Trattato completo di agricoltura/Volume I/Dei terreni/8
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concimi vegetali.
§ 224. Il processo adoperato dalla natura, per bonificare un terreno qualunque, sia pur affatto sabbioso o ghiajoso, è quello della decomposizione e putrefazione di quei vegetali che pei primi possono crescere su tali spazj, come vi ho già detto parlando dell’origine del terreno coltivabile. (§ 189).
Chi dunque avesse a convertire un luogo sterile, lontano da qualunque opportunità d’aver concimi animali, dovrà necessariamente usare del concime vegetale, raccogliendo e trasportando sul luogo quanto più può di materie vegetali, foglie, erbe, steli, radici, ecc., fresche o secche e già ridotte in minuzzoli ed in parte decomposte. In tal modo esso arricchirà quel terreno di humus, d’azoto, e di sali solubili ed insolubili, provenienti dalla ultima scomposizione dei vegetali trasportati e seppelliti nel campo, finchè, potendo il suolo produrre erbe o foraggi atti al mantenimento del bestiame, potrà dire d’aver conquistato nuovo terreno all’Agricoltura. Egli è vero che simili operazioni nei terreni sterili costano spesso quanto il valore d’un buon terreno; ma sarà sempre un grande vantaggio il poter rendere produttivo un terreno sterile, il creare mezzi di sussistenza per una più numerosa popolazione, il creare infine un capitale che non esisteva.
Oltre a ciò la riduzione dei terreni sterili, sia di montagna, che di pianura o di coste marittime, riesce sempre di vantaggio pel miglioramento che subisce l’aria, pei minori disastri che producono le acque sui nudi terreni di monte, ed anche per la minor instabilità nelle vicende atmosferiche, quando sia estesa ad uno spazio ragguardevole, come vedremo parlando dei boschi sugli alti monti.
§ 225. Presso il mare, per ridurre quei banchi di sabbia, dette dune, oppure quei prolungamenti sabbiosi e ghiajosi che fanno i fiumi presso la foce, e che diconsi delta, giova assai il raccogliere le foglie del pino marittimo che sono assai lunghe e grosse, le alghe, le canne, le lische ed altre erbe che crescono a poca profondità vicino alle coste e che sono miste a conchiglie. Potrebbe anche servire all’uopo la semina assai fitta del pino marittimo, sovesciandolo dopo tre o quattro anni.
Tutte le erbe che si possono raccogliere si mettono in mucchio a strati alternati con parte del terreno ed un poco di calce viva; questo ammasso si inaffia di quando in quando, ed in sei mesi circa si converte in una specie di terriccio, che sparso sul rimanente suolo serve a fertilizzarlo. Tutte le erbe acquatiche o palustri che a ciò vengono adoperate hanno il vantaggio di non imbrattare il terreno di sementi, poichè non vi potrebbero allignare quand’anche nascessero.
Il famoso ingrasso Jauffret, non è altro che un ammasso di vari vegetali di poco valore, inaffiati con soluzioni d’ingrassi animali, di ceneri, di gesso, di sostanze grasse, ecc. E se quest’ingrasso economico era utile in Provenza, dove mancano i pascoli ed i bestiami, non sarà certamente di gran valore ove si possa ottenere concime da stalla.
§ 226. Al monte invece, ove convenisse bonificare un terreno affatto nudo di vegetazione, converrà servirsi delle eriche, delle varie sorta di ginestre, dei frantumi di legno, dei rami e delle foglie cadute e raccolte negli spazj arborati, ecc., indi formare il mucchio, come vi ho già detto, avvertendo che, quand’anche non si potesse disporre di calce viva, la decomposizione succederebbe egualmente ma assai più lentamente, e forse allora converrebbe passare all’abbruciamento dell’ammasso (§ 215), avendo però cura che non ne esca fumo o fiamma, ma solamente evapori l’umidità, poichè altrimenti andrebbe perduta quasi tutta la parte organica, ossia l’azoto e l’humus, restandovi soltanto le ceneri.
