Sulle frontiere del Far-West/CAPITOLO XII - Nel mar Morto
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CAPITOLO XII.
I fuggiaschi erano giunti, sempre scendendo, quasi a precipizio, poichè la galleria più non esisteva in quel luogo, dinanzi ad un vastissimo bacino, le cui sponde si perdevano nella profondissima oscurità.
Si sarebbe detto che in quel luogo molti secoli prima, la miniera fosse franata, lasciando un vuoto considerevole e forse di una profondità straordinaria.
Quantunque l’America del Nord non abbia vulcani come quella centrale e quella meridionale, il suo sottosuolo va soggetto, di quando in quando, a delle frane gigantesche che producono dei dislivelli considerevoli.
San Francisco, fondato su terreno tutt’altro che vulcanico, le ha terribilmente provate ultimamente, quando meno se l’aspettava.
— È questo il tuo famoso Mar Morto? — chiese Harry, il quale cercava invano di distinguere l’opposta riva.
— Sì — rispose John.
— Largo?
― Non più di duecento metri, quando io lavoravo in questa miniera.
— Ed ora?
— Ah!... Io non lo so, poichè la mia lampada non proietta la luce molto lontano.
— Tu hai detto che esiste una galleria al di là di questo stagno nerissimo.
— No, un’apertura naturale che s’inoltra fra strati di carbone e che mette sopra un abisso.
— Da dove rivedremo il sole?
— Sì, Harry.
— Allora trovo che tutto va bene.
— Sei facile ad accontentarti tu — disse il gigante, il quale invece non pareva troppo soddisfatto.
— E perchè, John? — chiese lo scorridore della prateria.
— Non odi questi fragori?
— Non sono sordo, almeno per ora.
— Sono torrentacci che si precipitano nel Mar Morto e che finiranno per gonfiarlo. —
Invece di rispondere, Harry si volse verso il gambusino, il quale guardava il bacino senza manifestare alcun turbamento.
— Sapete nuotare? — gli chiese.
— Meglio d’un salmone, — rispose Nuvola Rossa.
— E la vostra protetta?
— Non ve ne occupate: ci penso io.
— Allora di che cosa ti lagni, John? — chiese Harry, rivolgendosi all’indian-agent. — Questo non è già il gran Lago Salato da attraversare.
— Uhm!... Uhm!... Lo vedremo.... — rispose il gigante. — Maledetto uragano!... Non poteva ritardare altre ventiquattro ore? Che sia diventato l’alleato dei pelli-rosse contro i pelli-bianche?
Spogliatevi e badate di non bagnare nè le armi, nè le munizioni, nè le torce d’ocote.
Chi s’incarica di portare una lampada?
— Io! — disse Harry.
— Bada che è la più piena.
— Andrò a fondo, ma la lampada rimarrà a galla col suo olio.
— Sbrigatevi e non perdete i vostri indumenti.
— Li metteremo dentro i nostri sacchi da viaggio.... — dichiarò Giorgio.
Non aveva terminato queste parole, e come i suoi compagni si era già sbarazzato della casacca, quando un fragore spaventevole che non si poteva, lì per lì, sapere da quale parte provenisse, li arrestò.
— Che cosa crolla? — chiese Harry, ritraendosi verso la riva.
John era rimasto silenzioso, cogli sguardi fissi sulle acque del Mar Morto, sulle quali proiettava tutta la luce della sua lampada di sicurezza.
Quantunque la caverna fosse piuttosto fredda, grosse gocce di sudore irrigavano la fronte dell’indian-agent.
Il fragore continuava con una intensità spaventevole e le acque del piccolo lago s’innalzavano, ondeggiando impetuosamente.
— John, che cosa succede? — chiesero Giorgio ed Harry con voce alterata, mentre Nuvola Rossa si caricava sulle spalle Minnehaha, tenendola stretta pei polsi.
— La fortuna che fino a questo momento ci ha protetti, ci tradirebbe ora? — mormorò l’indian-agent.
— Dunque, John, parla! — gridò Harry.
— Temo, amici, che le acque ci blocchino sulle rive del Mar Morto, — rispose finalmente il gigante. — Quest’uragano che infuria al di fuori ci rovinerà.
— E questi fragori?
— Come ti ho detto sono le acque che precipitano attraverso la miniera e che finiranno per riversarsi qui.
— Ed allora? Siamo forse condannati ad affogare qui?
— Mah!... — rispose John, incrociando le braccia.
