Timeo/Capitolo XVIII

Capitolo XVIII

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XVIII.

E in prima è da fare maggiore distinzione che non nel ragionamento d’innanzi: imperocchè allora noi abbiamo distinto due generi, e al presente è a palesare un terzo genere nuovo; perocchè allora erano sufficienti quei due, l’uno posto come specie di esempio, il quale è intelligibile e rimane medesimamente in eterno; e l’altro come copia dell’esempio, il quale è visibile ed ha generazione. Allora non abbiamo distinto il terzo genere, pensando che i due fossero sufficienti; ma ora pare che ci costringa il ragionamento di prendere a chiarire con le parole questa faticosa specie ed oscura. E quale penseremo noi che sia la potenza e la natura sua? questa principalmente, di essere ricettacolo, e quasi nutrice, di tutto ciò che si genera. Detto è il vero, nientedimeno si dee mostrare con piú chiarezza; e ciò è malagevole, specialmente perchè è necessario porre innanzi alcuni dubbi quanto al fuoco e agli altri compagni del fuoco. Certamente a dire quale di essi in verità è piuttosto da chiamar acqua che fuoco, e perchè è piuttosto il tale che non tutti e ciascuno indifferentemente, e dire ciò con saldo ragionamento e securo, ella è malagevole cosa. E in qual modo solveremo noi questi dubbi ragio [p. 51 modifica]nevoli?

In prima, ciò che testè noi abbiamo chiamato acqua, densandosi, ci pare vederla diventar pietra e terra; e se si solve e discerne, vento e aria; e affiammandosi l’aria, diventar fuoco; e densandosi il fuoco e spegnendo, tornare nuovamente in forma di aria; e l’aria se si costringe e affolta, diventar nuvole e nebbie; e queste, pressate più, sciogliersi in acqua; e dall’acqua riuscire di nuovo pietra e terra: sicchè, come pare, essi dannosi in giro la generazione vicendevolmente. E così queste cose mai non rimanendo medesime, di quale di esse affermerà alcuno per certo, questa è, senza che di sè si vergogni? ma di ciò egli è molto securo così dire: sempre quello che noi veggiamo quando generarsi in una forma, quando in un’altra, come il fuoco, non si dee nominare Questo, ma sempre Cotale; così, il cotale fuoco1, e nè anche quest’acqua ma sì la cotale acqua: e universalmente le altre cose siffatte non convien chiamare così come se elle avesser fermezza, dico io quelle, per le quali noi usiamo, per mostrarle, dei nomi Questo e Cotesto, immaginandoci di manifestare alcuna cosa: imperocchè elle fuggono, non aspettando il Questo o Cotesto o a Cotesto o altra parola simigliante che le significhi com’enti stabili. E non si ha a nominare fuoco, aria, acqua, terra, ciascuno sceveratamente2; ma sibbene e [p. 52 modifica]di ciascuno e di tutti si dee nominare la perpetuamente rigirantesi e simile parvenza, chiamandola Cotale. E però dovunque apparisca la parvenza Fuoco, ella è a nominare Cotale; e così si dica simigliantemente di tutto ciò che ha generazione. Ma a quello, dove ogni volta le parvenze mentovate appaiono nascendo e d’onde isvaniscono novamente, solo a quello si conviene il nome di Questo e Cotesto; checchè poi è così, e così, come caldo, bianco, e i contrarii loro o ciò che nasce di loro, non gli si conviene. Ma di ciò procuriamo di parlar di nuovo più chiaramente.

Ecco, poniamo che alcuno, pigliato oro, da quello cavi figure d’ogni ragione, senza restar mai del trasfigurare ciascuna in tutte; mostrando alcuno una figura, e domandando, che è? per certo egli è molto sicuro rispondere in questa forma: È oro. Il triangolo e qualunque figura ivi si generasse, non sono da nominare così come fossero enti; imperocchè, pria che fatte, elle sono disfatte: e se egli volesse ricevere a fidanza la risposta che son Cotali, si ha a stare contenti3. Il medesimo ragionamento vale per la natura la quale accoglie in sè tutti i corpi; ella è a dire che è la medesima eternamente, perocchè ella niente mai non esce di sua potenza, accogliendo sempre tutte le cose e per niuno modo mai [p. 53 modifica]non pigliando forma niuna che simile fosse a alcuna cosa di quelle che in lei entrano: imperocchè ella è di natura sua quale passionabile materia, e a tutto soggiace, e mossa e affigurata da ciò che in lei entra, ora ella appare in una forma, ora in un’altra. Le cose ch’entrano ed escono, imitative sono degli eternali enti, stampate da quelli per inenarrabile modo e maraviglioso; il quale cercheremo poi.

Presentemente adunque è a distinguere tre generi, cioè il generato, e quello nel quale egli si genera, e quello dal quale egli, generandosi, riceve la somiglianza. E conviene anco paragonare quello che riceve, a madre; quel dal quale riceve, a padre; e quello che è nel mezzo di loro, a figliuolo. E si ponga mente che avendoci a essere una effigie in tutte guise svariata, non altrimenti bene apparecchiato sarebbe quello nel quale ella si stampa, salvochè non avendo niuna forma, di tutte quelle idee che fosse per ricever da fuori; imperocchè se mai a cosa alcuna somigliasse di quelle che in lei entrano, quando venissero quelle di natura contraria e totalmente diversa, ella, ricevendole, male segnerebbesi di loro stampa, da poi che trasparirebbe il suo viso. E però cotesta natura che dee accoglier da fuori nel seno suo tutti i generi, è mestieri ch’ella sia ignuda di ogni forma. Così come quelli che conciano unguenti odorosi, con loro industrie fanno sì che inodoroso sia al tutto l’umore il quale dee prendere l’odore; e così come quelli che pigliano a improntar figure in materia docile, non lascian che vi traspaia [p. 54 modifica]segno di figura alcuna, e ripulendola prima, quanto è in poter loro la lisciano; così simigliantemente quello che dee in ogni parte sua ricevere bellamente e spesse volte le similitudini degli eternali enti, convien che di natura ignudo sia di ogni forma.

