Testi inediti friulani dei secoli XIV al XIX/VII. Appendice

VII. Appendice

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VI. Secolo XIX VIII. Annotazioni e frammenti

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VII.

APPENDICE.


Testi italianeggianti, scritti nel Friuli,
dal 1290 alla metà del secolo XV.



1. Statuti della Fraglia de' Battuti in Cividale.

[Da apografo cartaceo del secolo XIV, nell'Archivio Notarile di Udine,
Varia Historica, Vol. I]

1290.

Li infrascriti ordinamenti e statuti fati cum conseglo de savi frari minor e predicator e de altri savi e boni homini de Cividal in Millesimo cc e nonanta a dì VII intrant Setembrio.

Enfra li altri ordinamenti e statuti fo ordinato e statuto ni nisuno no debia esir rezevuto in la fradalia deli batuti de Sancta Maria sotto nisuno pato e condicion si no lyberamentri queli chi vol observar ly statuti dela fradalia.

Item chi zaschaduno frari debia quant el po batir lo so corpo ogna domeniga e ly festi di tuti ly apostoli e per ogna fiata chi ven fata prosesione dir XXV paternoster e xxv avemaria.
Item ogna fiata chi alguno dela fradalia mur u homo u femina dir xxv paternoster e xxv avemaria et esir personalmentri alo corpo del morto.

Item ogna domeniga chi ven fata prosesion per zascaduno frari u saror dela fradalia chi sarà lo so anevual, dir v paternoster e v avemaria per l-anima lor.

Item zascaduno frari e saror de’ pagar ogna anno in lo dí de Sancta Maria de candeli denari ij in aiutorio deli poviri.

Itém ogna fiata quant alguno dela fradagla si è infermo ed eli sia comandat a veglar, elo de’ andar u mandar per si a veglar.

Item chi nisuno no debia esir revuto in la deta fradagla si inanzo no á la sua capa cum la qual si de' batir.

Item chi zaschaduno de la fradaglía de' rezevir una ora in anno lo corpo nostro Signor Jhesum Cristo.

Itera chi zaschaduno dela fradalia de' aver pas e bona volontat cum lu so comfrari e per quelo chi romagnes de aver pas e concordia sia dislito de la fradagla e altri plusor ordinamenti chi é di grant consolacion e hutilitat aly animi e al corpo.


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2. Canzone in morte di Bertrando Patriarca d'Aquileja1.

[Leggevasi in fondo a un protocollo, ora smarrito, degli anni 1345 e 1346, il quale faceva parte dell' Archivio Comunale di Tolmezzo ed è ricopiato nell' Archivio Capitolare di Udine, Vol. XXXII, Mss. Bini, Varia.]


1350-1.


Al nome de Christo e de Sancta Mari
   Or m'ascholtate tenz in cortesja
   El lamento de la chasa d'Aquileja
                      tuti quanti,
D'una dolosa pena congrua e plana
   Del nobel Patriarcha Ser Beltramo
   De quel Signore ch'á lu so sangue sparto
                      sul camino.



Note

  1. Bertrando di San Genesio, francese, succedeva l'anno 1334 a Pagano della Torre nella sede patriarcale di Aquileja. Benchè in età avanzata, diede prove, durante il suo governo, di non comune energia, congiunta a saggezza e bontà d'animo singolari. Volendo egli frenare le continue guerre che i Castellani del Friuli movevano tra loro e contro il Principe comune, s'attirò l'odio di codesti ribelli; i quali, uniti al Conte di Gorizia, attesero armati il loro vecchio Patriarca e Signore sui prati della Richinvelda alla destra del Tagliamento, il 6 giugno 1350, mentre da Sacile egli ritornava a Udine, circondato da pochi e fidi amici. Nel breve combattimento, restò ucciso il Patriarca con parte de' suoi seguaci, altri de’ quali, come Federico di Savorgnano e Gerardo di Cuccagna, de' maggiorenti del Friuli, rimaser prigionieri. II corpo di Bertrando fu ricevuto in Udine, dal clero e dal popolo, colla massima pompa e collocato nel Duomo dedicato a S. Maria, ove ancora si venera col titolo di Beato.
    Nell'ottobre del 1350, papa Clemente VI innalzò alla Chiesa di Aquileja Nicolò di Lussemburgo, fratello dell’Imperatore Carlo IV. Nicolò non ne prendeva possesso se non il 21 maggio dell'anno seguente; ma sua prima occupazione fu di vendicar l'antecessore; e prima che finisse il 1352, molti castelli de' nemici di Bertrando erano atterrati e molti de' suoi aggressori spenti dal carnefice.
    La lingua della rozza e toccante Canzone, che oggi vede per la prima volta la luce, sa decisamente di friulano, e dovremo perciò attribuirla a autor friulano. Fu composta súbito dopo la nomina o la venuta del Patriarca Nicolò, e quindi fra l'ottobre del 1350 e il maggio del 1351, prima che questi desse principio alla terribile vendetta, a compir la quale, dice la Canzone, egli era stato eletto dal Papa, per eccitamento dell'Imperatore.
Archivio glottol. ital., IV.

