Tre donne/VII
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CAPITOLO VI.
Alla Cascina Grande.
Erano i giorni lieti della raccolta autunnale; tanto più lieti chè il formentone abbondava.
La sera, dopo cena, uomini e donne si mettevano intorno all’aia e sotto la loggia della casa padronale, formando un largo circolo; e ognuno aveva il suo mucchio di formentone davanti a sè, e l’uncino di ferro in mano per scartocciare le pannocchie.
Maria Scaramelli, seduta sotto il portico presso alla lanternina attaccata a un chiodo — unico lume per tutti — faceva andare l’uncino con tanta rapidità e destrezza che le pannocchie mondate si ammucchiavano alla sua sinistra come per incanto; e ad ogni poco ella doveva spingere in là, con le braccia e le gambe, i cartocci vuoti che le si ammassavano intorno.
Le altre donne le dicevano sorridendo senza invidia:
— Nessuna vi può superare voi, Maria; siete la più svelta e non vi stancate mai; neppure a essere in quello stato!
Ella scrollava il capo con un fare dolce di contentezza; ma non rispondeva. Non le piaceva discorrere di quella grande speranza concessa finalmente al suo intimo desiderio. La sua povera anima abituata alle asprezze del destino non era forse più suscettibile della confidente baldanza che sostiene i fortunati anche in mezzo ai pericoli, e spesso li manda illesi.
Lei temeva sempre. Dopo tanti tormenti, dopo tante angoscie, la pace di cui godeva e l'orizzonte sereno che le si apriva dinanzi, la rendevano timida, superstiziosa. Le pareva impossibile che dovesse durare: era tanto avvezza a piangere!
Epperò chiudeva ogni cosa in sè, come nel passato; gelosa della gioia come del dolore.
E non si lagnava mai delle piccole contrarietà; le dissimulava piuttosto, perfino con se stessa.
Se il cavallante stava fuori più del bisogno, se arrivava un tantino brillo — lui che negli anni addietro non andava mai all’osteria — ella faceva le viste di non accorgersene e non gli chiedeva mai dov’era stato nè cosa aveva fatto. Temeva troppo di vedere quella fronte oscurarsi, quegli occhi, ora buoni e ridenti, ridiventare freddi, arcigni come nel passato. Del resto, dacchè aspettava il bambino, non si accorgeva quasi neppure se il marito tardava; era tanto occupata, aveva tante piccole cose da preparare.
Anche quella sera Sandro era fuori. Attaccato il cavallo se n’era andato via: per ordine del padrone — diceva.
Ma sarebbe ritornato, e presto. Lei intanto lavorava. Lavorava e cantava. La delicata poesia che ella portava inconsciamente nell’anima, e il bisogno indistinto di una effusione e di una tenerezza, di cui veramente non conosceva neppure il linguaggio, si esalavano in un rozzo canto contadinesco.
Cominciava da sola.
La sua voce morbida, impregnata di tristezza si elevava dolcemente nell’aria molle della serata autunnale.
I contadini l’ascoltavano un istante in silenzio, con una sorta di raccoglimento; poi, alla prima cadenza, le donne, trascinate, la seguivano; e dopo poche battute, tutto a un tratto, quasi selvaggiamente, prorompevano le voci forti e ben timbrate dei maschi.
Il coro si formava. Un coro assai primitivo, senza alcuna sapienza, senza varietà di toni; ma poderoso nella sua malinconica monotonia, e non privo certo di una cotale semplice e solenne bellezza. Di tratto in tratto sembrava come se da quei petti rozzi, da quei cervelli incapaci di un pensiero sintetico, si fosse sprigionato il più profondo sentimento della insopportabile miseria — il conscio orrore della troppo lunga ingiustizia. Erano schianti di angoscia, gridi di rivolta, appelli disperati. E quelli che nel mezzo dell’aia, battevano col coreggiato le pannocchie mondate per distaccarne il grano, seguivano il ritmo con impeto crescente, formando uno strano, formidabile accompagnamento. Pareva il bosco, allorchè urla e scoppia, e si torce imprecando, sotto la sferza odiata del vento.
Ma pochi istanti appresso, le braccia stanche dei battitori si allentavano, e il coro rientrava, a poco a poco, nella solita nenia semplicemente malinconica.
Le faccie tranquille, le mani operose non tradivano alcuna commozione insolita.
Che cosa era stato?
Nulla. Uno sfavillamento imponderabile del sotterraneo braciere.
Uno scatto istintivo del sentimento umano conculcato.
Ma la materia infiammabile non era pronta. Ma i poveri contadini, depressi dall’ignoranza e dalla miseria, non potevano comprendere così subito il misterioso appello.
⁂
Il cielo, ognora più chiaro e limpido annunziava il sorgere della luna. Levati di mezzo i torsoli delle pannocchie — alcuni dei quali serbando ancora una parte dei chicchi venivano sottoposti al ferro da sgranare — i contadini procedevano a ben distendere il grano sull’aia servendosi de’ rastrelli: altri distendevano pure i cartocci che ben ripuliti e completamente secchi avrebbero servito pei sacconi de’ letti o per uso di strame alle bestie.
