Capitolo V

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Capitolo IV Capitolo VI
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V.


Modesta era una paciona che viveva soltanto per la famiglia: non sapeva fare altro e non capiva di più. Energica e robusta, passava le giornate in casa; e lavorava più lei che la donna di servizio. Per farsi portare qualche ora a spasso, le sue nipoti dovevano tentare tutti gli espedienti. Alta quanto Niccolò, non era meno massiccia e meno grassa. Il marito e i cognati le empivano la casa di provviste da mangiare; ed ella doveva soltanto preoccuparsi di cucinarle. Ma aveva subodorato che le nascondevano qualche cosa; e non era più tranquilla e contenta come una volta.

Mentre Niccolò finiva di asciugarsi il viso e le mani, ella gli chiese:

— Perchè ti lamenti sempre che la libreria non guadagna, e in vece facciamo [p. 54 modifica]i signori; come se i denari ci fossero a palate?

Niccolò temette di lei, ma rispose con disinvoltura:

— Tu stai al tuo posto. Queste domande, la mia moglie non le deve fare.

Ella voleva tenergli testa, ma le venne da ridere. Egli, allora, seguitò con il suo solito brio:

— Le donne devono pensare alla calza!

Ella si perse di franchezza; ma non volle stare più zitta.

— Sono sicura che non mi dici la verità.

Niccolò rise più forte.

— Troppe volte ti ho visto preoccupato, e troppe volte hai detto che noi ci possiamo trovare nella miseria!

— Non farmi andare in collera di mattinata! Mi ero alzato così di buonumore, e tu me lo vuoi guastare.

— Non fare il buffo!

— E tu le bizze.

— Non faccio bizze: sono stizzita da vero. [p. 55 modifica]

— Come ti devo ragionare io? Ti devo guarire io? T’ho detto di lasciarmi vestire in pace. Te lo chiedo per favore.

Ella, allora, andò in cucina; a preparargli la cioccolata. Egli s’affrettò a mettersi la giubba prima che tornasse.

Modesta non si sarebbe arrischiata ad insistere, ma la sua ansia le dette forza. E, portatagli la cioccolata in camera senza farlo andare in salotto, per essere soli, gli disse ancora:

— Io andrò oggi dal cavalier Nicchioli.

— Vai da chi ti pare!

Niccolò era ancora disposto ad essere mite, credendo che la moglie la facesse finita. Ma non si sarebbe sentito sicuro se non avesse pensato ai fratelli. Egli aveva il viso afflitto; e, pure di potersene andare, non gli importava che la cioccolata gli bruciasse la lingua.

— Tu, nonostante il bene che ti voglio e gli anni del nostro matrimonio, tenti di nascondermi quello che fai capire anche a guardarti. Bada che non è una celia! [p. 56 modifica]

— Mi minacci? Ora non potrai dire più d’essere una buona moglie come credevo. E come ti vantavi.

Ella restò senza fiato, ma senza sentirsi avvilita. Il marito non le poteva mentire, ed ella era stata una sciocca. Ma, nondimeno, il suo istinto non la persuadeva. Come quando aveva creduto di sognare un terno sicuro, e tornava a rigiuocare i numeri; con quel suo fanatismo testardo e assurdo.

Ella, allora, aspettando che Enrico entrasse in salotto a bevere il caffè, mentre, gli preparava le fette imburrate, decise di parlarne con lui. Con Giulio non ancora, perchè lo avrebbe ridetto al marito.

Enrico era con lei sornione, e qualche volta cupo. Le parlava a distanza, sempre da sgarbato. Vedendolo entrare più burbero del solito, temette che le rispondesse troppo male. Ma gli chiese:

— Come vanno gli interessi della libreria?

— Non c’è il tuo marito? Perchè non lo domandi a lui? Perchè lo domandi a [p. 57 modifica]me? Questo latte non è più buono, come prima!

