Tre croci/Capitolo VII
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VII.
Giulio diede subito importanza a quel che gli aveva detto la cognata. Ma da solo non riesciva a vedere come avrebbe fatto a fingere che la ragazza avesse almeno una dote piccola. Era curioso di conoscere il giovine; e aspettava, da un giorno all’altro, che capitasse in bottega; perchè, certamente, avrebbe dovuto prima parlare a lui. Ma, poi, non volle preoccuparsene troppo; perchè, convinto che tutto ormai gli dovesse essere contrario, si racchiocciolava e non desiderava più che la sua sfortuna, mutasse; e aveva perduto ogni senso di volontà. Però, fu di parere di dirlo ai fratelli: Enrico rispose che non ci credeva e che si trattava molto probabilmente d’una fisima da donnicciole, e Niccolò garantì che non valeva la pena nè meno di occuparsene. Allora, Giulio volle impegnarsi da solo a fare per Chiarina quel che avrebbe potuto. Tutto il suo sentimento d’uomo gli dava un piacere d’energia, che si trovava d’accordo con la sua coscienza. E credette, così, di rendersi meno abbandonato a sè stesso. Non aveva fatto mai niente che avesse un intento morale, ed ora gliene capitava l’occasione!
Volle riprovarsi a discorrerne più a lungo con Niccolò, e gli disse:
— Tu che sei tanto affezionato, e non lo metto in dubbio, a quelle due bambine, perchè ti rifiuti ora di prendere sul serio la possibilità che una abbia trovato da sistemarsi bene?
— Giulio, lo sai! Io di queste bazzecole non me ne intendo punto!
— O perchè?
— Perchè io, da qui in avanti, più che ci s’avvicina all’abisso, voglio mangiare e bere soltanto!
— Mi pare che una cosa non escluda l’altra!
— Ma che dovrei fare?
— Siccome è un impiegato al demanio, tu che conosci il direttore, dovresti ìnformartene.
Niccolò si mise a ridere:
— Ti pare che io sia proprio adatto?
Poi disse con violenza, alzandosi in piedi e battendosi una mano aperta sul ventre:
— S’è uno che cerca la dote, ha sbagliato! La dote non c’è e non la piglia. Si trovi un’altra fidanzata!
Poi, con una voce, che gli sbatteva insieme con le sue risate brusche e quasi minacciose, seguitò gridando:
— Ti pare che la sposi senza una dote? Ah, io non ci credo! Sarebbe un bell’imbecille! Sono il primo io a dirglielo! Avete voluto mandare a scuola anche lei, e invece doveva entrare a farsi monaca! L’ho sempre detto! Non mi sento mica un gonzo!
— Ormai, è inutile avere codeste idee.
— E, allora, fate quel che volete. Io resto del mio parere.
E rise, sempre più aspramente.
Mentre rideva, entrò un giovine vestito abbastanza bene; con i baffi rossi e le lenti. Niccolò gli chiese, con un risolino beffardo:
— Vuol qualche libro?
— Volevo parlare a uno di loro. Non so a chi.
— Parli al mio fratello!
E, abbottonatosi la giubba, scappò.
Giulio escì da dietro la scrivania, e il giovine si presentò:
— Sono il ragioniere Bruno Pallini, impiegato da un anno al demanio di Siena.
Giulio, inchinandosi, gli rispose:
— Mi dica pure quello che vuole.
Il giovine stette un momento zitto.
— Sa.... è la prima volta ch’io parlo con lei! Mi scusi! Io desidererei l’onore di fidanzarmi con la signorina Chiarina.
Aveva gli occhi luccicanti, e gli tremavano anche le lenti. Aspettava ansioso che il libraio aprisse bocca.
— Non c’è nulla in contrario, se la mia nipote acconsente: purchè lei sia disposto anche se le condizioni.... attuali.... della ragazza sono piuttosto modeste.
Il giovine, esaltato, disse senza riflettere:
— Ah, non le voglio nè meno sapere!
— Allora.... la cosa può essere fattibile! Oggi ne parlerò alla sua zia e a lei.
— Quando vuole che torni?
— A comodo suo. Stasera, domattina... Meglio domattina.
Il giovine avrebbe voluto stare con lui più a lungo, ma siccome non trovava niente da dire, sorrise tutto imbarazzato e timido, gli tese la mano; e se ne andò.
Giulio restò fermo, allo stesso posto; facendo girare le lenti fra le dita. Poi, disse:
— E ora?
Ma entrò Costanzo Nisard tutto azzimato e gioioso; con un crisantemo che pareva d’oro; tenendolo insieme con un manoscritto arrotolato.