— Vuoi che accenda una torcia per vederci un po’ di più? — chiese Giorgio.
— Guai a te: sotto le vôlte di questa caverna deve esservi del grisou e non ho alcuna voglia di saltare in aria.
— Che cosa si fa dunque? — domandò il gambusino, il quale cominciava ad impazientirsi. — Attraversiamo sì o no questo stagno?
— Se voi avete fretta, accomodatevi pure — rispose John. — Se anche vi trovaste sull’altra riva credereste di sfuggire alla piena che ci minaccia?
È vero peraltro che il passaggio che deve guidarci fuori dalla miniera si trova da quella parte.
— Allora cerchiamo di raggiungerlo subito — disse Harry.
— E poi?
— E poi saliremo.
— E chi ti assicura che le acque non scenderanno da quel passaggio? Io che l’ho percorso più di una volta so che ha una fortissima pendenza, verso l’alto però.
— Tentiamo, John. Non restiamo qui inoperosi ad aspettare che le acque ci sommergano e che il grisou ci giuochi qualche brutto tiro.
— Siete tutti buoni nuotatori?
— Io e mio fratello sì.
— E voi, gambusino?
— Anch’io — rispose Nuvola Rossa.
— Mi garantite di non perdere nè le armi, nè le munizioni? Un uomo senza il rifle è un uomo morto nella prateria.
— Ti promettiamo tutto quello che vuoi, purchè tu ci faccia raggiungere quel passaggio — soggiunse Harry.
— Andiamo dunque, e facciamo presto.
I quattro uomini gettarono dentro i loro sacchi da viaggio, le vesti e le scarpe, si legarono attorno al collo i fucili, le munizioni e le torce d’ocote, accesero la seconda lampada di sicurezza e scesero verso lo stagno tenebroso, le cui acque, agitatissime, salivano a vista d’occhio.
Da tutte le parti, anche dalla galleria che i fuggiaschi avevano poco prima percorsa, precipitavano torrentacci d’acque nere, saturi di polvere di carbone e producevano, nel rovesciarsi nel Mar Morto, un tal fragore da impedire talvolta a John e ad Harry di poter udire ciò che si dicevano.
Di quando in quando poi si univa anche il rumoreggiare del tuono, ed allora pareva che la vôlta intera di quella parte della miniera dovesse crollare.
L’indian-agent, che teneva la lampada più piena, seguì fin che potè la riva, poi essendosi trovato dinanzi ad una enorme roccia che intercettava ogni passaggio, scese lentamente nello stagno, per non bagnare il suo rifle e le polveri.
Gli altri lo avevano subito seguito, spaventati da tutti quei fragori che aumentavano d’intensità.
Ultimo veniva Nuvola Rossa, che portava sulle robuste spalle Minnehaha.
L’indiano, abituato ad attraversare i fiumi immensi che solcano le sconfinate pianure dell’America centrale del Nord, non pareva che si trovasse molto imbarazzato a portare anche sua figlia oltre il suo bagaglio.
John, tenendo ben alta la lampada di sicurezza, si avanzava rapidamente, seguìto da Giorgio e a breve distanza da Harry che reggeva il secondo lume per far luce al gambusino.
Le acque di quello stagno, forse profondissimo, erano estremamente fredde ed impregnate di polvere carbonifera che i torrenti continuamente trascinavano nel loro corso.
Fortunatamente soltanto alla superficie le acque erano alquanto agitate; guai per i disgraziati se si fossero formate delle forti ondate! Avrebbero corso il pericolo di rimanere all’oscuro, senza sapere poi dove approdare.
La traversata durò una ventina di minuti, sempre fra un tuonare continuo ed un rombare pauroso; poi, finalmente, John pervenne a toccare la riva opposta che pareva fosse a intervalli spazzata da qualche folata di vento.
— È finito il bagno? — chiese Harry, dopo aver aiutato Nuvola Rossa a salire e averlo sbarazzato di Minnehaha.
— Spero di aver preso terra non lungi dal passaggio che deve condurre sull’orlo dell’abisso — rispose John. — Sento il vento che mi soffia sul viso.
— Sono bagnate le vostre armi?
— No, — dissero ad una voce i due scorridori della prateria e Nuvola Rossa.
— Vediamo allora se possiamo subito lasciare questa caverna che pare abbia un gran desiderio di empirsi.
— Come siamo magnifici!... — esclamò Harry, il quale aveva abbassata la lampada. — Si direbbe che abbiamo preso un bagno dentro una vasca piena d’inchiostro.