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Cantar ve vojo del Patriarcha fino
   Che fazea honore al grant e al pizinino,
   La sua persona sempre zeva alegra
                         A quel Signore
De li soi fratri lu bon redemptore
   Per mantenirse in pase cum honore
   Et del fomento a grant tradisone
                    A cum dolja.
Quando el fo presso de quella gente ria
   Misser Beltramo pien de cortesia
   El pregava Christo e la Vergin Maria,
                    A mi perdona.
Misser Fedrigo in d'avia grant dolore
   Quant el vedea ozider lo so Signore
   Lagremando el dise en fra lo so core
                    Ay me dolente!
Che de la Glesia sempre fo fervente
   De mantegnerla amico chu la nostra zente
   Sempre la mare de Christo el clamava
                    En veretade.
A quel de Chucagna comenzó a parlare
   Misser Gerardo lo fyol en veretate
   E chu la spada voglio esser liale
                    al mio Signore.
E de la patria sempre fo servitore
   Da mantener le entrade a grant honore
   La chasa d'Aquilea cum grant valore
                    a mya possanza.
Ed in quel dí fo morto l’humel Patriarcha,
   Quando a Udene zonse le novele
   Duta zente allora lagremave
                    Lu so Signore;
Quel padre dolzo plen fo de cortesya,
   Quant el fo morto de quella zente ria
   Lu povul d'Udene chu la cheresya
                    Suspirava.
Cavalgando a quel nobel Signore
   Del mes de jugno fo la tradisone
   Quando el passó clamat a Dio Signore
                    Su lo camino.
Lu povul d’Udene si se pareclave
   Per tor lu corpo suso in quella fyata

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A Sancta Maria lu corpo portava
                    de quel Signore.
Li prelati e li soy dependenti in quella
   Cantar le vesperi cum devotione
   Orava Dio e la Vergin Maria
                     che li perdone,
Che della glesia imperator corona
   De la casa d’Aquilea terra bona
   Per tuto'l mondo si fo menzonato
                    in ogni parte.
Quant le novelle zonse al pare Santo
   Del Patriarcha ch'á'l so sanguo sparto
   Li gardinali en fazía gran planto
                    e lamento:
Lu Santo Papa en d'avia dolya
   De quel patron de la virgin Maria
   Che delli tre del monto a quello d'Aquilea
                    era clamato.
L'emperadore disse al pare Santo
   Un altro Patriarcha sia levato
   Che li traditori vada gastigando
                    per rasone.
Imantinent el fo levat Signore
   Misser lu Patriarcha Nicoloe
   E de le glesie el manten rasone
                    cum posanza.
De la chasa d'Aquilea francha lanza
   La plui leal che sia en Franza
   Che in questo porta nomenanza
                    de prodeze.



3. Poesia amorosa.

[È sul rovescio di un atto d'ignoto notajo udinese, della metà del secolo XIV, nell' Archivio notarile d'Udine.]


