Trattato di archeologia (Gentile)/Arte etrusca/II/Plastica

B - Plastica

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II - Architettura II - Appendice II

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B. — Plastica.

(ved. tav. 30-41).


I. — Arte figurativa.


1. Osservazioni generali. — L’abilità artistica degli Etruschi si addimostrò specialmente nel lavoro delle terrecotte e dei metalli. Del primo, ossia della plastica in senso proprio, dice Plinio (XXXV, 45): Elaborata haec ars Italiae et maxime Etruriae; e sono menzionati in Roma come esistenti già dal tempo di Numa collegî di vasai, composti di artieri etruschi, essendo dai tempi più antichi in Roma assai pregiato il tuscum fictile. La plastica d’argilla prima ornò i templi italici, con antefisse, acroterî, bassirilievi e statue nei frontoni, e imagini divine adorate nelle celle del tempio.

Le opere antichissime di plastica etrusca, di terracotta, di pietra o di bronzo mostrano la durezza rigida e greve dello stile arcaico, in cui manca la intelligenza e la buona imitazione della natura.

I caratteri dell’arcaismo sono propri dell’arte etrusca, non soltanto nel primo suo stadio, ma anche nella sua età fiorente, e lasciarono qualche traccia di sè in una certa gravezza di forme, o impaccio alla imitazione della natura, per cui l’arte etrusca non potè elevarsi ad una vera espressione del bello. Per le analogie dello stile arcaico con l’arte egizia si credette di nominare lo stile etrusco «stile egizio od egittizzante», supponendolo derivato per via di relazioni degli Etruschi con l’Egitto; relazioni delle [p. 133 modifica]quali recentemente s’era creduto trovare documento storico nel nome dei Thursana, o Tirseni, o Tirreni, letto sopra monumenti egizi, ricordanti le imprese di Menepthah I, figlio di Ramesse II, della XIX dinastia (secolo XV-XIV a. C.). Ma quest’affermazione, accolta con favore in prima, oggi da nuovo esame della critica viene confutata ed esclusa. Del resto non si tratta di relazioni dell’Etruria con l’Egitto, ma piuttosto coi popoli orientali in genere. Di relazioni dell’arte, anzi della vita etrusca coll’orientale, i segni e le prove non mancano. Troviamo analogie di stile, di soggetti rappresentati, ed anche oggetti identici a quelli orientali, deposti nelle tombe etrusche, quali scarabei ed idoletti egizî, ed ova di struzzo graffite e dipinte, vasetti unguentari od alabastri con caratteri geroglifici, e l’uso funebre dei canòpi e delle maschere (ved. tav. 30).

La presenza di questi oggetti è conseguenza non di relazioni dirette, ma d’importazioni commerciali per parte dei Fenici, i quali comperavano nelle città litoranee d’Egitto articoli egiziani e li spargevano per le città del Mediterraneo. I Fenici poi avevano anche una propria produzione d’arte industriale, ma senza un loro proprio stile, lavorando e riproducendo per imitazione gli oggetti orientali più ricercati e più pregiati. Questo indirizzo delle industrie di Tiro e di Sidone ebbero anche le manifatture od officine dei Fenici occidentali, cioè dei Punici, o Cartaginesi. Di prodotti orientali e di prodotti dell’imitazione fenicia, cioè idoletti, amuleti, scarabei di smalto, e di pietra dura, vasi ed ornamenti d’argento e d’oro, erano inondati i mercati d’Italia, del Lazio e dell’Etruria, delle isole del Mediterraneo, e singolarmente della Sardegna1. [p. 134 modifica]

Tali importazioni di prodotti dell’industria orientale ebbero influenza sull’arte etrusca, ed anche sull’arte italica in generale, per certe forme, certi elementi ornamentali, non già per lo stile nell’intima sua essenza. Non diremo adunque che lo stile arcaico etrusco sia effetto d’imitazione egizia; esso è un prodotto naturale del momento e della condizione dell’arte. «L’infanzia dell’arte è la medesima in ogni nazione, dice il Lanzi2, come in ogni nazione i bambini sono gli stessi».

Si aggiunga poi che lo stile rigido e duro dell’arcaismo ha un che di propriamente consentaneo alla disposizione artistica etrusca, tanto che esso, temperato da uno studio più attento della natura e da un maggiore sviluppo della tecnica, forma il carattere di quello stile toscanico, nel quale gli antichi scrittori trovavano analogia con l’arcaico greco, non pure dei tempi più antichi (come sarebbe lo stile dell’Apollo di Tenea), ma anche con quello più sviluppato della scuola eginetica di Callon, le cui opere a Quintiliano parevano duriora et Tuscanicis proxima3.