— Sembriamo quattro negri, — aggiunse Giorgio. — Se gl’Indiani ci incontrassero, scapperebbero senza sparare un colpo di carabina.
— Non scherzate, camerati, — disse John. — Il momento non sarebbe troppo bene scelto.
— Dopo tutto non hai torto, amico, — rispose Harry. — Puoi però concedere a noi, che siamo ben più giovani di te, un momento di buonumore.
Hai trovato il passaggio?
— Uh!... Che furia avete voi, scorridori della prateria.
— Diavolo!... Abbiamo fretta di lasciare questo brutto luogo e di rivedere un raggio di sole.
— O di luna, — disse Giorgio. — La notte deve essere calata a quest’ora.
— Chi ne sa nulla? — soggiunse John. — Io non ho più la nozione esatta del tempo.
Volete seguirmi, invece di chiacchierare continuamente? Meno male se foste dei centronztle1. Almeno quelli si ascoltano volentieri.
— Siamo pronti a seguirti e sopratutto a vestirci, — disse Harry. — Com’era fredda quell’acqua del Mar Morto!... —
John alzò la lampada che ardeva sempre, spandendo una luce abbastanza viva, e guardo le rocce che sovrastavano quasi a piombo sul tenebroso stagno.
— Deve trovarsi là il passaggio, — osservò. — È inutile che vi mettiate le vesti che sono già bene inzuppate. —
Si era voltato per guardare i suoi compagni, proiettando su di loro la luce della lampada, quando fece un salto indietro, levandosi di colpo il rifle che teneva ancora legato attorno al collo insieme alle munizioni.
Un sibilo acuto aveva accompagnato quella mossa, seguìto subito da un colpo sordo prodotto dal calcio ferrato della carabina che percuoteva le rocce carbonifere.
— John!... — esclamò Harry. — Che cosa fai?
— Se io non mi voltavo qualcuno di noi veniva certamente morsicato.
— Da chi?
— Da un serpente a sonagli.
— Ah!... Ah!... Tu vuoi scherzare!... Dei rettili qui!...
— Guarda dunque, incredulo!... —
Harry, Giorgio ed anche Nuvola Rossa, il quale si era affrettato a prendere sulle spalle Minnehaha, si erano curvati verso terra ed avevano potuto vedere un serpente macchiato di nero e di verde, contorcersi dentro una fessura del suolo.
La sua coda, agitata disperatamente, produceva dei tintinnii strani, specialmente ogni volta che urtava contro la roccia.
— Vedi, Harry? — chiese John, abbassando la lampada, essendosi ormai spenta quella dello scorridore della prateria.
— Fulmini!... Un vero crotalo!... Se ci mordeva eravamo perduti.... Come si trovava qui?
— Lo domando a te — rispose l’indian-agent.
— Preferirei aver da fare con un orso grigio, piuttosto che posare un piede sulla testa di questi terribili rettili.
— Ti credo.
— Guarda se ve ne sono altri nascosti fra i crepacci delle rocce.
— E voi tenetevi pronti a schiacciarli coi calci delle vostre carabine.
John perlustrò attentamente tutte le spaccature, facendo cadere la luce della lampada anche dentro le buche, poi si rimise in marcia con infinite precauzioni, risalendo le rocce che contornavano il Mar Morto e che erano quasi tutte di natura carbonifera.
Mentre avanzavano, l’uragano pareva che raddoppiasse il suo furore. I tuoni si succedevano ai tuoni con una frequenza inaudita, ripercuotendosi sempre più spaventosamente dentro la caverna.
In certi momenti giungevano agli orecchi dei quattro uomini perfino le urla diaboliche del vento. Un ciclone imperversava certo sulla prateria, uno di quei cicloni americani che rovesciano in pochi minuti delle città intere, se ne trovano sul loro percorso, e che lanciano in aria animali e uomini.
Dopo cinque minuti di continua salita e discesa, John ricevette in pieno viso una folata di vento che lo fece quasi indietreggiare.
— Siamo dinanzi al passaggio che ci condurrà all’aperto!... — gridò tenendo ferma la lampada per impedirle di oscillare. — Camerati, siamo salvi!...
— Ed a tempo, mi pare — disse Harry. ― Il Mar Morto gonfia a vista d’occhio e le sue rive scompaiono con una rapidità spaventosa.