Zovenita sta segura sel ti piaci alguna cossa ven a me senza pavura no star malancuniosa di dinar io no ti digo darotini com'ostagi si chi ben saray fornita megl chi tu fossi zamai e si tu mi crederay, nata situ invinturosa.
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Camarelli puy di milli doneróti alto do milli e Castelli et palafreni quant tu andaray per camini si chi ben saray fornita di zo chi ti fay ministeri e di barcheti e di speronere deletando a ti zuyosa1.
Tropo mi retorna in noya l'impromessi che tu mi fay e dinari no mi besugna, arica son como tu say, si duto 'l mondo tu mi dessi no mi tocheria za may, in altruy som inamorat va cum Deo pensando lu vay [sic].
Tu mi passi [pasci] pur de rissi [risi] e di veti paroleti pasorete etu [sei tu] deventata de li volta pluy di sete [sette] ben non crederia mintir se disesi vintisete o creti che sia zudeu o cretu che sia menzonero.
Zovenita ora m'intende sel ta gravass'il venire doneróti girlandeta, vistiróti ben vestita e sel ti piazará corona e cofeneti, per cuvrirsi e capuço al fiorentina tosto ti faró aver soy ministeri si chi men saray fornita di zo chi ti e di falcheti e di livireri deletando a ti zuyosa.




4. Celebrazione di matrimonio.

[Dagli atti del notajo Ermacora Bonomo, di Billerio, anno 1354;

nell' Archivio notarile d’Udine.]


Verbum quod fit quando aliquis desponsat uxorem.


In nomine Patris, Filij, et Spiritus Sancti amen. In prima mentre e lo si e divignudo da Dio e dala sancta mare madona sancta Maria e de li XII apostoli e di tuti li sancti e di tute le sancte e di tuta la cort di cel, da li quali si diven tuti li donoi e tul [sic] beni e tute le gratie chi noi avemo in questo mondo e po si e stado piasamento dali amisi da una parte e dal altra a qua al honor di Dio e dela mare soa congregadi e asunadi e si che ve digo e prego chi sel fosi nisuna persona a qua od altro che savese per nisun modo over causone d'enzegno, da rasone over di fato o per parentade per impromisione che alguni de lor avese impromitudo a nisuna altra persona: per le qual chose lu matrimonio non podese divignir, che lo debia dir a qui et in presente di caschun omo e chi se lo lo dise da qua inanzi e lo no li vignirà cridudo e dir noi pregaremo Dio e la soa mare vergine Maria che lu dia gratia di viver un con l'altro a lungi tempi e di far con le cose che sia honor dal corpo e salvamento da la anima e di far fioli e fiole chi sia servidori di Dio. — Et tunc dic sic: — Dona Berta laudavo Martin fiolo di Sabadin per vostro legitimo sposo e marido segondo comanda



Note

  1. A questa strofa sono aggiunte le seguenti parole, forse a guisa di varianti, senza che si veda come debbano andare collocate: e di tascheti e di fiori darotini milli paghi.
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la rasone de la Cort da Roma e la Cha d'Agulea e la usanza di Friul un ora, l'altra e la terza etc: et similiter de viro: — Martin laudavo etc.



5. Lettera

di Mainardo di Villalta ad Artrusino di Cividale,

sull'incendio della villa di Villalta fatto dai Signori di Uruspergo.

[Arch. Municip. di Cividale.]


13581.

Amigo so Karissimo Artrusino de Civitat.

Al amigo so Karissimo Artrusino de Civitat io Meginardo de Vilalta si ti saluto cum bono amore e si ti mando mostrando sopra a qul de Wspergo chi e stado in la villa de Vilalta hora trasora de note e si hanno brusada e robada la villa e si anno presi li mei servitori io te prego per lu mio amore chi tu lu debi mostrar a li boni homini de Civitat e che li faza contra de mi si como noi s’avemo impromesi e deba displaser a tuti voi.

Data in Vilalta di iiij de Bruma.




6. Lettera

dei Capitani Patriarcali,

scritta durante l'assedio del Castello di Ragogna.

[In atti di Leonardo di Gorizia, notajo in Gemona;

Arch. notar. d’Udine.]

1365, agosto o settembre.

Al Capitani e del Conseglo di Glemona.