Nei monumenti dell’arte etrusca noi vediamo in prima un arcaismo che è naturale condizione dell’arte infantile, con mescolanza di elementi di carattere orientale. Da questo arcaismo si svolge un’arte migliore, ma pur ancòra di stile arcaistico, nel quale pare che gli Etruschi per naturale condizione d’ingegno restassero limitati. Come dall’Apollo di Tenea o dalle metope di Selinunte nell’arte greca si passa ai marmi egineti, così in Etruria da [p. 136 modifica]certe figurine rozzissime si procede a miglior lavoro. Ma in Grecia l’arte con forte slancio si alza a somma perfezione; l’arte etrusca invece s’indugia in quel primo grado di sviluppo, mancandole impulso e spirito per assurgere ad altezza d’arte vera. Essa si viene modificando per dirette e continue influenze greche, la cui prima efficacia potrebbe datare, secondo la tradizione, dalla venuta di Demarato in Etruria, cioè dall’anno 660 circa av. C.; ma l’efficacia sua larga e piena è certamente di tanto posteriore, che per lo spazio di tempo precedente il secolo V di Roma, si potrebbe ammettere sviluppo di uno stile e d’un’arte toscanica propria. Vi sarebbero pertanto due periodi di svolgimento: uno dell’arte toscanica, nella quale sta rappresentato lo stile, il carattere nazionale etrusco, e che è il periodo dell’arte arcaica nazionale; l’altro il periodo dell’arte che si sviluppa e modifica per l’efficacia dell’influenza greca (ved. tav. 31).

2. Stele e bassirilievi in pietra. — Le cave del marmo di Carrara (Luni) furono prese a lavorare solo nel tempo d’Augusto. Lavoravasi marmo delle cave di Volterra, o il nenfro, o il peperino, e per i bassorilievi usavasi il tufo calcare o la pietra arenaria; in ogni modo non vi era a disposizione dell’Etruria un gran materiale.

In parecchie stele sepolcrali si trovano effigiati guerrieri di profilo, ritti in piedi in quelle posture e quelle forme tozze che si vedono, p. es., nelle stele di Sparta4, anche con qualche carattere che ricorda la stele del soldato maratonomaco5. Ana[p. 137 modifica]logie di stile sono con le metope di Selinunte; la figura della Gorgone sannita nei bassirilievi etruschi si ripete frequentissima con quegli stessi caratteri di orrido grottesco che ha nell’arte arcaica greca.

Ad intendere la diversa natura dello spirito greco dall’etrusco, e il diverso sviluppo nell’arte, parmi possa valere appunto il confronto dell’imagine della Gorgone, che, presso i Greci, dalla forma puerilmente orribile della metopa selinuntina per gradi giunge all’espressione della fiera, terribile bellezza divina, laddove s’arresta in quella prima forma presso gli Etruschi, i quali, nella rappresentazione delle divinità infernali, come, ad esempio, nel loro Charun (Caronte), non si discostarono mai da un tipo orrido e volgare, mostrando una certa predilezione al fantastico grottesco. In bassorilievi di are o di tombe si hanno larghe zone con rappresentazioni di combattimenti, processioni, banchetti, scene funebri, con disposizione di figure e con caratteri di stile che ricordano il meno rigido arcaismo dei rilievi del monumento delle Arpie6 e dei vasi greci, dipinti a figure nere7.

3. Urne cinerarie e sculture in pietra. — Una classe copiosa di monumenti della statuaria etrusca è data dalle urne cinerarie, alte in media un metro e mezzo, varie di forma e di materia (d’alabastro, di tufo calcare, di travertino o di terra cotta) spesse volte avvivate per mezzo di colorazione, adorne di sculture e di bassirilievi, e sormontate dall’imagine del defunto, che sta coricato, o recumbente [p. 138 modifica]sopra un letto; sotto l’imagine sta solitamente l’iscrizione col nome del defunto (ved. Atl. cit., tav. XXV). Le statue e i rilievi di questi monumenti, che abbondano specialmente nei dintorni di Volterra, di Chiusi, di Perugia, per gli atteggiamenti, le proporzioni, per la trattazione del nudo, e i panneggi, per la composizione del soggetto e la distribuzione delle figure mostrano lo stile di un’arte pienamente sviluppata, e informata all’arte greca. Esse sono veramente opere dell’ultimo periodo dell’arte etrusca, com’è provato anche dalle iscrizioni latine, che si accompagnano con le etrusche. Sono opere del periodo romano imperiale, e probabilmente, per buona parte, dell’età degli Antonini; e così come vi è cambiato al tutto lo stile, cambiata pure è la materia delle rappresentazioni, tolta il più delle volte da miti ellenici, foggiati all’etrusca e misti con concetti propriamente toscanici, quali la grottesca figura di Charun, o i due genî del bene e del male.

