Teatro Historico di Velletri/Libro III/Capitolo I

Libro III - Flagelli Ricevuti

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Libro III Libro III - Capitolo II

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Flagelli Ricevuti.
Cap. I.


L'
Onnipotente, e pietoso Dio, solo Creatore, e Fattore del tutto, amando con amore immenso, et infinito l'huomo tanto ingrato, quanto vile; procura qual Patre benegno, con tutti li mezzi possibili di ridurlo alla vera cognitione della sua Maestà Divina: usando tal volta asprezza de' castighi, e ben spesso dolcezza de' beneficij. E perciò pazzi erano gli Antichi, che accecati nella fallace Gentilità, il bene, et il male lo ricevevano da Giove, e da altri favolosi Dei, da loro scioccamente stimati, e non dal verace, et immortale Dio. E pur'è vero non esservi altro Dio Creator, e Fattor dell'Universo, come disse di propria bocca, e lo registrò Mosè nel Deuteronomio al Cap. 3. dicendo, Videte, quod

[p. 214 modifica]ego sim solus, e non sit alius Deus praeter me, da cui dipende ogni bene, et ogni male, non di colpa, ma di pena, Ego occidam, et ego vivere faciam, percutiam, et ego sanapo; e perciò tutti li flagelli, tanto da Hebrei, quanto da Gentili ricevuti, sono stati, ò castighi di sdegno, ò percosse d'amore, dependenti solamente dalla mano Divina, acciò allontanate le genti da' loro favolosi Numi, aprissero gl'occhi à ricevere il chiaro lume della santa Fede. Questo hanno sperimentato li nostri Cittadini, acciò pentiti de' passati falli, e commessi errori, adorassero il vero Iddio nostro Creatore, e Redentore; ne v'è stata sorte di flagelli, con i quali, in diversi tempi, e più volte non habbia provato, ò lo sdegno ò l'amore di S.D. Maestà. Io non voglio in questo luogo far mentione delle Guerre, perchè vi vorrebbe altro volume; havendo questa nostra Città bellicosa, e pur troppo fiera, guerreggiato anticamente contro Romani, come s'è detto di sopra, et altri Popoli confinanti, in tempo, che non haveva il vero lume della fede, e poi ancora guerreggiato tanto tempo con gl'istessi sotto diversi Ponteficati. Lasciando le Guerre fatte contro Ladislao Rè di Napoli, contro Honorato Caetano Conte di Fondi, e suoi antecessori, contro i Signori Colonnesi, Conti, Savelli, Annibali, et altri Prencipi convicini; delle quali Guerre sono scritture autentiche nella Cancelleria del Magistrato, oltre alle Bolle de' Pontefici di sopra accennate. Trattarò de gl'altri Dardi scoccati dal Braccio Divino, e particolarmente della Peste, che molto hà travagliata, per non dir quasi destrutta questa nostra Città.
La prima stragge di Peste in Velletri, fù (ch'altre prima da Scrittori non sono narrate) nel Consolato 17. Anni CC.LX. dalla fondatione di Roma, essendo Consoli Tito Geganio, e Publio Minutio, e fù così atroce questo flagello, che fece quasi restar la Città priva de' suoi Cittadini, come registra Livio, il quale scrive. Ni Volscos iam moventes Arma, Pestilentiae ingens invasisset, ex Clade conterritis hostium animis, ut etiam nisi eam remississet, terrore, aliquo tenerentur, et Velitris auxerunt numerum Colonorum Romani, et Norbae in Montes novam Coloniam miserunt. Dalle quali parole si doverà argomentare la caggione, [p. 215 modifica]che trattenne li Volsci à mover l'Armi contro Romani, mentre Velletri, Città di loro insigne si ritrovava tanto aggravata dalla Peste.
Dionisio Alicarnasso, fa egli anco mentione d'una crudelissima Peste in Velletri, e tengo che sia l'istessa accennata da Livio, che fece tal stragge de' miseri Cittadini, ch'appena ve ne restò la decima parte, Tanta enim (dice egli) Pestilentia Volscos invasit, quanta in omni hominum memoria, nec apud Graecos fuit, nec apud Barbaros, nulli aetati parcens, vel conditioni, vel sexui, sive in debiles incideret, sive in validos, cuius Cladis magnitudo satis liquere potest ex nobili eius Gentis Urbe Velitris, quae magna prius, et populosa, sic tum exhausta est, ut decima tantum pars incolarum reliqua remaserit, appena vi restò la decima parte de' Cittadini, quasi afflitti mandarono Ambasciatori al Senato Romano, e si fece nuova scelta d'Habitatori per la desolata Città.