Al Conseglo del cumun di Glemona, no chi semo in per lo patriarca capitani de la bastia2 respondemove sovra una letera la qual voi mi mandase per le arme e per le cose di Zuanuto e di Perozo, sovra questo ve



Note

  1. Manca in questa lettera l'anno, come si usava in que'tempi, ma lo si desume dalla deliberazione del Comune di Udine, 4 dicembre 1358, di sostenere Mainardo di Villalta contro le violenze de' Signori di Uruspergo (Arch. Mun. di Udine).
  2. Bastia fatta per assediare il Castello di Ragogna.
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respondemo chi noi no avemo cosa nisuna del loro salvo che una coracina e un slopo lo qual era di Perozo, sapia chi per lor zoe Zanuto e Perozo non mancá chi la bastia non fo presa chi siando dentro de la bastia intrambi due eli si arenderono agli inimisi zoe a Cola de Regogna: no semo vostri, voi save ben quel chi vo ave a far.



7. Lettera

al Comune di Cividale,
nella quale s’annunzia una scorreria degli Udinesi.

[Da una copia che è nella Collezione Portis-Guerra in Cividale.]


Nobilibus ac Sapientibus viris Gastaldioni, Consilio Terre Civitatis Austrie Dominis meis carissimis in Civitate1.

Ogni debita recomandation inanzi metuda. Sapia che un vostro e mio amigo si me manda her alle XXIV hore digant com lo marasalch2 a Uden con una grant brigada esí, debba entrar esta notte in Cividal a fare non bone et honeste cose a instantia de chui quel amigo soradetto e mi non lu savem: onde io ve n'aviso. Se io pos far alguna chosa per vuy e per lu bon stado comun di Cividat, io son sempre presto a ogni vostro chomandamento.

Dada in Chastelut a di XXVIII de Setembre.

El vostro in dut Virgili di Cividat.




8. Lettera

del tempo della lega de’ Veneziani col Conte di Virtù.

[Da una copia come sopra.]

13873.

Al nobil homo Nicoló de Anzello in Cividat sia dada.

Nicoló di Anzello yo Ulvino ti saludo et sapi che yo áy favellat ad una femina di Zucho, la qual si é stada in Udino, chi ello si diseva in Udino per agli boni homeni chi gli Veniziani non volevin triuva ne pace per nissuno modo e specialmente dopo chi fo fatta la lega chu lu Conte de Virtude del qual gli homini da Udine mostra da esser grami e faravin volentiero triuva



Note

  1. Risaliamo sicuramente al 1386-87, epoca delle grandi differenze tra Cividale ed Udine.
  2. Maresciallo Patriarcale.
  3. La lega risale a quest'anno.
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no fossi per discomplaser agli Veneziani; e disin gli boni homini si egli vorressin a quegli da Cividado e di Savorgnano triuva, no da Udino la convegneressimo far per forza, e no varavi chi elgi facessin altro si no taglar lu nasso di fin a X femini li quali esin di fora da Udino chi in chel hora nissuna femina no oseravi esir per paura chi ello no gli fossi tagliado lo nasso; elgi no podevan ben seselar, ni legni, ni erba, ni carbon, ni nissuna chossa in Udin portar e si disin a quelgi da Udino chi li poveri femini si hanno mantignudo e mantegnino ancora Udino. Prego ti Nicoló, chi tu mostri questa latira agli Deputadi chi egli pigliassino alguno arimedio s'ello ti par.

Prego ti chu tu mi scrivi chi triuva sia tosto. Dio sia cun tey.

Ulvinus de Chanussio.




9. Poesia d'amore.

[Si legge appiè d’un atto di pugno del notajo Nicolò di Colleprampergo, in data d’Udine 27 febbrajo 1397; Arch. notar. d'Udine.]


          Queli ochi honesti pien d-amore
          Si m'án ferito a morte en lu mio core.
   Ed ámi ferito d-un dardo mortale che m-á, pasato
Nisuna midisina no mi vale che da amore son invelenato
Se no'l piacer di voy viso arosato sempre m'apello servitore;
          Queli ochi ecc.
   Per mio servitor may no t'appellar de questo sono certa
Che.se per me porti pene e guay di questo son contenta
Quasi per certo tu m’avia averta1 far no sapesti
Unde porto pene e dolore.
   Dolor ne voy portar dona poy che vi piace
May lu mio cur sempre é vostro servo veraze
May io vi prego dona se vi piace che perdoné a chesto peccatore.
   Né-'l to dire, né-'l to fare, né-'l to marzé chiamare
Non ti val niente, tu debevi l'atro ben pensare che io no era curente,
May voio che tu sapia certamente
Che deli ochi miei no averá rigore.
   Queli ochi son che m-án conducto a morte unde non posso scampare
A mi non vale aiuto ni conforto ne anche marzé chiamare
Se no la morte che me dé iudare, or mi lamento a Dio nostro Signore.