— Niccolò non ha voluto dirmi niente!

— E, perciò, ti rivolgi a me?

— Ma lo saprò lo stesso.

— Le donne riescono a tutto.

— Non mi sarà difficile, allora!

— Senti: lasciami far colazione in pace! Piuttosto, hai messo poco burro su le fette! Bisognerà che ce lo stenda da me. Meno che io voglio parlare con te, e più tu mi vieni attorno.

Ella non sapeva se s’ingannava o se aveva ragione di sospettare. Egli la guardava con disprezzo, accigliato e con una serietà ostile; come se l’avesse odiata. Qualche volta egli le era restato antipatico, ma s’era subito rimproverata; come di una sconvenienza. Non poteva prendersela con un cognato! Pensò, allora, di supplicarlo; ma a pena egli se ne accorse, le disse:

— Ti prego di smettere e di andartene!

Ella obbedì, pentita d’aver creduto ch’egli l’avrebbe ascoltata. [p. 58 modifica]

Enrico, invece di fare la passeggiata di tutte le mattine andò difilato a bottega le disse a Niccolò:

— Mi pare che la tua moglie metta su presunzione!

— Che t’ha detto?

— Suppongo che prima abbia chiesto a te quel che chiedeva a me.

Niccolò, per non passane da debole dinanzi al fratello, rispose:

— Con me, se n’è guardata bene.

— Mi credi un idiota? Mettiamoci, invece, d’accordo. E quando viene Giulio, domandiamolo anche a lui.

— Veramente non credo che possiamo rimproverarla.

— Ed io ti dico di sì. Non fare il sentimentale.

— Oggi le parleremo tutti e tre insieme. Perchè non dovete supporre che io mi sia lasciato scappare nè meno un ette!

— Ti saresti fatto pigliare proprio alla tagliola.

— Non c’è pericolo! Sono abbastanza furbo, benchè lei sia una donna. [p. 59 modifica]

— Appunto perchè è una donna ci vuole doppio giudizio. E bisogna metterla subito al posto.

— Io non le permetto nè meno di fiatare!

— Pare di sì: altrimenti, non avrebbe osato, mentre facevo colazione, di mettersi lì ad affrontarmi. Io non me l’aspettavo.

— Stai tranquillo che non sa niente. Piuttosto, la strozzo.

— Io le ho portato sempre rispetto, da buon cognato, ma ora glielo farei scontare.

— Con la mia moglie ci penso da me. Basto io!

Giulio, quando gli raccontarono tutto, disse:

— Siamo rovinati! Non c’è più scampo! Le donne son più astute del diavolo. Chi avrebbe immaginato che quella sciocca... Scommetto che ha sentito qualche nostro discorso. Ieri sera parlammo sottovoce, al buio. Può darsi che sia stata ad ascoltare.

Ma Niccolò disse: [p. 60 modifica]

— Oggi, prima di metterci a tavola, la facciamo pentire.

— Senza tanti riguardi!

Giulio propose:

— È meglio con le buone!

Enrico ribattè:

— Allora io non me ne occupo. Farete da voi.

Giulio chiese, come se riflettesse da sè, a voce alta:

— È meglio con le buone o con le cattive?

Enrico rispose:

— Io ho sempre sentito dire....

Ma Niccolò gridò:

— Ci penso io! Basta! Voi starete lì soltanto, e, se ce ne sarà bisogno, mi aiuterete.

Enrico scosse la testa, ed escì. Ma Giulio era anche spiacente di obbligare la cognata a non immischiarsi nelle faccende degli interessi.

— O chi glie lo avrà messo in mente? Mi pare impossibile che nessuno l’abbia messa su. Sempre così quieta come una [p. 61 modifica]pecora! Non c’è stato mai una mezza questione!

— Sono ubbie del suo cervello. Ti garantisco che non sa niente!

— Lo spero.