Altre Pesti non vi sono state particolari, che l'habbino registrate gl'Autori di quei tempi. E' da pensare però, che mentre Roma n'è stata percossa più volte, per la vicinanza, e commercio, Velletri ancora ne sia stata toccata; come fù nel Consolato XXXV. XLIII. LIV. LXIX. LXXVI. CC.LXV. ne gl'Ultimi Anni di Vespesiano, et altre volte ancora, come si cava da Livio, Dionisio, et altri gravi Autori. L'istesso si potrà asserire ne gl'Anni del Sig. C.LXXII. al tempo di Aniceto Sommo, e santo Pontefice, nell'Anno C.LXXV. essendo Sommo Pontefice San Sotero, come registra Eusebio; così nel D.LXV. vivente Sommo Pontefice Giovanni Terzo, nel D.XC. nell'Ultim'Anno di Papa Pelagio Secondo, qual Peste incrudelì con stragge maggiore per alcuni anni del Pontificato di S.Gregorio Magno; nel DC.LXXXIII. nell'ultimo Anno di Agatone Papa; nel primo di Papa Leone Secondo, quando Pestilentiae ingens Romae, et per vicinas Civitates desevit, scrive Matteo Palmieri; nel M.LXII. sotto Papa Alessandro Secondo, come accenna l'istesso Palmieri, e nel M.CD.XLIX. al tempo di Papa Nicolò Quinto, come Mattia Palmieri, et il Ciaccone registrano. E ben vero, che nel M.CD.LVI. vi fù una Peste sì grave, che li poveri Velletrani furono forzati à [p. 216 modifica]fuggire nelle Terre, e Luoghi vicini, e chi à Civita Lavinia, chi à Valmontone, Segni, Cave, et altri luoghi, come anco altri frà le Selve hebbero ricovero, e scampo, e durò dal Mese d'Agosto sino à tutto Decembre. Anco nell'Anno M.CD.LXXV. per le nostre colpe fù in Velletri una Peste tanto crudele, che forse non havrebbe fatto stragge minore, se la pietosissima Madre di Dio con la sua potentissima mano non havesse liberata questa Città da tal flagello, per il voto fatto alla Santa Casa di Loreto; onde dal Conseglio vi furono mandati Ambasciatori à render le dovute gratie alla Regina de' Cieli per la ricevuta liberatione, con una Corona d'Argento indorata, con ornamenti di Stelle, con molte Gemme, e Pietre pretiose, e con l'Arme della Città, come appare per la Fede del Monsignor Vescovo di Recanati, Luogotenente Generale della Marca, ch'allora si ritrovava in Foligni, e comincia, Universis, et singulis has Praesentes nostras literas inspecturis Fidem facimus, praesertim Magnificis Dominis Novem Bonis Viris, Regimini, et Communitati Inclitae Civitatis Velletri, qualiter, etc. Dat. Fulginei 3. Septembris 1476.

Iustinuanus Falconettus.

Non continuarono li Velletrani nell'emendatione de' loro falli, ma con nuove offese, e forse più gravi, irritarono l'ira Divina, che di nuovo scendè il braccio giusto del castigo con simil sferza di Peste per più Anni, cominciando dal M.CD.LXXXIII. Insin'al M.CD.LXXXVI. come si vede registrato ne' Protocolli dell'Archivio della Città, e vi fece grandissima stragge, intanto, che si facevano gl'Altari da dir Messa per le strade publiche, e per le piazze. Havevano gl'afflitti Cittadini sperimentati gl'effetti della sicura protettione di MARIA Soprana Imperatrice dell'Universo; fecero però preghiere, e voto all'Immacolata Concetione di essa gran Madre di Dio, e subito la languente Città fù da tal flagello affatto liberata, come appare per il seguente Epigramma intagliato in Marmo nella Cappella particolare, et Altare di essa Immacolata Concettione nella nostra Catedrale.
{{Centrato| [p. 217 modifica]Pestilitas quateret miseras cum magna Velitras,}}

Curritur ad Fontes, Virgo Beata, tuos.

