Tre donne/IX
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CAPITOLO IX.
La Cristina.
La ciarla correva di bocca in bocca, Marco Scaramelli era scomparso.
Morto. Morto certo.
Ma come? Quando? — Nessuno poteva rispondere con precisione.
Dopo la scenata alla Cascina Grande, doveva essere andato vagando qua e là per le campagne, cercando l’elemosina.
La mattina del terzo giorno fu visto in Val Mis’cia presso la casa di Pietro Rampoldi.
Andava a mantenere la minacciosa promessa fatta al marito di sua figlia.
Tutti lo sapevano. Ma Pietro non era in casa; e la Virginia doveva avere fatta una buona accoglienza al nemico; taluni pretendevano anzi che, leggendogli in faccia il cattivo proposito, ella gli facesse pagar caro lo scotto, anche per le figliuole: e soggiungevano di avere incontrato il beone mogio mogio, e quasi incapace di moversi.
Ma dov’era andato poi?... Uhm!... Chi ne sapeva qualcosa?... Un ragazzo di Gel affermava di averlo visto sulla strada di Casorate, con una cestella di rame sott’al braccio. Ma le donne osservavano:
— A Casorate, venerdì, ci fu il nuovo cavallante di Val Mis’cia e il garzone che porta il pane: l’avrebbero visto anche loro!...
Passarono così nove giorni. Alla Cascina Grande, la moglie di Sandro mise al mondo, due mesi prima del tempo, una bambina morta; e per poco non morì lei pure.
— Tutto colpa di quella sgualdrina di sua sorella! — esclamava il fittabile di Val Mis’cia facendosi sentire dai suoi contadini. Così egli cercava di eccitare gli animi contro la ragazza, pensando che nel timore dello scandalo, il parroco l’avrebbe mandata via; e allora, che dolce vendetta!
La Nunziata Meroni, a cui premeva di mettersi nelle buone grazie del padrone andava ripetendo con la sua voce falsa:
— Ha fatto male la Cristina, molto male! Tutto si perdona: ma cacciare il padre, metterlo sulla strada, no. È vergogna! Senza contare che la presenza del vecchio in casa era una salvaguardia per lei nell’opinione della gente. Ma quando una è donnaccia a quel punto non vuole saperne di riguardi!...
Le anziane approvavano gravemente questa sentenza e le giovani, meno belle di Cristina, sorridevano.
Perfino certi giovinotti, i quali poco tempo prima si sarebbero fatti ammazzare per la Cristina, la lasciavano malmenare adesso. Soltanto il vecchio Melica, sempre affezionato alle due migliori amiche della sua povera Giulia, rimbrottava la vecchia per la sua maldicenza. Ma il Melica era un eresiarca inasprito dalle disgrazie; glielo diceva sempre il fittabile, malcontento per certe osservazioni. E il medico condotto di Casorate, il dottor Carlo Chiari, quel mangiapreti, ci dava dentro anche lui, per il bruciore patito in causa della Cristina. Ma poi, da quello scettico che era, canzonava gli uni e gli altri.
La Cristina non osava quasi mettere un piede fuori della casa parrocchiale. Soltanto se usciva un momento nell’orto, i ragazzi che giuocavano sulla strada vicina le tiravano delle sassate.
E che parolaccie le gridavano!
Lei si rivoltava dentro di sè. Vigliacchi! tutti contro una donna! Come se fosse stata la prima a cadere. Perchè non badavano alle loro mamme e alle loro sorelle, che ne facevano di più sporche assai? Si, vigliacchi!...
Per lei tanto, sarebbe corsa in sulla strada e li avrebbe presi a ceffate que’ prepotentacci! Ma intendeva troppo bene che gli scandali ricadevano sul capo del parroco; che lui ci perdeva in dignità, in riputazione, in tutto: e cercava di frenarsi.
La mattina del nono giorno dopo la scomparsa di Marco, una donna venuta dalla Cascina Grande chiese di parlare alla Scaramelli.