— Vada ora sotto tutto, anche la miniera, non m’importa — dichiarò l’indian-agent, che, alzata la lampada, aveva scorto un’apertura di forma irregolare, abbastanza ampia però da permettere il passaggio ai fuggiaschi, e dalla quale scendevano, ad intervalli, violentissimi colpi di vento.
— Fuggiamo presto — soggiunse Giorgio, alzando la voce per dominare il fragore del vento e il rumore del tuono. ― Io ne ho abbastanza della miniera ed anche del Mar Morto. Sono nato per la prateria luminosa e verdeggiante e non già per vivere dove si nascondono le talpe.
— Stringetevi a me ― comandò John. ― E tu, Harry, prepara una torcia d’ocote se non sono bagnate.
― Le mie sono asciutte ― disse Giorgio. ― Devo accenderne una?
— Ah! non ora!... Il grisou sta certamente sopra di noi.
― Si va? — chiese Harry.
John si cacciò dentro il passaggio, ma tosto retrocesse così impetuosamente da mandare quasi a gambe levate i compagni che lo seguivano petto contro dorso.
Una imprecazione gli era sfuggita.
— Gl’Indiani? — chiesero ad una voce i due scorridori della prateria, respingendo il gambusino, il quale cercava di farsi innanzi con Minnehaha.
— In ritirata e subito, — rispose il gigante, con voce alterata.
— Hai veduto Belzebù? — chiese Harry.
— Venti, cinquanta, forse cento Belzebù.
— Sei diventato pazzo, John?
— Vuoi andare avanti? Io ti cedo il posto, — rispose John, retrocedendo ancora bruscamente.
— Eppure io non vedo nulla. Non vedo nemmeno l’acqua scendere, come tu temevi.
— Allora ti dirò che la galleria è piena di serpenti a sonaglio. —
Un triplice grido di spavento aveva accolto la risposta del gigante.
— In ritirata!... — comandò John, con voce imperiosa. — Il passo è chiuso da quei maledetti rettili, che l’uragano ha cacciato di certo lì dentro.
— Fuggiamo!... — gridarono i due scorridori della prateria, ridiscendendo di corsa verso il Mar Morto.
John, Nuvola Rossa e Minnehaha li seguirono, non osando tentare una battaglia con quei velenosissimi rettili, che per potenza mortifera nulla hanno da invidiare al formidabile cobra capelo delle Indie Orientali od al serpente del minuto della penisola Indo-cinese.
— John, — disse Harry, dopo d’aver respirato a lungo — sei ben sicuro di averli veduti?
— Come vedo te, — rispose l’indian-agent.
— Erano molti?
— Ne ho veduti dei gruppi.
— Che cosa facevano?
― Sonnecchiavano, probabilmente in attesa che l’uragano si calmasse.
— Non si potrebbe snidarli?
— In qual modo? Ci vorrebbero dei fasci di legna che noi qui non possiamo trovare.
— Così dovremo rimanere fra queste rocce e bloccati dalle acque! — esclamò Harry.
Il gigante fece un gesto di scoraggiamento e non rispose.
— Che aumenti ancora il Mar Morto? — insistette Harry.
— Se l’uragano non cessa, il suo livello aumenterà sempre, — rispose John. — Non odi lo scrosciare di tutti questi torrenti che si rovesciano nello stagno?
— E annegheremo?
— Domandalo al Mar Morto.
— Morte e dannazione!... Essere giunti fin qui ed ora dover tornar indietro!...
— Dove?
— Nella miniera.
— La galleria che abbiamo attraversata sarà già allagata. Non contare più su quella, camerata.
— Allora dovremo morire, ― disse Nuvola Rossa, il quale stava lisciando i capelli a Minnehaha.
— Chi può dirlo? ― rispose l’indian-agent, con un gesto di rassegnazione.
— E le acque continuano a salire, — disse Harry.
— E l’uragano non accenna a diminuire — aggiunse Giorgio.
Fra i quattro uomini regnò un lungo silenzio, rotto solo dai muggiti delle acque e dal rombo incessante dei tuoni.
John guardava intorno a sè, proiettando la luce della lampada in tutte le direzioni. Pareva che cercasse qualche cosa.
— Vi è una roccia che s’alza di parecchi metri e che mi pare raggiunga quasi la volta della caverna, ― disse finalmente. — Rifugiamoci lassù ed aspettiamo che le acque si ritirino o che ci affoghino.
Sbrighiamoci, amici: forse salveremo la pelle. —
Note
- ↑ Specie di usignuoli.