Maria ascoltava ansiosamente il rumore di una carrettella che si avvicinava. Certo era il suo Sandro.
Ma prima che la carrettella arrivasse al cancello, un uomo vecchio, sbilenco, in abiti metà da paesano, metà da scaccino, entrò nella corte e si accostò alla giovine donna gesticolando e borbottando forte. Era suo padre: Marco Scaramelli.
Ella sentì come una ferita al cuore. Oh! qualche cosa di brutto era avvenuto a Gel, alla Cura. Quella Cristina!... Non ebbe il tempo di interrogare.
— Mi hanno cacciato! — gridava Marco. — Mi hanno cacciato, que’ due sudicioni, quei due... levando il sacro di lui, que’ due maiali!...
I contadini curiosi, pronti a malignare, facevano crocchio intorno all’ubbriacone che gridava come un energumeno. Tutti sapevano di chi parlava; chè gli amori del giovine prete con la bella Cristina erano soggetto di ciarle per molte miglia all’ingiro.
Maria si sentiva morire.
— Sta’ zitto; ti prego, sta’ zitto! — badava a dire al padre.
Ma questi non le dava retta.
— Cacciato! Messo in strada co’ miei cenci! — E accennava a un fagotto, che gli pendeva dal braccio mancino, e a cui Maria non aveva badato alla prima.
— Vi ha cacciato perchè non avete voluto smettere di ubbriacarvi — disse un certo Bernardo, uomo serio cui non piacevano i pettegolezzi. — Ha ragione il signor Curato; non avete a rifarvela che con voi stesso.
Come accade in casi simili, tutti si schierarono dalla parte di Bernardo, e Marco si sentì deriso.
Ma non si diede per vinto.
— Bugie! Bugie!... Non è vero niente. Se fosse stato per il vino, tanto, dovrebbe avermi cacciato da un bel pochino, dovrebbe!... Ne facevo del bere l’anno passato! Dio! se ne facevo del bere! Miracolo se non gli ho asciugata la cantina. Ma allora non mi cacciava, perchè in grazia che c’ero io alla Cura, la ci capitava di tratto in tratto anche la Cristina!... Potevo ubbriacarmi allora!...
Le donne presenti scoppiarono in una risata. Egli prese coraggio e continuò.
Già! lo cacciava adesso il signor Curato; adesso si accorgeva che era un ubbriacone; adesso, perchè la ganza ce l’aveva in casa e non voleva testimoni! E lei peggio di lui, quella...! Metteva suo padre in sulla strada, invece di assicurargli il pane, già che la si era data a quel bel mestiere, quella...! — E giù parolaccie e bestemmie, snocciolate come avemarie.
Chi rideva ancora e chi brontolava; tutti però l’ascoltavano come affascinati da una curiosità malsana.
Egli era spaventevole e grottesco. Secco come una mummia, traballante sulle gambe, con quegli abiti che gli cascavano da tutte le parti: col viso bruciato dall’alcool, gli occhi di triglia morta. Metteva schifo e paura.
Maria non tentava più di farlo tacere. Capiva che era impossibile. Ma quando vide Sandro si sentì riavere. Corse a lui e gli raccontò tutto in poche parole.
Sandro, sempre bell’uomo, sempre svelto e imponente, si avanzò verso il vecchio e guardandolo bene in faccia, con fare asciutto, ma senza collera disse:
— Noi andiamo a letto; abbiamo lavorato, siamo stanchi; e io devo chiudere il cancello; scusate, veh!... Ritornerete un altro giorno, a un’ora più comoda... — E mentre parlava cercava di spingere il vecchio fuori del cortile.
— Ah! ah! ah! ah! ah! — sghignazzò Marco Scaramelli affrontando il genero e facendolo rinculare verso il centro del cortile, con una forza che nessuno si sarebbe aspettata dalla parte di un vecchio così male in gamba. — Qui voglio restare! — esclamò. — Qui. Tu mi devi mantenere. Io non ho altri.
Uscito dal primo stupore di quella inaspettata reazione, Sandro si drizzò tutto di un pezzo, e con un semplice spintone ricacciò quel petulante fino all’uscita.
La zuffa impari divenne feroce.
Gli astanti cercavano di mettersi di mezzo per distaccare i due furibondi; e Maria li supplicava piangendo, che la finissero.
Le altre donne strillavano, al solito, di paura.
Già il vecchio soccombeva. Ma all’ultimo istante, quando si sentì costretto a volgere in fuga, si mise a gridare con quanto fiato aveva in corpo:
— Va bene! tu mi scacci. Ma io andrò da tuo fratello e gli dirò che ti ho visto con la sua donna, e gli dirò dove e quando!...
Il cavallante esasperato assestò al suo suocero un calcio tale che lo fece ruzzolare in mezzo alla ghiaia, al di là del cancello.