Questa maniera di abbruciamento, che meglio potrebbe dirsi carbonizzazione, può essere usata con molto successo, ove il terreno, sebben nudo d’arbusti o di piante, sia però ricoperto da muschi, licheni, ed altre erbe di nessun valore. Allora si leva la cotica, colla quale si formano fornelli, procedendo in seguito come si disse. Raffreddata la massa la si spande sul terreno e si unisce e si mescola al resto per mezzo di ripetuti lavori. Queste operazioni però al monte non si possono nè si devono eseguire che dove il declivo sia dolce, e che perciò non siavi il pericolo di franamenti di terra, in caso di pioggie o troppo forti o troppo prolungate. Se il declivo è forte conviene all’incontro gettarvi semi d’ogni sorta di piante ed arbusti per incominciare ad avere un primo rivestimento del suolo, per rassodarlo colle loro radici e per preparare colla loro decomposizione un terreno migliore ed opportuno a piante di maggior importanza.
Ove si abbia l’opportunità d’aver della torba, anch’essa potrà servire come un ingrasso vegetale, quando però le si faccia subire alcune modificazioni. Vi ho detto (§ 90) che le torbe vecchie contengono poco azoto e pochissimi sali solubili, e che quelle formatesi sott’acqua, prive del benefico contatto dell’aria, diconsi acide perchè ricche di acidi vegetali (tannino) e di materie idrogenate poco utili alla vegetazione. Queste allora devonsi esporre all’aria, e mescolare a calce o ceneri per fornir loro gli alcali di cui mancano, o meglio ancora farle imbevere di urina, o d’altro concime liquido azotato, servendosene, quando si possa, come lettiera nelle stalle.
Generalmente però le torbe sole, anche dolci, servono piuttosto a fornire humus al terreno che a concimarlo.
§ 227. Questi mezzi semplici servono soltanto a ridurre il terreno atto ad una prima produzione di foraggi, ma non crediate già che si possa in tal modo renderlo e mantenerlo assolutamente fertile. La prima cura del coltivatore, quando non voglia ridurre il suolo a bosco, dev’essere quella d’aver foraggio col quale mantenere bestiame piccolo o grosso; con questo mezzo soltanto potrà ricavare frutto dai lavori e dalle spese già sostenute.
In molti luoghi si usa raccogliere arbusti di poco valore e riporli nel mezzo delle strade perchè, calpestati ed infranti, meglio e più prontamente si decompongano. Anche i fusti di melgone, i steli del pomo di terra e di molti altri cereali o legumi possono usarsi soli qual concime puramente vegetale, singolarmente per la vite; ma siccome queste materie non si hanno che dove l’agricoltura sia di già ben regolata, così esse servono ordinariamente come lettiera nelle stalle.
§ 228. Anche dove la coltivazione d’un terreno sia già ben condotta servono i concimi vegetali voltati sotterra, ossia il sovescio.
Del sovescio.
§ 229. Il sovescio adunque è quella operazione per la quale, coll’aratro, o colla vanga, si voltano sottoterra alcuni vegetali seminati appositamente, che siano ancora allo stato erbaceo e che non abbiano cominciato a formare il seme, allo scopo di migliorare le qualità fisiche e chimiche del terreno.
Questa pratica era conosciuta dagli antichi Greci o Romani. La teoria del sovescio è fondata sul principio che le piante, come succede nei boschi, possono restituire alla terra, non solo quanto hanno da essa assorbito, ma ben anche quanto per mezzo delle foglie si sono assimilato dall’aria atmosferica. L’uso di sovesciare le piante prima che formino il seme, è basato sull’altro principio, che voi già conoscete, cioè che le piante nel primo loro sviluppo si alimentano colla massa cotiledonare del loro stesso seme, e che spuntate le foglie, queste cominciano ad assimilarsi dall’aria il carbonio e fors’anche una piccola porzione d’azoto, ben poco togliendo al terreno per la loro nutrizione; laddove all’epoca della fioritura e verso quella della maturanza del seme, in tutte le piante, e specialmente nei cereali, le foglie, disseccando e nulla più potendo assorbire dall’aria, succhiano dal terreno quelle sostanze inorganiche che sono necessarie perchè il seme sia ben costituito. Aspettando quindi a sovesciare le piante in quel momento, si perderebbero quei vantaggi che si cercano con questa operazione, vale a dire che venga restituito alla terra più di quanto gli venne tolto colla pianta che s’intende sovesciare.
