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nite. E la Virginia Rampoldi trovava i peggiori insulti.

Cristina, ritta in piedi presso alla finestra, dietro le imposte chiuse, i pugni stretti, i denti serrati, schizzava fiamme dagli occhi.

Ogni tanto i suoi nervi scattavano.

Una imprecazione smozzicata le usciva dalle labbra rosse come il sangue.

Un sasso volò.

Poi un altro.

Allora ella non ebbe più pace. Voleva affrontare i suoi nemici, faccia a faccia.

— Don Giorgio, mi lasci andare! Butteranno giù la porta, verranno su; non è giusto che lei patisca per me!... Vogliono me!... Mi lasci andare!... Mi lasci!...

E si dibatteva con tutto il vigore delle sue braccia robuste.

Ma egli la teneva lì incatenata, con poco sforzo. E il suo volto s’illuminava di tratto in tratto per un vago sorriso di pietà e d’indulgenza. Sembrava perfino che dimenticasse il dispiacere di quel critico momento; come se la sua anima piena di amore e di luce non potesse accogliere nessun pensiero fosco.