Note

  1. Parole incerte.
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   Amor no ti poss-'io piú celar lu nostro inamoramento
Duta e son tua el no ti po manchar al to intendimento
Io faró se vivo che tu saray contento
Peró ti prego non fare piú remore.
           Queli occhi ecc.



10. Parafrasi poetica dell'Ave Maria.

[Dagli atti di Gio. Paolo de Prioribus, notajo di Venzone; Arch. not. d’Udine.]

1430.


Ave Regina Celi superni celi
Maria voleste parturire quel fructo,
Gracia per dar a tuti noi fedeli,
Plena tu fosti d’ogni don perfecto
Dominus volse per tuti noi salvare,
Tecum habitare nel tuo ventre delecto,
Benedicta sei sopra noi exaltata,
Tu produxesti vita si che simille
In mulieribus mai non fo trovata
Et benedictus ben se po chiamare
Fructus producto senza algun peccato
Ventris tui ussì per morte portare
Ihesus superno el to fiol dilecto,
Sancta mazor tra li beati sempre
Maria vocata ananzi el tuo conspecto
Ora pro nobis o dolze mare pía
Nunc et in hora perfin a la partita
Che de la eterna vita ne dia la via.



11. Lettera d'affari

di un Cividalese al Consiglio di Cividale.

[Dall'orig. in carta, Collez. Joppi]

14371.

[A tergo.] Onorevoly e circumspecty Singory Provededory
               e li Singory del Chonseglo in Cividal detur.

Onorevolly e circumpechty [sic] Singory Provededori el ly Sigory del Conseglo, o receuda una vostra letera 'l qual me face chomandamento che io



Note

  1. La data di questa lettera si desume, oltrechè dal carattere e dall’epoca
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debia pagar el degan di Sent Stefano d'uni porcij li qualy e tolsi de Maur de Sulcit. Singory e o fata la mia rason cum Maur e chun lor in la chaneva de lu Blanch presente Ser Tomas di Ser Adam, lu Blanch bechar, el lu fiol Chulau di Blas di Burul Drega di Masaroly, Lorenc de Blacen; io Chulau si restai a dar a Maur o a li merchedanty marche di soldi xi e fortoni tre ed a questo si e lu vero e di questi denari si diey al Chranger marche ij lu lor compango presente Ser Francil, Simion di Ser Pauly. Item si diey a Jancil lu fiol di Jost di Zegla marche ij per chomandament del det Degan di Sent Sciefin el luni a fo prisint Ser Francil, Simion di Ser Pauli, Nicholo o Sar Daur bechary che io lur diey de lu resto io si lur hai vogludo dar ad esso in Plez quando ely vengir de Sant Martin marche iiij in menary e lo resto un vasel de vino e questo se fo de pato chel y devessy tuo menarii1. Singorij de quel che io deba far mi per la parte mia zoe de marche vii e fortoni tre non se ne partira da me chel voglo pagar e li dise che li non ano da far chun mi. Prego li gracij vostry sel ve piase che el vogla ricever questi denary zoe marchi vii e fortoni tre venga soo che el voglo achordar senza nesuna chustione. Singory e seravi vengudo chun luy su e speto lu Retor de Rosacy marty de sera el me chonven esser chun luy per far ly pocs di e per sentar a rason in perzo che so2 lor Degan e se questo non se po chordar e sero de li poc dí lasú zoe Sabeda. Prego li gracij vostry che me abia per schusado per questa rason.



Note


    in cui vissero i Signori Tommaso di Adamo e Simone di Paolo Formentini di Cividale, da note di mano di ignoto notajo di Cividale, fatte sul rovescio e segnate: 1437, 19 decembre.

  1. Comperare (togliere = pigliare) mannaje.
  2. Sono.