Conceptum statuunt votis celebrare precantum

Brumalis Solis, qui statione redit.

O Pietas, subito Pestis fugit anxia, Donum,

Cellula pro meritis, Araque culta datur.

Donde si cava la caggione, et il tempo della Solenne celebratione in Velletri della festa dell'Immaculatissima Concettione, e della Erettione della sua Cappella, et Altare, e perciò doverebbono li nostri Cittadini solennizzarla con altra divotione, e maggior pompa. Non sò, se li raddoppiati falli, overo la scordanza del beneficio ricevuto, fù caggione, che nel M.CD.XCIII. et Anno seguente in Velletri ritornasse la Peste a far l'officio suo; perloche il Popolo doglioso fece di nuovo ricorso alla Gran Madre del Salvatore, et alli SS. Sebastiano, e Rocco, a' quali (non molto tempo doppo) fù fabricata, e dedicata una Chiasa, e ne riceverono la gratia. Ma Dio benedetto che voleva mostrare quanto cara li fosse la salvezza di questo Popolo, di nuovo lo percuotè con l'istessa sferza nel M.D.XXII. sin'al M.D.XXVII. acciò pentiti, et intimoriti dovessero ricorrere alla sua infinita pietà, come si fece, e si ricevè la desiderata salute; ne mai più, per benignità immensa di S.D.M. s'è provato questo flaggello.
E' ben vero, che nel M.D.LXXX. questa Città fù percossa da un'altra infettione contaggiosa, chiamata volgarmente Male del Castrone, per un Catarro, che dal capo discendeva, e dal Petto saliva alla Gola di qualsivoglia sorte di persone, ch'in brevi giorni, soffocandoli, li privava di vita, e fece tal progresso lacrimevole, che tolse alla Città migliara di persone.
Nel M.DC.XXI. venne un'influenza contaggiosa à fanciulli, e fece tale stragge in due, e più Anni, che privò la Città di due mila, e più fanciulli, anzi pigliò tanto vigore, che cominciò à colpire donne, et huomini grandi ancora, e ben spesso ne morivano; era Male Contaggioso, perchè quando cominciava in una casa, ne morivano quattro, e cinque, e talvolta tutti, privando à fatto li Genitori dolenti de proprij parti, e se bramavano salvargli la vita, erano forzati [p. 218 modifica]mandarli fuora di Velletri. Questo era un male, che si faceva nella gola, d'humore falso, che caggionava dentro una Pustula grande quanto una grossa amandola, et anco quanto una ghianda, ove cadendo l'affluenza dell'humore, dava impedimento à poveri fanciulli per qualsivoglia sorte d'alimento, ma più à quelli, che col vigor delle forze non potevano far resistenza al male con gargarismi, et altri rimedij da nostri dottissimi Medici applicati.
L'istesso pietoso Iddio hà adoprato con questa Città anco il flagello della Fame, come credo sperimentasse nell'Anno del Signore D.XXXIX. al tempo di Papa Vigilio quando per l'Italia fù tal Carestia, e Fame, che le genti per non morire, mangiavano le carni humane, cosi narra il Palmieri per parer di Datio Arcivescovo di Milano, Fames (dice egli) per Italiam adeo ingens, ut membra humana comederentur. Nel D.CXIII. essendo Pontefice S.Gregorio Magno; nel DC.IV. ultimo Anno del medesimo S.Pontefice, quando frumenti, et vini aegestas pene per Orbem, ac in Italia maxime, scrive l'istesso; nel DCCC.LXXXIII. ultimo Anno di Papa Giovanni Ottavo; nel M.CCC.XLVI. al tempo di Papa Clemente Sesto. Ma specialmente lo sperimentò questa Città nel M.D.V. essendo Pontefice Giulio Secondo, che fù grandissima Carestia in Italia, e particolarmente in Velletri, dove, come hò letto nel nostro Archivio, si vendeva la decina del Pane sette Carlini, che veniva à pagarse 26. Quattrini la libra, et il Rubio del Grano à raggione di trentadue, in trentacinque Scudi. Nel M.D.XCI. finalmente si sperimentò la fame, se bene non così grande; perchè il Grano si pagava vinticinque, anzi più, Scudi; e li nostri Cittadini Deputati con la loro diligenza, e vigilanza remediarono in parte, con la compra di grano forastiero fatta con qualche violenza, che dà Padroni fù difesa, e da' Ministri comportata.