E però la madre e ricettacolo delle generate cose che si vedono e sentono pienamente, non la dimandiamo noi terra, nè fuoco, nè acqua, e nulla di tutte quelle cose che siano fattrici loro o loro fatture; ma sibbene diciamola un cotale invisibile genere senza forma, che ricetta ogni cosa, di ciò che è intelligibile partecipe in un tal modo che dire non si può ed è forte molto a intendere; e, dicendo così, non si falla.

E per quello che detto è, per quanto arrivare si può la natura sua, così si direbbe molto dirittamente: ogni volta par fuoco la parte di lei che è affocata, quella inumidita, acqua; e in tanto ella par terra e aria, in quanto riceve le loro somiglianze. Ma, volendo noi definire la cosa più chiaramente, è a cercare se ci sia mai un fuoco da sè; e similmente è a cercare di tutte quelle cose, di ciascuna delle quali noi siamo usati dire ogni volta, ch’ella è da sè: o se queste cose che veggiamo, e tutte quelle che sentiamo per mezzo del corpo, elle sole hanno cotale verità, e nessuna non è oltre a quelle per nessun modo; sì che tutto dì noi diciamo vanamente, che di ogni cosa è una cotale intelligibile specie, non essendo altro coteste specie che parole. Per certo se noi lasciamo la presente questione non esaminata nè [p. 55 modifica]giudicata, non è bene asseverare a fidanza che la è così o così; ma da altra parte nè anco è bene appiccare una lunga giunta a un lungo ragionamento. Laddove poi si trovasse modo di ridurre, il molto in poco, ciò proprio farebbe al caso. Io penso così: se mente e verace opinione son due generi, sì che allora ci sono veramente coteste cose da sè, specie non sensibili a noi, soltanto intelligibili; ma se opinione verace non differisce in nulla da scienza secondochè pare ad alcuni, sole quelle cose sono a reputare certissime, le quali sentiamo per via del corpo. Ma sono due generi, così è a dire: imperocchè elle separatamente si generano e si comportano dissimigliantemente; perchè l’una si genera per insegnamento, e l’altra per persuasione; e l’una accompagnasi ogni volta con verace ragione, l’altra è irrazionabile; e l’una non è pieghevole a persuasione, l’altra sì, e si cangia a ogni persuasione novella; e dell’opinione è da affermare che partecipe è ogni uomo, della mente poi gli Iddii e di uomini una schiera piccola assai. E s’egli è così, è da consentire che ci è una specie che rimane medesima eternamente, non generata nè peritura, che nè altra cosa riceve dentro sè da altrove, nè va in altra cosa, non visibile nè sensibile per veruno modo, quella la quale solo all’intelletto fu dato di considerare; e che ci è una seconda specie che ha il medesimo nome di quella rammentata, simile a quella, sensibile, generata, in perpetuo movimento, che nata in un luogo di nuovo di là tosto isvanisce, la quale si comprende per mezzo della [p. 56 modifica]opinione accompagnata col senso; e che ci è da ultimo una terza specie, lo spazio, da corruzione securo, che a tutto ciò che ha generazione dà stanza, che apprendesi senza il senso, per mezzo d’una cotal bastarda ragione, credibile a mala pena: al quale riguardando, noi sogniamo, e diciamo ch’egli è necessario che ogni ente sia in alcuno luogo e occupi alcuno spazio, e che ciò che non è in terra nè in cielo, è un nulla. E poi, a cagion di cotesto sognare, anco svegliati, i detti pensieri e i fratelli loro siamo sciocchi a sceverarli da quelli che si convengono alla natura vigile, che è ente schietto; e sciocchi siamo a dire il vero: cioè, che il simulacro, da poi che quello per lo quale fu generato non gli si appartiene, ed esso simulacro muovesi come fantasma di un altro e diverso è da quello, perciò conviene che similmente si generi in alcun altro diverso perchè egli si appoggi all’essere in alcun modo; ovvero convien che sia proprio un nulla. Ma all’ente verace soccorre con sollecitudine la verace ragione, la quale dice, che insino a tanto che una cosa è una cosa, e un’altra è un’altra, niuna delle due non può generarsi nell’altra giammai, e insieme essere uno e due<ref>Cioè insino a che l’idea è una essenzialmente, e lo [p. 57 modifica]spazio è molti, l’idea non può sussistere nello spazio; se no, ella sarebbe uno e molti.</ref>.

Note

  1. Imperocchè la prima parola significa ente invariabile, e la seconda significa parvenza che muta.
  2. Come se fosse cosa da sè e per sè, cioè come fosse idea o specie.
  3. Per esempio Cotale triangolo è, e non già Questo triangolo è: perocchè così tu non lo mostri com’ente; ma sibbene come fantasma fuggevole, che rende imperfettamente l’idea sua.