Trattato completo di agricoltura/Volume I/Selvicoltura/12
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dello scalvo.
§ 388. Lo scalvo differisce dalla mondatura in quanto che si eseguisce soltanto sulle piante vive; e perchè si estende a tutto il bosco o ad una intera porzione di esso, e si fa ogni periodo regolare di anni. Differisce poi dal taglio, poichè nel linguaggio forestale, il taglio esprime piuttosto la recisione presso terra delle piante d’alto fusto. Lo scalvo adunque si fa nei boschi a ceppata, sulle piante educate a capitozza alta o bassa, sulle fustaje delle piante decidue, e sulle piante di pino silvestre, acciò crescano più dritte; d’ordinario però le piante resinose non permettono uno scalvo, ma piuttosto una mondatura.
A qualunque pianta venga applicato lo scalvo, esso deve eseguirsi con ferri ben taglienti, e che facciano una recisione liscia. Il taglio sui rami piuttosto teneri, dovrà farsi in prossimità di qualche gemma, ed in quelli già induriti si farà invece presso la loro base o congiunzione con altro ramo, oppure presso il tronco, in maniera però che non resti un mozzicone o rimanenza troppo pronunciata 117.del ramo soppresso, e che non si faccia tanto aderente alla base che la ferita risulti di diametro maggiore di quello del ramo levato (fig. 117). Nel primo caso, la corteccia della base non potendo ricoprire il mozzicone rimasto, e non potendo esso più metter rami, perchè le sua scorza fosse troppo indurita, morirebbe e si putreferebbe, e col tempo aumentando la pianta, e rinchiudendosi in essa, le comunicherebbe questo suo stato. Se invece il legno del mozzicone, come succede nella massima parte delle piante resinose (vedi fig. 106), non è di facile putrefazione, dissecca, indi, col crescere del tronco o del ramo vicino, vien rinchiuso nel legno come una caviglia estranea e senza alcuna aderenza, come vediamo accadere alle tavole od assi di larice, d’abete, o di pino. In queste tavole vi sono delle macchie tonde di colore più oscuro, che facilmente si staccano lasciando un foro, e che non sono altro che i mozziconi lasciati presso il tronco. Forse l’uso di lasciare questi avanzi di rami nelle fustaje resinose, ebbe origine dalla difficoltà d’ascendere per rimondarli, poichè, levati i rami laterali, esse non ne mandano di ulteriori, per cui questi mozziconi presentano una specie di scala; ma sapendo di quanto danno sia tale uso pel legno della pianta, sarà meglio prendersi un po’ di disturbo ed usare di una scala portatile.
Nell’altro caso, cioè quando si lasci una ferita troppo ampia o poco pendente, e che venga difficilmente o troppo lentamente ricoperta dalla corteccia circostante, il legno dopo alcuni anni putrefa, si consuma e finisce col lasciare un foro pel quale introducendosi l’aria e l’acqua nell’interno della pianta, se ne guasta il tessuto.
Perciò i tagli devono essere ben lisci, ed alquanto obbliqui o pendenti onde non vi stagni l’acqua per di sopra. E per tanto, qualora convenisse adoperare la sega, abbisognerà ripulire la ferita con un ferro ben tagliente, onde togliervi quella peluria che servirebbe a trattenere l’acqua o l’umidità atmosferica. Inoltre, se osserverete quale si ricopra per la prima di due ferite di eguale grandezza, l’una fatta con ferro tagliente e l’altra con sega e non ripulita, troverete sempre esser ultima quella fatta colla sega, e ciò perchè con questo strumento si stirano e si lacerano molti vasi della corteccia, che in seguito disseccano, formando sotto alla ferita un anello di corteccia secca, che deve esso pure essere superato dall’inferiore corteccia sana destinata a ricoprire il complesso della ferita.
Importa poi che i rami che si tagliano non abbiano a staccarsi dalla pianta prima che si compia il distacco artificiale, accadendo spesso che pel proprio peso, recisi che siano per metà della loro grossezza, si rovescino o si stacchino affatto, lacerando la corteccia che loro serviva di base, e lasciando una piaga difficilmente sanabile. Per ovviare a quest’inconveniente giova evitare le giornate con vento, e fare una incisione od intaccatura inferiormente nella corteccia prima di procedere a tagliare percuotendo d’alto in basso; e se trattasi di rami voluminosi sarà meglio ancora legarli e sostenerli a qualche altro ramo. Queste incisioni, l’una inferiore e l’altra superiore, spesso non s’incontrano, e abbisogna in seguito ripulire e ridur piana la ferita.
Nel dar colpi col ferro tagliente si deve poi sempre procurare di agire dal basso in alto, poichè facendo altrimenti e specialmente quando si trattasse di rami ancor teneri o di ceppate, si correrebbe rischio di spaccare la base dei rami: dall’alto al basso si agisce soltanto in caso di grossi rami, come si è detto, o quando la disposizione del ramo impedisca di fare altrimenti.
§ 389. La miglior epoca per lo scalvo è quello in cui la vegetazione è cessata, cioè dalla fine dell’autunno al principio di primavera. Scalvando prima del finir dell’inverno succede che la ferita resta troppo tempo esposta all’aria, all’acqua ed al gelo, avanti che nuova corteccia la ricuopra, laddove invece tagliando alla fine del verno, e meglio ancora sul principio di primavera, prima che ingrossino le gemme, la ferita viene ricoperta dalla corteccia più presto di quella fatta nell’autunno o nell’inverno. Le sole piante resinose fanno un’eccezione, perchè i loro tagli, anche fatti in autunno o nel verno, poco soffrono per l’umido o pel freddo, ricoprendosi della resina che geme dal tessuto; laddove tagliate alla fine d’inverno o sull’incominciare della primavera perderebbero troppo sugo resinoso.
Nelle foreste degli alti monti sarà però sempre miglior cosa lo scalvare in autunno, appena cadute le foglie. In quelle posizioni è più facile che la neve permetta le operazioni prima di cadere, poichè il terreno non se ne libera cne a primavera molto avanzata e quando la vegetazione ha incominciato il suo corso. Che anzi, scalvando questi boschi in autunno, più facilmente si può trasportare o far scivolare la legna sulla neve o sul terreno gelato con minor danno del bosco.