§ 230. Intesa la teoria del sovescio, vi dirò che molte sono le piante usate dagli antichi e dai moderni a tale scopo. Le principali sono le fave, la segale, i lupini, il ravizzone, i piselli, i fagiuoli, le veccie, la fraina, il trifoglio e le zucche. Anticamente i Romani adoperavano di preferenza i lupini ed i Lombardi il ravizzone. Generalmente però devesi scegliere una pianta che cresca rapidamente, che sia ricca di fogliame e di rami, quantunque seminata un poco fitta, e che arrivi alla fioritura verso quel tempo nel quale devesi seminare la pianta che gli succede.
La pianta che serve al sovescio deve poi variare a norma del clima, del terreno e della successiva coltivazione. Così il lupino seminato alla fine di settembre non potrebbe servire al sovescio pel melgone, come usavano i Romani, perchè da noi morirebbe nell'inverno, e perchè, se si seminasse anche prestissimo in primavera, non crescerebbe abbastanza da poterlo sovesciare in aprile. Come pure la segale, nei luoghi i più freddi della nostra Valle, non servirebbe al melgone, perchè arriverebbe troppo tardi all’epoca della fioritura; e quando, seminata in luglio od agosto, si volesse adoperarla come sovescio pel frumento, non crescerebbe molto bella, perchè l’asciutto naturale di quei mesi non è favorevole allo sviluppo della parte erbacea delle piante, mentre la fraina od il lupino riescono meglio anche seminati in settembre. Per riguardo al terreno si userà ii lupino nel terreno argilloso e già buono, e la segale nei terreni meno fertili o dissodati di recente, poichè le altre piante, quali sono le fave, i fagiuoli, ecc., non crescerebbero di molto. Del resto quanto più la pianta è tenera, sarà di un effetto più pronto ed utile ai terreni sciolti, laddove se la pianta sarà più consistente, il di lei effetto sarà più durevole e di vantaggio ai terreni tenaci, rendendoli anche più porosi o soffici. È sotto questo rapporto che il sovescio potrebbesi considerare come un ammendamento pei terreni forti, nei quali viene di preferenza usato dagli agricoltori.
Da noi il sovescio si usa soltanto pel frumento, ed acciò, verso la fine di agosto o prima della metà di settembre, si lavorano una o due volte, e si semina il lupino in quei campi che devono nuovamente essere coltivati a frumento; ma se questo deve succedere al melgone, si getta il lupino nei solchi all’epoca che vi ho già indicata, e si copre di terra colla zappa o con un piccolo rastrello. In tutti e due i casi si usa unire ai semi del lupino anche quelli del ravizzone, e tanto una pianta che l’altra per la seconda metà d’ottobre sono abbastanza alte, ed il lupino prossimo alla fioritura, e quindi opportune per essere sovesciate.
Ciò non pertanto l’uso di seminare la pianta da sovescio sopra il melgone, è, a mio credere, dannoso, per quanto esso sia il più frequente. Infatti, il lupino ed il ravizzone, dovendo vivere sulle radici del melgone, leveranno a questa pianta molta dell’umidità necessaria e molte sostanze assimilabili. E siccome poi questo accade in agosto, epoca in cui la stagione è ordinariamente arida, e che il melgone matura il grano, così lo si vede inaridire avanti tempo per la minima siccità, e quindi soffrirne il prodotto, che resta sempre scarso e più piccolo di seme. Nel caso contrario, ossia che la stagione fosse assai piovosa, la pianta da sovescio vegeterà assai bene, farà molto fogliame, ma sarà ancona di danno al melgone, impedendo ai raggi solari di riscaldarne convenientemente il terreno.