Con Terremoti ancora hà voluto la mano giusta de Dio mortificar questa Città, ma non ne trovo espressa memoria, se non quanto ne scrive Livio, il quale narra, che nel tempo della Guerra di Cartagine, sotto il Consolato di Marco Servilio Gemino, e di Tito Claudio Nerone, fù in Velletri un Terremoto assai stravagante, non solamente [p. 219 modifica]nella Città, ma nel Territorio ancora, restandone la terra commossa, e sicome in un luogo vi restarono monti di terreno, così in altro vi restarono profondissime caverne, anzi arbori, e vite furono dalla terra ricoperti, et assorbiti; tanto riferisce Livio, In Veliterno agro terra ingentibus cavernis consedit, arboreq. in profundum hausta. E nel Consolato di Sesto Elio Peto, e di Tito Quinto Flaminio l'istesso Autore dice ch'avvenne in Velletri simil cosa di spavento, inalzandosi la terra di tre iugeri1, che contengono tanto, quanto puol arare in tre giorni un paro di bovi, overo come piace à Girolamo Grammatico, tanto, quanto contiene la misura di seicento piedi Romani; e vi restò una profondissima Caverna, Terra Velitris trium iugerum spatio Caverna ingente desederat. Non ne trovo altri particolari; voglio però credere, che nel CCC.XLVIII. essendo Sommo Pontefice Giulio Primo, quando, come registra S. Gerolamo, Tribus diebus, et tribus noctibus Roma nutavit, plurimaeq. Campania Urbes vexata, ch'anco Velletri n'assaggiasse. Qualche segno, oltre alla traditione, CCCC. Anni in circa sono, dimostra che vi sia stata scossa di Terremoto, e fra gl'altri Edificij ne restò offeso il Monastero di S.Martino; onde dalle Monache fù abbandonato il Luogo, et il nostro Convento di S.Francesco, che di presente si vede segnato, onde fù necessario ripararlo con Scarpe, come si fece con l'aiuto della pietosa Città, e d'altre persone divote, che somministrarono le necessarie elemosine.
Trovò di più nel nostro Archivio, che nel M.D.LXXXII. nel giorno di Pasqua, mentre si cantava il Vespero, vennero Terremoti grandissimi, e poco doppo una grossissima grandine, ch'apportò danno notabilissimo alla Città, e mi persuado, che la Tempesta togliesse il furore al Terremoto, il quale cagionò più spavento che danno.
Alcune Siccità grandi ha patito questa Città, come fù quella al tempo di S.Gregorio Sommo Pontefice nell'Anno D.XC.III. quando ne sentì tutta l'Italia, che caggionò universalmente gran Carestia. Una ne trovo registrata ne' Protocolli dell'Archivio della Città, nel M.D.LXII. perchè quell'Estate mai piovè, in tanto che ne restarono molti Campi, e molte Vigne abbruggiate, aride, e secche, s'abbuggiò [p. 220 modifica]tutta la Selva della Faggiola, s'abbruggiarono Armenti, in somma fù di grandiss. ruina; ma il pietoso Dio, riguardando con gl'occhi della sua misericordia quest'afflitta Patria, nel primo giorno d'Ottobre (quando il Cardinal Ridolfo Pio de Carpi venne la prima volta in Velletri) fece larga dispenza delle sue gratie con la bramata pioggia, e dove si temeva di penuria di vino, ne donò una abbondanza insolita, ch'apportò grandissima allegrezza, et insieme maraviglia a' Cittadini dolenti.
