Tre croci/Capitolo VI
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Capitolo V | Capitolo VII | ► |
VI.
Chiarina e Lola, crescendo, si volevano sempre più bene.
Tutte e due bruttine, nàchere e tracagnotte, troppo grasse; e si assomigliavano. Chiarina la maggiore. Vestivano alla buona, cucendo da sè; e di grazioso non avevano niente. Si parlavano sempre sottovoce, anche se erano sole; perchè credevano che avessero da dirsi cose troppo insulse; da nascondere. Quando la zia le sorprendeva a parlarsi, facevano una risatina; e, con gli occhi, si raccomandavano di non confessare. Ma nascondevano soltanto il loro pudore e la loro innocenza. E si promettevano sempre di non parlarsi più a quel modo; quantunque, specie certi giorni, la loro amicizia avesse bisogno di sottrarsi a chiunque. Erano contente di pensare a cose eguali; e avevano fatto proponimento, giurando, di essere sempre così; non desiderando un’altra fortuna migliore.
A tutte e due piacevano le passeggiate in campagna. E la zia, sebbene non più di due volte la settimana, le portava fuori di città, per una strada solitaria e quieta.
Dovevano passare davanti alla loro Scuola Normale; e allora davano un’occhiata dentro la porta; per vedere se ci fosse la direttrice a salutare qualcuna del convitto, che i parenti erano andati a prendere. Dando quell’occhiata, sghignazzavano e camminavano più leste; arrivando a Porta Tufi quando la zia stava ancora a metà della scesa.
Si voltavano, tenendosi a braccetto, per guardare il muraglione, a mattoni, del giardino della scuola; in cima al quale s’attacca una pianta d’edera; sbrandellandosi. Di fronte, un muro più basso fatica a reggere un campo; che quasi strabocca. Sopra l’arco della Porta, di fuori, una meridiana vecchia e stinta; senza il ferro. Un arco più alto, fatto di pietre grigie; chiuso quando riadattarono l’entrata. Da ambedue le parti, congiunte alla Porta, cominciano due muraglie; di un rosso scuro, con qualche chiazza giallastra; e, dietro a quelle, viti e olivi. Non c’era mai nessun rumore; ed elle facevano un passo più nel mezzo della strada quando all’improvviso sentivano il fruscìo di una scala messa da qualche contadino tra i rami di un fico. Una delle muraglie, dopo un cancello di legno, coperta sotto un piccolo tetto a doppio pendìo, termina a un caseggiato d’un rosso cupo, con le finestre anguste, fino al Cimitero della Misericordia. Ma le due giovinette, dopo averlo domandato alla zia, prendevano sempre la Strada del Mandorlo. E, allora, tra gli olivi, dietro un muricciolo basso, sul quale ci si può anche mettere seduti, si ricomincia a vedere Siena.
Quando Chiarina e Lola si soffermarono lì, ad aspettare la zia, il cielo era tutto cinereo, ma chiaro; le il sole faceva doventare abbarbagliante la nebbia dove restava ficcato. La campagna, sotto il Monte Amiata, sempre più sbiadita e uniforme. I contorni dei poggi si attenuavano, quasi sparendo. Anche i cipressi si velavano; meno che quelli vicini. Le mura della cinta cascano dentro la terra gialla, tra l’erba delle grosse greppaie. E Siena strapiomba su un rialzo alto, separata dalla sua cinta che in quel punto è quasi dritta; mentre, verso la Porta San Marco, stramba a saliscendi. Dalle case della città esce fuori soltanto il campanile del Carmine; a punta.
Seguitando la china, sentivano i loro passi risuonare; perchè la strada si fa più stretta tra i suoi muri sempre più alti. La poggiaia fuori di Porta Romana s’appiana, aprendosi con le sue campagne sparse da per tutto. Più in là, ma come della stessa altezza, i poggi azzurri, dopo una striscia violacea; con le file nere dei cipressi.
Giunsero, quasi senza più parlare, ad una villa con la facciata scolorita dall’umidità; con una finestra finta le le persiane verdi; con rappezzature fatte a calce, come patacche bianche.
Incontrarono un portalettere sciancato; con la pipa in bocca; volta in giù; con la borsa logora a tracolla ed una fazzolettata di chiocciole in mano.