Mentre per molti rispetti questi lavori mostrano d’appartenere ad un’arte pienamente sviluppata, hanno però nell’esecuzione alcun che di comune e di volgare, che rivela lo scalpello dell’artefice manuale; come pure l’esecuzione è inferiore d’assai al valore della composizione, e la trattazione delle figure mostra lo sforzo vano di ripredurre il bello dei modelli greci. Le figure recumbenti offrono schietti tipi etruschi, con viso grosso, proporzioni tozze e certa pinguedine del corpo da ricordare le proverbiali espressioni di pingues Tyrrheni, obesus Etruscus. Del resto queste sculture sono opere della decadenza etrusca, e per lo studio dell’arte hanno un valore limitato, mentre acquistano importanza quando sono in soggetti mitologici e con le scene della vita familiare, perchè allora rischiarano lo [p. 139 modifica]studio delle credenze e delle costumanze etrusche8.

4. Scultura in bronzo. — L’arte etrusca toccò singolare maestria nel lavoro del bronzo; ma più ammirabile nella tecnica che non nella espressione del bello, specialmente in opere d’arte applicata all’industria, cioè nei vasi, nei candelabri, negli attrezzi domestici ecc. Volsinii ed Arezzo ebbero nella fusoria del bronzo un’attività non inferiore a quella d’Egina e di Corinto; fonderie celebri erano a Cortona, Perugia, Vulci, Adria. Rimproverasi ai Romani d’aver saccheggiato Volsinii per avidità di rapire le duemila statue di bronzo che l’ornavano. Di bronzo erano le porte che Camillo tolse a Veii.

Le prime imagini di bronzo poste in Roma furono di lavoro etrusco; e per via di Roma conosciamo il nome di un bronzista etrusco, il solo ricordato, cioè Veturio Mamurio, artefice degli scudi ancili e d’un’imagine di Vertunno9. Di lavoro etrusco fu la lupa lattante, posta presso il ficus ruminalis10. I bronzi toscani erano diffusi e pregiati anche in Grecia. Candelabri e vasi toscani ricordansi in Ateneo, che ai Tirreni dà l’appellativo di φιλότεχνοι, ed anche Plinio accennò al pregio ed alla diffusione dei bronzi toscani11. Un colossale simulacro d’Apollo di bronzo, meraviglioso lavoro etrusco, consacrò Augusto nella bi[p. 140 modifica]blioteca del Palatino; detto appunto l’Apollo del Palatino. Orazio ricorda i Tyrrhena sigilla, lavoretti in piccolo, di gentile fattura, cercati a gran prezzo 12.

Quantità di lavori di bronzo si sono raccolti negli scavi e nelle tombe d’Etruria; in questi bronzi si vede il progredire dell’arte, per il quale dallo stile rigido, detto egizio, si passa ad una maniera meno secca e dura, prossima all’arcaismo eginetico, e infine ad un fare più libero, sebbene non mai perfetto. In questi lavori le figure d’animali sono trattate con migliore stile, con intelligenza e buona imitazione della natura, laddove le figure umane sono assai spesso scorrette nelle proporzioni e di non belle fattezze.

Bronzi di stile arcaico rappresentano spesso divinità ritte, ignude, con lunga cappelliera simmetricamente disposta, con gambe congiunte e braccia strette al corpo, nell’atteggiamento dell’Apollo di Tenea; ovvero vestite, specialmente le divinità femminili, di abiti talari, spesso con quell’atto di sollevare un lembo della veste, che è pur frequente nei bassirilievi arcaici greci, di cui si sente ad ogni tratto un’influenza, voluta riprodurre quasi inalterata; o rappresentano figure votive, con braccia stese in atto di oranti e di offerenti; ovvero guerrieri con grave armatura, con alti elmi cristati, in atto di vibrar la lancia13.