Con la Grandine ancora Dio benedetto hà procurato l'emendatione di questo Popolo, e ben spesso n'è stato battutto il nostro Territorio, ò in tutto, ò in parte, il che hà caggionato à Cittadini penuria, ò di Grano, ò di Vino, overo d'Oglio, et altri frutti; ma specialmente per li dieci del Mese d'Agosto dell'Anno M.DC.XXXI. giorno di Santa Chiara, nel quale venne una Tempesta così grande, che rompendo viti, et arbori, privò affatto la Città di vino, e di frutti; e fù così crudele, che non vi è traditione, ò ricordanza di grandine simile, onde passa, e passarà in proverbio, La Grandine di Santa Chiara.
Non voglio tacere li flagelli, che col mezzo de gl'Animali, l'immortale, e benedetto Iddio à mandato à questa Città, particolarmente d'un Lupo arrabbiato, che nell'Anno M.DC.XIII. di Giugno, la notte di S.Giovanni Battista, uccise da trenta, e più persone; perchè bastava, che con li suoi rabbiosi denti (benche leggiermente) havesse tocato un huomo, purchè gli havesse cavato sangue, moriva senza fallo, se non subbito, almeno frà pochi giorni. Uno solamente ne restò vivo per qualche Anno, ma sempre pallido, e discolorito; perchè, essendo la mattina stato ucciso il Lupo, egli se ne mangiò il fegato, e cacciò (come se dice per proverbio) chiodo con chiodo, veleno con veleno, per qualche virtù naturale, et occulta; perchè, come nota Gaudentio Merula2, il sangue di Cane rabbioso libera il morsicato, che ne beve. Un'altra volta, un Lupo fece l'istesso nella contrada di Carciano, territorio di Velletri, ch'ancora se ne conserva memoria, dicendosi per proverbio, Il Lupo di Carciano. Io hò letto, che nè passati tempi un'altra volta un Lupo fece stragge maggiore dell'accennata; non [p. 221 modifica]cito l'Autore, perchè sicome io ero intento ad altri studij, et il Volume mezzo corroso, non pigliai pensiero di usar maggior diligenza.
Li Sorci ancora sono stati instromento del paterno sdegno di Dio, che per le nostre colpe hanno divorato più volte Grani, Legumi, Orzi, et altre Biade con grandissimo detrimento de' poveri Cittadini.
Le Locuste, dette volgarmente Grilli, se non hanno à tempi nostri danneggiato il Territorio Veliterno, almeno li nostri Cittadini sono stati più volte à miei giorni comandati per espressi Commissarij al rimedio.
Le Magnacozze, così da noi volgarmente chiamate, e da Latini Ipses, Vermi, che corrodono gl'occhi delle Viti, hanno fatto molte volte, in diversi tempi tanto danno, che le Contrade intiere del nostro Territorio sono restate senz'Uva. Anzi il Signore Conte Bassi testifica haver veduto un Manoscritto, nel quale stava registrato il Miracolo fatto dal nostro Serafico Padre S.Francesco, nel viaggio di Napoli, quando à preghiere dè Velletrani liberò la Città da questo flaggello, per molti Anni, che poi ritornò di nuovo per le nostre colpe. Gl'incendij sono stati molti anticamente, et alcuni n'ho veduti con li proprij occhi; che voglio passarli sotto silentio, per scriver cose di maggior momento. Basta, che la pietosa mano de Dio hà mandati li accennati Castighi, per utile nostro, acciò dovessimo finire d'offenderlo, et amarlo sopr'ogni cosa, come nostro verace, et infinito bene.

Note

  1. Lo iugero equivaleva a circa un quarto di ettaro, ovvero 2.519 metri.
  2. L'umanista Gaudenzio Merula (1500 - 1555) fu autore di un compendio di eventi memorabili, il Memorabilium libri nel 1544, opera finita sotto censura da parte della Santa Inquisizione, che vide tuttavia una edizione emendata e tradotta in italiano, nel 1559, dal titolo Nuova selva di varia lettione.