Trattato completo di agricoltura/Volume I/Vinificazione/15
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dell’aceto.
§ 566. Per quanto la fabbricazione dell’aceto dovrebbe essere una faccenda estranea all’Agricoltura, ciononpertanto io reputo cosa assai utile il conoscere questa operazione, ed il ben intenderne il processo, perchè il campagnuolo farà sempre ottima cosa preparandosi egli stesso l’aceto per la famiglia. L’aceto è aggradito in molte vivande, è utilissimo per conservare alcune sostanze commestibili, ed è usato nella cura di molte malattie degli animali domestici. Perciò tutti i trattati d’Agricoltura antichi e moderni, se ommettono la fabbricazione dell’acquavite, si diffondono fors’anche più del bisogno nella fabbricazione dell’aceto.
Grande errore è poi quello di certuni, i quali, allorquando hanno un vino cattivo e scadente, credono di poterne fare buon aceto. Voi ora sapete, per avervelo ripetuto sino alla noja, che l’aceto non è altro che l’ossidazione dell’alcool del vino; epperò ne deriva la diretta conseguenza che quanto meno d’alcool conterrà un tal vino, tanta minor quantità d’aceto potrà con esso formarsi; laddove quanto più un vino sarà alcoolico, darà sempre maggior quantità d’aceto. Perciò un buon aceto deve costar più d’un buon vino, dovendosi aggiungere al valore di questo le spese per l’acetificazione. Con tutto questo però io non intendo di farvi gettare un vino scadente, quando sia ancor valevole a dar qualche profitto convertendolo in aceto; no, mia intenzione è quella piuttosto d’insegnarvene il processo e la teoria.
Nel parlarvi della vinificazione, vi dissi più volte che nei vini scarsi di materia zuccherina, e nei quali rimaneva un residuo di materia azotata, accadeva che questa, continuando ad agire come fermento anche dopo la totale conversione dello zuccaro, rivolgeva la sua azione sull’alcool formatosi, lo ossidava e lo convertiva in aceto. Vi dissi inoltre, che in tal caso abbisogna impedire possibilmente questa ossidazione, mantenendo il vino ad una temperatura sempre più bassa quanto più esso è debole, sottraendolo il meglio possibile dal contatto dell’aria.
Se noi dunque, all’incontro, a questi vini procureremo una temperatura tra i 20° ed 25°, ed il libero accesso dell’aria, in breve tempo li vedremo convertirsi in aceto. Oltre a queste condizioni che inducono la naturale fermentazione acetica, avvi, come in tutte le altre alterazioni, anche quella del contatto di sostanze già acidificate, le quali istantaneamente inducono il loro stato o la loro condizione chimica nella materia cui vengono a contatto; tali sarebbero la così detta madre dell’aceto, i graspi d’uva inaciditi, i vini, le fecce e le sostanze tutte che già subirono la fermentazione acetica. Perciò è inutile il dirvi che chi abbia di già un botticino d’aceto, può averne continuamente, rimettendovi mano mano tanto vino, quanto si leva d’aceto pel proprio uso.
Per far l’aceto in grande si prendono i graspi d’uva da un qualche tino, e si ripongono in altro recipiente piuttosto largo, e non molto alto; quivi se ne procura l’acidificazione rivoltandoli spesso, acciò si pongano maggiormente in contatto dell’aria, ed anche perchè non ammuffiscano e putrefino. Riconosciuto all’odore, al sapore, ecc., che questi graspi passarono completamente alla fermentazione acetica, si collocano in una botte, sul fondo della quale vi siano dei sarmenti di vite o qualunque altra materia che serva di sostegno ai graspi, onde non si comprimano, e permettano la libera uscita della parte liquida da una spina situata appena sopra il fondo. Ciò fatto, per di sopra vi si versa tanto vino, dolce o di già alcoolico, in modo però da non riempir che due terzi dell’altezza occupata dai graspi: nel versarlo si procuri anche di operare lentamente, e che il vino discenda su tutta la larghezza dei graspi, allo scopo di rendere maggiore e più continuato il contatto. Il vino versatovi lo si lascia sino a tanto che sia incominciata la fermentazione, il che ordinariamente succede entro 24 ore circa, quando la temperatura sia tra i 18° ed i 20°. Avuto sicuro indizio di questa alterazione chimica, si cava il vino dalla spina inferiore, e si versa sopra un’altra botte egualmente disposta coi graspi inaciditi, e da questa, dopo un egual spazio ai tempo, si cava per riversarlo sulla prima. Una tale operazione si ripete finchè il vino siasi convertito in aceto. Questa mutazione di solito riesce compiuta dopo quattro o cinque travasamenti.
Vi sono poi altre maniere di far l’aceto, le quali infine non sono che modificazioni del processo che vi ho indicato.
Finalmente se con qualunque liquido dolce, o nel quale si possano sviluppare vere sostanze zuccherine, si ottengono dei liquidi alcoolici, limitandone la fermentazione a questo punto, con tutti i liquidi alcoolici si potrà avere dell’aceto, lasciandone continuare il processo alterante in contatto dell’aria. E per verità voi vedete che tutti i sughi dolci non cotti, dopo un certo tempo inacidiscono; una botte od una bottiglia di vino, mal chiusa ed abbandonata a sè, dopo un tempo più o men lungo presenta inacetito il liquido che conteneva.