— Mi manda vostra sorella... oh! non vi spaventate! È malata si, molto malata ancora, ma pare che il dottore l’abbia cavata di pericolo. Non si tratta di lei adesso, si tratta di voi. Non sapete?... Hanno trovato il cadavere di vostro padre, laggiù, in uno di quei fossi. Andava in cerca di rane, e pare sia caduto dentro, che Dio ci guardi, sicuro; forse era ubbriaco; ma laggiù dicono che si è buttato nell’acqua per disperazione, e danno la colpa a voi. E pare, dicono, che vogliano venire qui tutti a darvi una lezione. Bisogna vedere come sono: hanno il diavolo addosso. Per questo vostra sorella mi ha mandata e vi raccomanda di stare in casa... di non farvi vedere.
Cristina, sbalordita come se avesse ricevuta una mazzata sul capo, non ebbe che una percezione ben chiara, una percezione che l’aiutò a sopportare il colpo. In mezzo a tante disgrazie Maria aveva pensato a lei: le voleva dunque sempre bene!
Facendosi forza, disse alla donna:
— Grazie; grazie tante. Direte a mia sorella che la ringrazio. Starò in casa; farò tutto quello che vuole; non abbia paura per me; pensi alla sua salute. Volevo giusto andarla a trovare; ma... Ecco qui, portatele queste ova fresche, questo po’ di burro e il pan bianco... Povera Maria!
Che si custodisca bene!... E questo per voi...
Andava di qua e di là per la cucina, prendendo fuori la roba che disponeva con garbo in un panierino. Era nervosa, agitata e tutta rossa in viso.
La contadina intanto pensava: Quanto pane, quante ova!... Può mangiare finchè vuole: che fortuna!
— Quanto al vecchio — entrò a dire la Cristina con un tremito nella voce — l’ho fatto mandare via, anzi l’ho mandato via io, perchè a poco a poco, vuotava la cantina al curato e gli diceva dietro tutti gli improperi, e avrebbe voluto che gli tenessi mano io!... Via lui o via me, ho detto al curato: e se fosse vivo ancora oggi, rifarei quello che ho fatto!
— Per carità non lo dite! — supplicò la contadina. — Guai se vi sentissero laggiù. Ora sono tutti per lui. Pare che sia morto un santo. E tutti contro di voi sono!
— S’affoghino! mormorò Cristina con una alzata di spalle.
⁂
Un’ora prima del tramonto, avendo smesso di lavorare, una frotta di uomini e di donne si avviò con molta animazione alla volta di Gel, per vedere la Scaramelli e dirle il fatto suo. Si erano montati ciarlando e gridando, messi su specialmente da quelli di Val Mis’cia.
Intanto le autorità e il medico, giunti sul luogo in ritardo, con tutto loro comodo, esaminavano il cadavere, constatavano la morte senza violenza, quindi volontaria o casuale, ed eseguivano le altre formalità.
Dopo l’avrebbero fatto portare a Gel per la sepoltura che doveva avere luogo subito, visto lo stato di avanzata putrefazione in cui si trovava il misero corpo.
I contadini più pacifici aspettavano di accompagnare il morto; ma gli scalmanati non potevano aspettare.
E poi insieme al convoglio avrebbero fatto la strada alcune di quelle guardie di questura, venute in giù col delegato; e agli scalmanati non premeva di averle in compagnia.
Strada facendo la turba ingrossò, e allorchè toccò il sagrato pareva quasi imponente.
Si annunziò subito con grida e fischi, fermandosi davanti alla casetta bianca della parrocchia tutta chiusa, porte e finestre.
Don Giorgio e Cristina erano nella saletta che teneva il centro della casa fra le quattro camerette, due a destra e due a sinistra, e in fondo metteva alle scale. Lui calmo, sereno; lei vibrante di collera.
— Fuori la Scaramelli! — gridavano i villani imbizziti. — Fuori quella che ha ammazzato suo padre!
— Fuori! — incalzavano le donne. — Mostri la sua bella faccia di sporcacciona...
Volevano sculacciarla. E se lei non scendeva, sarebbero saliti loro e l’avrebbero tirata abbasso per darle una bella lezione.
— Tanto sfacciata, e non ha il coraggio! — gridava un ragazzone sciancato.
— Fuori! Fuori! Fuori!
Le donne erano in prima fila, le più accanite. E la Virginia Rampoldi trovava i peggiori insulti.