Molti di quelli che hanno lasciato dei ricordi d’agricoltura raccomandarono il lupino da seminarsi in primavera pel sovescio al lino od al melgone; ma io ritengo che questi agricoltori vivevano in paesi alquanto più caldi del nostro, perchè da noi il lupino, seminato anche in principio di marzo, nasce tardi e cresce stentatamente, per cui, alla metà d’aprile, momento già troppo tardi pel lino ed adattato pel melgone, non sarebbe alto più d’un palmo e per conseguenza di ben scarso vantaggio, non compensando forse nemmeno la spesa della sua seminagione.
Alcuno per far sovescio in primavera consigliò la segale, seminata dalla fine d’agosto sino al principio di novembre. Le segale offre il vantaggio che vegeta discretamente anche nei terreni sabbiosi ed appena dissodati; seminata presto potrebbe esser tagliata in ottobre come foraggio, ed in primavera rimetterebbe abbastanza bene per servir da sovescio al melgone; vive nell’inverno e vegeta in febbrajo e marzo, nel qual tempo il terreno rimase inoperoso; finalmente, essendo assai consistente, il suo effetto è più durevole, avvertendo però di adoperarla nei terreni forti, perchè i sabbiosi, quando non fossero irrigabili, resterebbero troppo soffici.
Il sovescio delle veccie, dei fagiuoli, piselli o d’altre simili piante non sarebbe proficuo che fatto in autunno, perchè in primavera non arriverebbero ad un’altezza tale da produrre un effetto utile. Il trifoglio fu trovato assai vantaggioso, quantunque già tagliato più volte e sovesciato basso, perchè sembra assai probabile che abbia la proprietà di assorbire qualche piccola porzione d’azoto dall’atmosfera, il quale introdotto nel terreno per mezzo del sovescio, e quando possa trovare lo zolfo ed il fosforo, serve a fornire alla successiva coltivazione le opportune combinazioni di solfati e di fosfati.
§ 231. La pratica del sovescio, specialmente nei terreni forti, è assai lodevole perchè oltre al correggere con poca spesa la loro fisica qualità, forma una specie di concimazione, col restituire al terreno non solo quanto gli fu levato ma altresì quel che la pianta ha assorbito dall’aria. Ma non bisogna però illudersi di troppo. Voi, colla scorta di quanto vi ho già detto, potrete facilmente comprendere che il sovescio non restituisce al terreno quanto gli fu tolto coi raccolti antecedenti di cereali. Già sapete che il grano o seme è la parte del vegetale che contiene le sostanze più importanti, e che il fusto non ne contiene che una minima proporzione, come potete convincervene osservando la Tav. I.a pag. 92, della composizione di varii cereali. Col sovescio dunque voi non date al terreno di quelle importanti sostanze che quanto si è adoperato per la seminagione, cioè quanto è contenuto in due ettolitri di segale, od in tre di lupini per ciascun ettaro, il quale ve ne deve dare circa venti di frumento, e trenta o più di melgone. Come vi dissi, e come meglio potrete intendere quando vi parlerò degli ingrassi, altro si vuole per avere un raccolto di paglia, ossia di parte erbacea, ed altro per avere dei semi. La parte erbacea d’una pianta sovesciata ajuterà lo sviluppo della parte erbacea della pianta che gli deve succedere, ma non mai la formazione de’ suoi semi. Guardate quel che succede quando si rompono le vecchie praterie, e che vi si coltivi qualche cereale, e ve ne convincerete; e sì che le praterie, per gl’ingrassi animali che loro furono dati dapprima, contengono dei fosfati, della potassa, ecc., pure siccome in esse la parte vegetale è in una proporzione assai maggiore, così il cereale che si coltiva nella loro cotica sovesciata facilmente volta a terra per la ricchezza e sproporzione delle foglie, e quei pochi semi che vi si raccolgono sono rugosi, poco pesanti, di poca farina e di minor valore.
Ciò non pertanto la pratica del sovescio non è da trascurarsi pei motivi che vi dissi, e specialmente nei terreni forti. Nei terreni leggieri il sovescio fatto d’autunno vi aumenta la proporzione dell’humus, ed in ogni caso, richiedendo un apposito lavoro del terreno, questo gli ridonderà sempre a vantaggio.