Chiarina e Lola fecero le boccacce. Poi, incontrarono due preti: uno basso, tarpagno; e un altro secco come un nocciolo d’oliva. E alle due sorelle venne da ridere.
Poi, giunsero ad un’altra casa, tenuta su, perchè non franasse, con certi rinforzi di mattoni, a pendìo, che arrivavano al tetto. Aveva la facciata gialleggiante di licheni.
Ora, i muri della strada erano tutti storti e piegati; sbilenchi; con rigonfiature che si spaccano come se fossero per sfiancarsi.
Elle si misero a canticchiare; ma, stonando e non andando a tempo, dovevano sempre rifarsi da capo. Non pensavano a niente; e la zia disse loro:
— Non camminate troppo, perchè sudate.
Lola chiese:
— Non arriviamo fino alla cappella?
— È troppo lontana; poi, per tornare a dietro, è salita.
— Non t’impaurire. Ti porteremo noi.
Modesta ripensava al contrasto del giorno avanti, con il marito e i cognati. Era stato uno sbaglio di lei che avrebbe potuto finire in litigio. E benchè se ne sentisse ancora pentita, era più serena e sicura. Dunque, il suo istinto, questa volta, l’aveva ingannata.
Ma le due sorelle volevano fare la passeggiata più lunga, perchè avevano da dirle un gran segreto; volevano anche esserci preparate e vederla disposta bene. Veramente, a parlare, toccava a Chiarina; perchè il segreto riguardava lei; ma non ne erano ben certe. In due, si sarebbero fatte coraggio meglio.
Chiarina pregò Lola:
— Diglielo tu. Appunto perchè si tratta di me, mi parrebbe d’essere troppo temeraria.
— E, se per caso, mi dovessi fidanzare io, che faresti tu?
— Lo sai: glielo direi io. Mi ci viene da piangere.
— Aspetta a quando torneremo a casa.
— A forza d’aspettare, non glielo diremo mai. Guarda che more grosse e mature.
— Bisognerebbe fare un salto, per arrivarle.
— C’è da bucarsi le mani.
Erano in fondo alla Strada del Mandorlo, alla cappella. Dirimpetto a loro, su un siepone pieno di roghi, c’è una ventina di cipressi; tutti diseguali anche d’altezza. La cappella pare un casotto; con due scalini corti, di pietra, e con un’inferriata arrugginita sopra una finestrucola nella porta. Due statuette, come due fantocci di pietra scortecciata, una di San Bernardino e una di Santa Caterina, in proda al tetto di tegole smosse.
— Ce la diranno mai la messa?
— C’entrerebbe soltanto il prete.
— Sicuro! Scommetto che a sentire la messa restano di fuori; qui dove siamo noi.
Più in là, dove sboccava un’altra strada, c’è una croce di legno; con un gallo colorato in cima; in mezzo a due cipressi. Due donne, accoccolate sul ceppo della croce, si spartivano una grembialata d’uva.
Quand’erano più piccole. Chiarina e Lola dicevano sempre qualche avemaria. Anche ora, si sentivano preoccupate e confuse, quasi sperse; come se la croce proibisse loro di stare sole senza la zia.
— Non sarebbe meglio che tu non ti fidanzassi?
Chiarina voltò le spalle alla croce e si discostò:
— Perchè me lo dici qui?
— È peccato qui?
— Mi pare.
— Andiamo via subito, allora!
Ma Chiarina stava tra la paura della croce e il suo desiderio; e disse:
— La zia vorrà riposarsi!
— E tu non esagerare, dunque! Se si riposerà, glielo dirò subito. Oggi o mai più!
— Bada che, se le dispiace, la colpa è tua!
— Va bene: la prenderò io.
Modesta giunse, trenfiando. Lola le disse, prendendola a braccetto:
— Zia, Chiarina ha da confessarti una cosa!
— C’è bisogno che tu porti l’ambasciata?
— Da sè non te lo può dire.
— Fate sempre le giuccarelle, come se tu non avessi ormai quindici anni e lei diciassette!
Chiarina, allora, andò di corsa a dare un pugno a Lola.
— Ohi! M’hai fatto male!
— E tu perchè non sei stata zitta?
— Ma mi hai fatto male troppo!