— Disturbo, forse?
— Anzi, mi fa piacere. C’è stato mezzo minuto fa, un signore a chiedere la mano d’una mia nipote; di Chiarina.
Il Nisard, a cui piaceva fare i complimenti, esclamò:
— Mi duole di essere arrivato troppo tardi! Lo avrei conosciuto volentieri.
— Pare serio. Dev’essere meridionale; come quasi tutti gli impiegati che mandano qua.
— È ricco?
— Io non gliel’ho chiesto.
Ma il Nisard aveva parlato abbastanza di quell’argomento, e disse:
— Ero venuto per sapere se lei ha un fascicolo del Burlington Magazine, dov’è uno studio sul Sassetta del Berenson. Mi scusi se io cerco quel che interessa me.
— Ora, guarderemo se lo troviamo!
— Non ho nessuna fretta.
Ma comparve Niccolò, ghignando; e s’accomodò a sedere senza dire niente.
— Era lui quello che ci domanda di Chiarina, gli disse Giulio.
— Lo sapevo. E perciò me la son battuta.
Allora il Nisard gli chiese scherzando, con la sua voce crepitante come fatta di aghi, con un sorriso che sgrigliolava liscio e pulito come le sue scarpe sempre nuove e sempre lucide:
— E lei è contento?
Niccolò lo ragguardò in viso, ridendo; e ora, il suo riso era tranquillo, ma dileggiante lo stesso. Si calcò il cappello fin sugli occhi, in modo che le sopracciglia toccarono la tesa, e gli rispose:
— Le pare che io pensi agli sposalizii?
Il Nisard, con una voce che pareva donnesca, si raccomandò che non si prendesse gioco anche della nipote. E restò con il sorriso sospeso, aspettando a ricominciarlo quando il libraio gli avesse risposto. Allora rise come se gli facessero il solletico; rannicchiandosi con le spalle; e torcendosi le mani.
— Ma via! È troppo grossa! Soltanto lei dice cose simili!
Giulio, con il suo sorriso che si sottometteva; un sorriso che si mutava subito nella voce, gli disse:
— Non c’è da fare caso più di niente con lui!
Ma Niccolò, con mi ridere agro, che scherniva:
— Io non me ne intendo!
Poi, chinò la testa, e dopo un poco ronfava.
Il Nisard sfogliò, sul banco, il fascicolo del Magazine; battè la punta del bastone su le ginocchia di Niccolò, per salutarlo. Ma Niccolò finse di non destarsi. Quando sentì ch’era escito, fece uno sbadiglio lungo come una ragliata, a più riprese, e disse:
— Non so perchè i quadri debbono stare nei musei, e invece non li danno a me, per venderli! Caro Giulio, senza un quadro di autore vero, saremo sempre miserabili.
Giulio, pensieroso, rispose:
— Lo so! Ma bada se ti riesce a staccarne almeno qualcuno da dove li tengono chiusi a chiave.
— Ecco qui! Siamo costretti a fare l’industria delle antichità false! Come le trecche!
Rise con un suono, che pareva quello di un trombone; e, spalancando la bocca con un altro sbadiglio, continuò:
— Una volta, almeno, si poteva cercare per la campagna! Ora il governo ha fatto inventariare tutto senza pensare al nostro mestiere! Ci ha rovinato tutti!
Poi, con una voce più naturale:
— Dimmi almeno quel che t’ha detto!
— Chi?
— Quel signore, che è venuto a posta per Chiarina!
— Ah, m’era passato di mente!
Niccolò parve preso dall’impazienza:
— Che t’ha detto?
Ma ambedue si volsero verso la porta, sentendo toccare la maniglia: era il cavaliere Nicchioli. Allora, Niccolò richiuse lesto gli occhi.
Il cavaliere disse tutto festoso:
— Ho incontrato il Nisard, e m’ha detto che la vostra Chiarina è per fidanzarsi. Me ne congratulo, quantunque.... al mio bambino sia venuta una tossetta... piuttosto cattiva.
Giulio sorrise:
— Sono certo che domani tutta Siena saprà che è venuto un giovine a domandarmi il consenso di....
— Oh, lo sapranno tutti! Si figuri: ho parlato con due miei amici, che sapevano perchè ho dovuto cambiare la donna di servizio.... che non si prestava.... amorevolmente.... con il mio bambino.
— È una cosa meravigliosa.