Cristina, ritta in piedi presso alla finestra, dietro le imposte chiuse, i pugni stretti, i denti serrati, schizzava fiamme dagli occhi.
Ogni tanto i suoi nervi scattavano.
Una imprecazione smozzicata le usciva dalle labbra rosse come il sangue.
Un sasso volò.
Poi un altro.
Allora ella non ebbe più pace. Voleva affrontare i suoi nemici, faccia a faccia.
— Don Giorgio, mi lasci andare! Butteranno giù la porta, verranno su; non è giusto che lei patisca per me!... Vogliono me!... Mi lasci andare!... Mi lasci!...
E si dibatteva con tutto il vigore delle sue braccia robuste.
Ma egli la teneva lì incatenata, con poco sforzo. E il suo volto s’illuminava di tratto in tratto per un vago sorriso di pietà e d’indulgenza. Sembrava perfino che dimenticasse il dispiacere di quel critico momento; come se la sua anima piena di amore e di luce non potesse accogliere nessun pensiero fosco.
Con accento commosso, con quella voce profonda che sembrava venire direttamente dal cuore, egli andava ripetendo:
— Coraggio! Sii forte. Non lasciarti abbattere dalla collera che è una debolezza. Sono poveri abbrutiti, poveri illusi; credono di difendere la giustizia; credono di far bene.
— La Virginia, no. La Meroni, no. E quelle altre neppure. Son birbone!...
— Lasciale gridare; che cosa t’importa?... Hanno un pochino d’invidia femminile. Non vuoi compatirle tu che sei tanto bella e adorata?
Erano le prime parole d’amore che le diceva da quattro mesi che stavano insieme — le prime dopo quel giorno.
Le fecero una grande impressione.
Tutta vibrante e intenerita sotto la carezza di quella voce che le penetrava il cuore, ella non trovò una risposta. Ammutolì, si concentrò. Le memorie l’assalirono. Per la prima volta in tutto il giorno pensò al cadavere di suo padre, trovato in fondo a un fosso, gonfiato dall’acqua, mezzo putrefatto. La collera cadde; cadde il fiero sentimento di sfida che l’aveva tenuta su per tutte quell’ore, mantenendola in uno stato di eccitamento. Si sentì sopraffatta da una immensa prostrazione. E dal fondo della sua anima si fece strada uno spasimo sordo, inesplicabile, che andò acuendosi di momento in momento.
Quel suicida, quell’ubbriacone, quell’uomo orribile, scacciato da lei perchè rubava e avviliva la casa del parroco con la propria bassezza: quello sciagurato uomo era suo padre!...
Giustamente lo aveva scacciato; e giustamente Sandro Rampoldi non aveva voluto accoglierlo. Ma questo nulla mutava alla terribile verità: era il padre suo quell’uomo; e lo avevano trovato morto in un fosso, mezzo putrefatto, come una carogna... Chi sa quanto aveva patito!... E era suo padre!
Questo pensiero, che per lei aveva l’acutezza dolorosa di una sensazione fisica, diveniva intollerabile, le mordeva le carni.
Un sasso lanciato con maggior violenza venne a battere appunto contro quella imposta là vicino a lei. Un grido le sfuggì; un singhiozzo terribile eruppe dal suo petto.
Altre immagini spaventose l’assalirono. La sua povera sorella, già tanto infelice, la povera Maria, che perdeva l’unica consolazione, la sua creatura, morta prima di nascere!...
E don Giorgio!... don Giorgio, precipitato, per causa di lei, nella rovina, nella vergogna! Forse gli sarebbe toccato andar via; e lei non l’avrebbe mai più riveduto; mai più, mai più, come se fosse morto.
Da tutte le parti il dolore l’assaliva e cresceva, cresceva; l’atterrava, le negava ogni scampo. Si sentiva soffocare, le pareva di andare sotto, sotto, come suo padre, nell’acqua gelida e limacciosa.
Ma quegli ossessi gridavano continuamente, e i sassi volavano.
Ella ebbe un altro scoppio. Non era meglio sfidarli, rischiar la vita... finirla?... Spalancare la finestra? Farsi lapidare?... Finirla, finirla!