— E io voglio sapere quel che avete tra voi! Vi fate sempre le moine!
— Te lo dirà Chiarina da sè! Io non voglio nè meno ascoltare.
Ma Chiarina, dopo aver dato il pugno alla sorella, piangeva; sebbene quelle due donne la guardassero.
— Io, disse Modesta, ricordandosi un’altra volta del giorno avanti, non voglio arrabbiarmi per voi! Vi fa vergogna! Ormai, siete grandi e grosse, da marito!
Lola chiese, ridendo:
— Da marito?
Modesta, allora, cercò di riflettere se aveva detto una cosa fuori posto. Ma Lola seguitò, doventando però così seria e nervosa che si sentiva tirare tutti i tendini fino alla punta dei piedi:
— Chiarina ti voleva dire questo!
La sorella smise di piangere, e la picchiò su le spalle e su la testa; quanto poteva. Modesta glie la tolse di sotto e le chiese:
— È vero, sì o no?
Lola, per vendicarsi, rispose per la sorella; lagrimando:
— È vero! È vero!
Ma Chiarina, allora, non sapendo come meglio nascondersi, l’abbracciò stretta stretta; con tutta la sua amorevolezza, che la faceva tremare. Lola, pentita d’essersi vendicata a quel modo, la schiacciava a sè, con il desiderio di non lasciarla più.
Modesta, benchè quelle due donne, incuriosite, ridessero, prese le nipoti insieme; e le baciò.
E Lola raccontò come un giovanotto, impiegato al demanio, era riescito a far sapere a Chiarina, dopo averla fatta innamorare, quanto già era lui, che avrebbe domandato in casa di fidanzarsi.
Tornarono a dietro, fuori di sè dalla contentezza. Modesta aveva dovuto promettere a Chiarina di non dire niente, ancora, a nessuno degli zii. Ma ella, la sera stessa, lo fece sapere a Giulio; che, grattandosi vicino alla bocca, rispose:
— Bisognerà informarsi bene chi è lui.
Modesta gli chiese:
— Devo dirlo anche a Niccolò?
— Io direi d’aspettare. Perchè Niccolò la piglierebbe in burletta e chi sa come darebbe la baia a Chiarina.
E Chiarina non voleva mettersi nè meno a tavola; se non l’avesse persuasa la sorella. Si vergognava; e s’impensieriva senza saper perchè, vedendo lo zio Giulio più serio del solito.
La sorella, dopo, le chiese:
— Mi accompagni al pianoforte?
— No, no! Non mi riesce!
— Dio mio! Ma è possibile che tu faccia così?
— Ho un’irrequietezza che mi noia. Avrei bisogno di distrarmi.
— Perciò vieni con me al pianoforte!
— Mi farebbe peggio!
Lola le suggerì:
— Chiudi gli occhi.
— Non mi riesce più.
— Te li chiudo io, con le mani. Ti passa?
Ma Chiarina voleva essere più forte del suo sentimento; e le disse:
— Non è facile, anche per me, capire quel che ho.
— Andremo a letto prima.
— No: voglio stare al buio, con la finestra aperta. Voglio provare così!
Dalla finestra della loro camera, si vedeva la campagna, tra Porta Ovile e Porta Pispini. Ma era già troppo buio, e la campagna doventava di un colore cinerognolo tutto eguale. Soltanto dove cominciava, il cielo rimaneva come un lungo taglio più chiaro; che, però, affievoliva. Il vento frusciava nei giardini e negli orti, a piè delle case; dentro la cinta delle mura di Siena. Si sentiva chiudere qualche persiana, sbattendo; e c’era un piccolo eco affilato e rauco, che ripeteva pazientemente in fondo agli orti quel rumore; come se andasse ad appiattarsi laggiù; dove gli archi della fonte di Follonica s’interrano fino a mezzo; impiastricciati di muschi, che si sfanno con il tartaro dell’acquiccia. L’erta delle case, silenziosa, morta, non sentiva le foglie di un gran tiglio, sotto la finestra della camera, staccarsi l’una dopo l’altra; senza che potessero smettere più.
Lola era in salotto, a studiare un libro di scuola; e Chiarina si voltò per guardare fisso il Cristo d’ebano e d’avorio, quello della prima comunione, su la parete del letto.