— Siena è fatta così; e nessuno ci cambierà; se Dio vuole! Anch’io, del resto, non vivrei volentieri a Siena se non fosse possibile conoscere quel che si desidera degli altri. Perchè non mi piacciono le grandi città? Principalmente, perchè io non potrei stare senza conoscere gli altri come me stesso. È una curiosità, che abbiamo nel sangue. E nessuno ce la leva. Anzi, io, le persone che non sono di qui, non ce le vorrei nè meno! Che ci fanno? Stiamo bene tra noi; essendo tutti eguali e dello stesso seme. Dorme da vero Niccolò?
La voce del cavaliere pareva malata, un poco saponosa, d’una timidità floscia.
Il libraio gli rispose:
— Credo. Non fa altro!
— Mi dica che giovine è.
— Ancora non ho avuto tempo di chiederlo a nessuno.
— O che aspetta? Vuole che me ne incarichi io? Lo faccio con vero piacere. Mi dia il nome.
Scrisse il nome, e riescì dicendo:
— Tra un’ora.... lei saprà con precisione quanti anni ha, di che famiglia è nato, e se è un partito da farsi. Si fidi di me.
Giulio, allora, chiese al fratello:
— Ti sei addormentato da vero?
Niccolò se ne vantò:
— Sognavo perfino!
Dentro la libreria c’era poca luce e dovevano accendere presto il gasse. Nella strada, vedevano passare sempre le stesse persone; e qualcuna si fermava a guardare la vetrina. Allora, Niccolò, che occhiava dal suo cantuccio, cominciò a dire:
— Quello è il pazzo che dovette fuggire da Siena, quando scoprirono che aveva rubato al cugino l’eredità; che non doveva toccare a lui.... Una di quelle due signore, la più brutta, è la moglie di un tale che s’è fatto pagare i debiti dal suocero.... Ecco la contessa, che al servizio non vuol tenere donne.... Oh, ecco la marchesa tradita dal marito con la governante dei figlioli.... Lo sai chi è quel prete? È un canonico del Duomo: si dice che abbia per amante la zia di quel signore che l’altro giorno comprò tutti quei libri di chimica.... quella è l’amante del barone che va sempre con l’automobile.... stai attento: tra poco passa anche lui.... Eccolo! Che ti dicevo, Giulio? Lo vedi che è vero?....
E battè le mani dalla compiacenza:
— Scommetto che sono esciti, a quest’ora, per vedersi!... Oh, ecco la governante che tradisce la marchesa! È giovine! Si vede che deve essere l’amante di lui! Basta guardarla in faccia! Stai sicuro che non ci si sbaglia! Lo vedi che io so tutto? E hai visto come soffre la marchesa?.... Bada quella signorina che si tinge sempre!.... M’hanno detto che la mantiene quel conte tanto ricco, che ha le tenute a Poggibonsi. Io ci credo! Se no chi glieli comprerebbe i vestiti a quel modo? E suo padre è contento. Anche questo so. Chi me l’ha detto, la conosce fino da bambina.... Come fa schifo quella signora vecchia! Non la posso nè meno guardare. Come biascica! Non ha più nè meno un dente!.... Almeno la baronessa, che va sempre a spasso con gli ufficiali, se li è messi finti. È andata da un dottore americano, che sta a Firenze. Ha speso una somma favolosa!
Ma si turbò, dicendo:
— Ecco questo screanzato.
Era Enrico che zoppicava anche più del solito. Niccolò gli chiese:
— Che vuoi?
— Quel che mi pare.
Giulio lo difese:
— Ha ragione.
— Mi ha detto il Nisard che è venuto quel giovine, per il fidanzamento.
— Lo sai anche tu?
— Se non lo so io? Non è anche mia nipote? Dimmi, piuttosto, le tue impressioni.
— Nè buone nè cattive.
— Parla bene? Era disinvolto?
— È un gingillino, di pelo rosso, mogio, un poco anemico! Ma decente.
— Io non capisco perchè sia capitato proprio lui! Speriamo che sia una buona fortuna. Per l’appunto è il primo e l’unico. Non c’è nè meno da scegliere, così!
— E chi è che può imbroccare se si deve dirgli di no o di sì?
— Se sono innamorati, io direi di non rimandarlo via! E, tu, Niccolò, l’hai visto?
Niccolò non gli rispose, e si mise a togliere la polvere di sopra alla cassapanca. Allora, Enrico disse:
— Io, invece di prendere moglie, mi metterei un pietrone al collo e m’affogherei.
— Ma tutti non sono come te!
— Perchè non hanno la mia furbizia!
E con la voce, che gli cambiava tono, quando voleva preparare gli altri a udire qualche scappata, proseguì:
— Bel piacere a prender moglie! Allora, anche di me direbbero che ho le corna!
E rise, stridendo come un topo e spruzzolando lontano la saliva.