A mezzogiorno, Niccolò la fece chiamare in salotto; e mandò le nipoti in cucina, chiuse insieme con la donna di servizio. E le disse:

— Siamo tutti e tre sorpresi dei discorsi che hai cominciato stamani. Diteglielo anche voi: non è così?

Modesta si sentì addirittura incapace di difendersi. Era il suo istinto che le dava ragione, ma avrebbe voluto piuttosto essere rovinata da vero che trovarsi lì a quel modo. Non s’aspettava nè meno che il marito le avrebbe fatto sopportare quella parte! Se fosse stata sola con lui, si sarebbe buttata in ginocchio; e invece si sentiva venire meno, come se le si piegassero le gambe, ed ella non avesse più forza di tenersi ritta. Era sbigottita; e, nello stesso tempo, meravigliata. Ben lontana da indovinare che Giulio le [p. 62 modifica]avrebbe chiesto perdono, e che Enrico sarebbe stato pronto, più degli altri, per viltà, a dirle tutto. Niccolò sentiva per lei un affetto che durante qualche attimo rasentava l’adorazione. Ella li credeva indignati, e pieni d’ira. E se, invece, avesse detto una mezza parola, tutti e tre non avrebbero più osato di apparirle dinanzi. Ma ella, a pena si fu un poco rimessa bisbigliò:

— Non dovete badare a me!

Enrico rispose:

— Non voglio sapere altro: mi basta.

Niccolò aggiunse:

— Un’altra volta sarai più prudente.

Giulio non le disse nulla, perchè si vergognava.

Allora, ella, piena di gioia quasi delirante, andò in cucina a dire alle nipoti che potevano portare la minestra.

Durante il pranzo, incitava gli altri a ridere e a essere allegri; sentendo una felicità non provata mai. Le pareva perfino troppo; e di essersi ubriacata, benchè non avesse bevuto più del solito. [p. 63 modifica]Niccolò l’approvava, e burlava Giulio quando stava serio. Egli presentiva che presto non avrebbero più riso; e allora, con la sua ilarità avrebbe voluto insultare tutti. Se l’avesse sentito sghignazzare il cassiere e il direttore della banca, sarebbe stato disposto a dare da vero dieci anni della sua vita. Erano risate sorde, ma spumose; risate piene d’impazienza; che, ad ascoltarle bene, parevano brividi; lente e comode, larghe e insolenti. Egli rideva anche con la voce; i suoi occhi luccicavano, destando la malcreanza d’Enrico, e la timidità corrotta di Giulio. Ma, a un certo punto, pareva che dovessero ridere anche i piatti; battendo su la tavola. Tutto doventava ridicolo e piacevole.

Giulio disse:

— Ora, è troppo!

Chiarina e Lola gridarono:

— No, no! Non dovete smettere!

Soltanto Enrico riescì a farli tornare in sè dicendo:

— Questa baldoria non mi piace! [p. 64 modifica]

Quantunque Niccolò gli rispondesse pronto con una sguaiataggine tutt’altro che pulita, risero meno, tra i denti. Enrico disse ancora:

— Che tu sei il più sboccato, lo sapevo. Ma le sudicerie le devi serbare per la bottega. In presenza delle bambine, no. Metti il grifo dentro ai piatti e taci.

— Se non vuoi ascoltare....

Giulio disse:

— Non prendiamo le inezie troppo sul serio! Cionchiamoci sopra un bicchiere di vino; e vi passerà la voglia di fare un bisticcio. È meglio divertirsi che altercare!

Niccolò faceva il pentito, con un’aria, che rimetteva la voglia di ridere. Le due nipoti lo guardavano con una ammirazione ingenua; quasi rapite.

Modesta si alzò, andò dietro alla sua sedia; e, prendendogli la testa, lo baciò. Egli si strofinò con il tovagliolo dov’era stato baciato; e, allontanandola con una spinta, disse:

— Queste confidenze non le devi prendere. O che non puoi ritenerti?