Non poteva reggere a tanta angoscia!
Con impeto disperato tentò di aprire la finestra. Ma il Castellani che la sentiva spasimare e gemere e piegarsi e contorcersi come un sarmento alla fiamma, la trascinò lontano dalla finestra, in fondo alla saletta, e la fece sedere, e sedette accanto a lei. Poi, cominciò a parlarle sommessamente di quell’immenso dolore ch’ella non sapeva esprimere.
Fuori la folla continuava a strepitare. Ma il parroco non vi badava: erano per la maggior parte donne e ragazzi; non potevano durar molto. Difatti, una imposta rotta a un finestrino del primo piano spaventava i più timidi, e Bernardo, il contadino della Cascina Grande, sopraggiunto in quel momento, faceva sentire la sua parola assennata. Qualcuno resisteva tuttavia; qualche sasso volava ancora, ma piccolo e mal lanciato.
Cristina non ascoltava che la voce dolce del suo signore, e, a poco a poco, la sua oppressione si scioglieva, le lagrime scorrevano da’ suoi occhi brucenti, e abbandonava la testa sul petto fedele del giovine. Piangevano insieme.
Era quasi notte. I rumori cessavano. Bernardo aveva finito di convincere i più scalmanati, annunciando il prossimo arrivo dei carabinieri, e soggiungendo con un sottinteso: «Non è già per una sciocchezza simile che vorrete farvi legare!...»
Don Giorgio si riscosse nel salottino pieno d’ombra; andò alla finestra, l’aprì. Il sagrato era quasi vuoto; pochi curiosi guardavano in silenzio. Due carabinieri camminavano in su e in giù.
Più lontano, sulla strada maestra appariva una specie di convoglio funebre con due torcie di resina, diverse guardie di questura delle quali si vedevano luccicare i bottoni al lume delle torcie, e, sopra una barella, portata da quattro contadini, una massa nera, informe.
Don Giorgio pensò che doveva scendere, andare in chiesa. Passò nella sua camera, indossò la veste talare, prese il berretto e ritornò nella saletta.
Il convoglio funebre era ancora in cammino, egli aveva un istante di tempo.
Si accostò alla Cristina che piangeva sempre, e con quella voce tenera e profonda, che a lei faceva tanto bene, le disse:
— Non piangere più. Tuo padre è tranquillo adesso. Dio gli ha perdonato.
Tacque un istante, poi riprese:
— Anche a noi ha perdonato Iddio! Non piangere, ti dico. Guardami. È l’ultima volta che mi vedi con questo abito; questo che vado a compiere — la benedizione alla salma di tuo padre — è l’ultimo atto del mio ministero di sacerdote.
La giovane, che aveva alzata la fronte e rasciugate le lagrime, ebbe un sobbalzo e gridò:
— Che dice?!...
— Dico una cosa bella e seria. Domani cesserò di essere prete — e domani a sera partiremo insieme...
— Oh! Don Giorgio?!... È possibile?...
E lo guardava fiso, quasi per convincersi che non era impazzito.
— Parlo di tutto il mio senno. Questa risoluzione avrei potuto prenderla da un pezzo; ma non si rompe così facilmente con tutto un passato. E poi avevo bisogno di essere convinto che facevo bene. Da due giorni Dio mi ha fatto la grazia.
— La grazia?!
— Sì; concedendomi la lucidezza di mente e la sicurezza di spirito di cui avevo bisogno. I miei superiori pretenderebbero che io ti abbandonassi. A questo prezzo mi perdonerebbero lo scandalo e sarebbero anzi disposti a favorirmi nella carriera... Non tremare, anima mia! Io non posso ammettere questa morale. Ciò che sarebbe una cattiva azione per un uomo qualunque non può diventare un’azione meritoria per un prete. E se così è, tanto peggio per il prete: io ritorno uomo. Tutto è disposto, pronto; domani avrò il diritto di non indossare questo cilizio. E fra qualche settimana sarai la mia sposa, davanti agli uomini... ed anche davanti a Dio... non temere!
Senza proferir parola, istintivamente Cristina levò al cielo le mani congiunte e gli occhi pieni di lagrime, in atto di muta, fervente preghiera.