Fra i più insigni bronzi etruschi oggi posseduti ricordiamo: Il Marte della Galleria di Firenze, trovato negli scavi di Vulci (v. Atl. cit., tav. XXVIII). È un guerriero con lo scudo imbracciato, con alto [p. 142 modifica]elmo, vibrante l’asta. — Il Marte di Todi, ivi trovato nell’anno 1835, con inscrizione sul lembo della corazza14. È un guerriero in tranquillo e nobile atteggiamento. Si confronti con questo l’altra statua di guerriero trovata a Falterona15. ― Il fanciullo coll’oca del Museo di Leida (v. Atl. cit., tav. XXVI). — Il fanciullo sedente, del Museo Gregoriano, nell’atto di sorgere da terra (forse dono votivo, significante il ricupero delle forze, il sorgere del convalescente). — La statua dell’arringatore, trovata presso il Lago Trasimeno nell’anno 1573, ed ora nella Galleria di Firenze; rappresenta uomo di nobile aspetto, vestito di tunica e di pallio, ritto in atto di allocutore; l’iscrizione incisa in un lembo del pallio lo dice un Aulo Metello, figlio di Velio, uno dei migliori documenti della perizia degli Etruschi nella fusoria, ed una delle migliori opere dell’arte etrusca nel pieno suo sviluppo, forse del V sec. circa a. C. (ved. Atl. cit., tav. XXVII). — La Chimera d’Arezzo, ivi trovata nel 1534; è il mostro fantastico dalle forme di leone e di capra, notevole per la forte espressione del furore belluino e per la finita esecuzione (ved. Atl. cit., tav. XXIX, n. 2, e la nostra tav. 32. — La lupa del museo Capitolino; si considera come il più insigne bronzo etrusco, sincero esemplare di stile toscanico; è la lupa sotto cui stanno lattanti i gemelli; le figurine di questi diconsi posteriore aggiunzione; mirabile nella fiera è la naturalezza delle forme, la vivezza dell’espressione; credesi la stessa statua che gli edili Ogulnî avevano fatto porre nell’anno 458 di Roma, presso il Lupercale, grotta dove la tradizione [p. 143 modifica]diceva allattati Romolo e Remo, a piedi del Palatino (ved. Atl. cit., tav. XXIX, n. 1)16. — S’aggiunge la scrofa del Museo di Leida, dove pure è notevole la vivace verità delle forme, il carattere naturalistico dell’arte etrusca.

Tavole

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Maschere, canopi e seggi cinerari in bronzo e in terra cotta d’uso funebre e di lavoro etrusco.



Ved. L. A. Milani, Monumenti etruschi iconici d’uso cinerario in Museo Italiano di antichità classica, vol. I, tav. VIII; cfr. il nostro Manuale, p. 165.


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Frammenti di una statua fittile d’Apollo,

dal frontone del tempio di Luni.



Tavola 31.


Ved. L. A. Milani, I frontoni di un tempio tuscanico scoperti in Luino in Museo ital. di antich. classica, I, tav. IV, frontone B, figura centrale.


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Chimera in bronzo, ritrovata ad Arezzo, nel 1554,

di lavoro etrusco.


(Museo etrusco di Firenze).



Tavola 32.


Dall’opera di Jules Martha, L’art étrusque, pag. 310, fig. 208: cfr. W. Amelung, Führer durch die Antiken in Florenz, Monaco, Bruckmann, 1897, n. 247, cfr. L. A. Milani, Museo topografico dell’Etruria, Firenze, 1898, pag. 3, e nota a pag. 134.

Note

  1. Ved. W. Helbig, Arte fenicia in Ann. Ist. Corr. Arch. 1876. p. 197.
  2. Ved. L. Lanzi, Saggio dello stile di scultori antichi, p. 18.
  3. Quintilianus, XII, 10; cfr. Overbeck, Die antiken Schriftquellen zur Geschichte der bild. Künste bei den Griechen. Lipsia, Engelmann, 1888, pag. 78-79.
  4. Cfr. vol. I, Arte greca, pag. 50, 51 della Iª edizione Gentile, tav. XXXIV.
  5. Cfr. vol. I, Arte greca ìd., pag. 69, tav. XLVI.
  6. Cfr. vol. I, Arte greca id., pag. 67, tav. XLI.
  7. Cfr. vol. I, Arte greca id., pag. 210, 214, 219, tav. CXXXVI-CXXXIX.
  8. Per le urne etrusche, ved. Micali nelle tavole aggiunte alla Storia dei popoli italici, e nei Monumenti inediti; Uhden negli Atti dell’Accademia di Berlino, 1816, 1818, 1827-29; Brunn I rilievi delle urne etrusche, Roma, 1870.
  9. Ved. Properzio, IV, 2, 61.
  10. Ved. Dionis., I, 79.
  11. Ved. Plinio, Natur. histor. XXXIV, 16; Signa tuscanica per terras dispersa, quae in Etruria factitata non est dubium.
  12. Ved. Orazio, Epistole, II, 180.
  13. Ved. Micali, Storia dei popoli ital. antic., tav. XXII-XXXVII; e Monum. inedit., tav. XVII.
  14. Ved. Bollettino Istit. Corr. Archeol., 1837, pag. 7; Annali, 1837, pag. 26.
  15. Ved. Micali, Monum. inedit., tav. XII.
  16. Dionisio, I, 70. Cfr. Helbig, Führer, traduzione francese di Toutain (Guide dans les musées d’archéologie classique de Rome. Lipsia, Baedeker, 1893, pag. 461, n. 618.