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non pigliando forma niuna che simile fosse a alcuna cosa di quelle che in lei entrano: imperocchè ella è di natura sua quale passionabile materia, e a tutto soggiace, e mossa e affigurata da ciò che in lei entra, ora ella appare in una forma, ora in un’altra. Le cose ch’entrano ed escono, imitative sono degli eternali enti, stampate da quelli per inenarrabile modo e maraviglioso; il quale cercheremo poi.

Presentemente adunque è a distinguere tre generi, cioè il generato, e quello nel quale egli si genera, e quello dal quale egli, generandosi, riceve la somiglianza. E conviene anco paragonare quello che riceve, a madre; quel dal quale riceve, a padre; e quello che è nel mezzo di loro, a figliuolo. E si ponga mente che avendoci a essere una effigie in tutte guise svariata, non altrimenti bene apparecchiato sarebbe quello nel quale ella si stampa, salvochè non avendo niuna forma, di tutte quelle idee che fosse per ricever da fuori; imperocchè se mai a cosa alcuna somigliasse di quelle che in lei entrano, quando venissero quelle di natura contraria e totalmente diversa, ella, ricevendole, male segnerebbesi di loro stampa, da poi che trasparirebbe il suo viso. E però cotesta natura che dee accoglier da fuori nel seno suo tutti i generi, è mestieri ch’ella sia ignuda di ogni forma. Così come quelli che conciano unguenti odorosi, con loro industrie fanno sì che inodoroso sia al tutto l’umore il quale dee prendere l’odore; e così come quelli che pigliano a improntar figure in materia docile, non lascian che vi traspaia