Lo stesso avviene in tutti i sughi dolci, nel pane, e specialmente in quello di melgone, nelle patate e nelle barbabietole abbandonate a sè per qualche tempo, perchè in queste sostanze già esiste o si sviluppa un principio zuccherino, che, dopo aver subíta la fermentazione alcoolica, passa all’acetica.
Quindi, se come surrogato al vino, v’indicai il sidro e la birra, dal sidro e dalla birra potrete avere buon aceto, procurando d’indurvi le stesse circostanze di calore, di contatto coll’aria, e d’intromissione di fermenti acidi.
Per fare l’aceto di sidro basta aggiungere per ogni 100 parti di questo liquido 1/2 di fermento acido formato con lievito e farina di segale sciolto nell’acqua calda. Fatta l’aggiunta si agita tutta la massa, e dopo sei ad otto giorni al più, il liquido è completamente acetificato.
L’aceto di birra è quello che comunemente si usa nel Nord dell’Europa. Per acetificare la birra spesso è sufficiente il lasciarla in larghi vasi aperti, ad una temperatura di circa 15°; ma per agire più prontamente abbisogna aggiungervi un fermento acido, quale già ve l’indicai per acetificare il sidro.
Un aceto non molto forte si ottiene anche lasciando fermentare la polpa che diede il sidro, ed il residuo dell’orzo o del frumento che servì alla fabbricazione della birra. A queste sostanze, quando hanno subíta la fermentazione acida, si aggiunga acqua calda in proporzione più o meno grande a seconda che vuolsi un aceto più o meno forte.
Anche colla crusca di segale o di frumento possiamo aver un liquido acidulo. Per ciò si fa bollire la crusca nell’acqua, che poi si feltra grossolanamente per sceverare la decozione dalla crusca. Questo decotto si ripone in una botte, unendovi del lievito inacidito; ciò fatto, in meno di 24 ore si desta la fermentazione, e quando dopo alcuni giorni comincia a cessare, si chiude e si dà tempo al liquido di rischiararsi. Quando la crusca non avesse già qualche cattivo odore, il liquido che si cava è aggradevole, e d’un sapore vinoso alquanto acidulo. Questa bevanda potrebbe usarsi utilmente dai contadini, lorquando i lavori campestri in tempo d’estate domandano una bibita rinfrescante.
Finalmente, senza spiegarvi la fabbricazione d’ogni qualità d’aceto, vi dirò che si può farlo coll’uva acerba, coll’idromele od avanzo degli alveari delle api, col latte, coi lamponi, coll’uva spina, col ribes, col pomo granato, ecc., insomma con tutto ciò che possa sviluppare una materia zuccherina.
Visto adunque che qualsiasi aceto è sempre il prodotto dell’alcool contenuto in un liquido qualunque e posto in condizioni tali da ossidarsi; e visto che l’ossidazione dell’alcool è favorita da una temperatura di circa 20°, e dall’esteso contatto coll’aria, ecco come senz’altro oggidì si è pensato di fare dell’aceto, più conservabile, perchè maggiormente scevro da sostanze azotate che possano alterarlo e condurlo alla fermentazione putrida.
Si prende dell’alcool diluito in 8 a 9 parti d’acqua; a questo liquido si aggiunge 1/1000 circa d’un liquido fermentabile; poi lo si fa cadere a goccie, in botti piene di ritagli di legno (fig. 157). 157.Queste botti hanno molti fori a verso la loro parte inferiore, ed altri b verso la superiore; un coperchio fisso verso la parte superiore, forma in alto come una specie di mastello, destinato a ricevere il liquido alcoolico. Un cotal coperchio ha molti fori non molto grandi, pei quali passano alcune cordicelle, terminate da un nodo acciò rimangano sospese. Il liquido alcoolico versatovi s’infiltra lungo queste cordicelle, e cade in goccie sopra i ritagli di legno, che attraversa sino al fondo in sottil strato, presentando così la maggior possibile superficie al contatto dell’aria. L’ossidazione si opera per l’influenza esercitata dal millesimo di liquido fermentabile, e dalle materie azotate del legno. La temperatura nella botte s’innalza più di quella dell’ambiente e determina una corrente d’aria che entra dai fori inferiori a ed esce per quelli superiori b, per modo che l’ossidazione è così rapida, che il liquido arriva al fondo della botte di già inacetito. Se però dopo questo primo passaggio l’aceto non è abbastanza forte, si cava e si versa nuovamente per di sopra. Allora l’operazione è più pronta, perchè i ritagli di legno sono già imbevuti da un liquido acetoso; perciò si usa far imbevere anche dapprima i ritagli di legno nell’aceto concentrato. La temperatura nella botte dev’essere dai 30° ai 36°.
§ 567. Come per conservare il vino, gli si impedisce di oltrepassare la fermentazione alcoolica, così per conservare l’aceto, non gli si permette di progredire nell’alterazione. Perciò l’aceto deve tenersi in locali freschi, possibilmente riparati dal contatto dell’aria, e lo si deve travasare quando scorgasi che abbia formato sedimento. Si conserverà assai quando si facciano bollire nell’acqua per un quarto d’ora le bottiglie ripiene e ben turate. Per separarlo dalle materie azotate stranie, lo si può distillare, riducendolo cioè ad una pura soluzione d’acido acetico nell’acqua. Si può dar maggior forza all’aceto debole esponendolo nell’inverno ai forti geli ed in ampj vasi, versando e conservando in seguito soltanto la porzione non congelata. Si conserva meglio anche aggiungendovi qualche poco di alcool, di acquavite, o di sal marino.