Sulle frontiere del Far-West/CAPITOLO XI - Nelle viscere della terra
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CAPITOLO XI.
I quattro uomini lasciavano scorrere la doppia catena, sostenente la botte, più rapidamente che era possibile, per raggiungere il fondo della miniera prima che i terribili guerrieri rossi, i quali dovevano aver seguite le loro tracce, giungessero sulla spianata.
John, il più pratico, dirigeva la manovra, raccomandando a tutti di stringere forte le mani. Guai se le catene fossero sfuggite!... Quale spaventevole capitombolo nelle viscere della terra!... Nessuno certamente si sarebbe salvato.
— Allentate adagio, — non si stancava di ripetere. — Lasciate che il ferro strappi piuttosto i calli ed anche la carne viva!... —
La botte, o meglio la gabbia, come la chiamano i minatori, continuava la sua discesa nel pozzo tenebroso, poichè l’indian-agent aveva proibito severamente di accendere le torce di ocote che il prudentissimo Giorgio non aveva mancato di portare con sè, insieme allo zampone d’orso.
L’eco d’un galoppo furioso interruppe, per un istante, la discesa.
— Gl’Indiani? — chiese Harry, a cui non garbava troppo quella discesa fra quella profonda oscurità.
— Devono essere i nostri cavalli che scappano, — rispose John, con un sospiro.
— Fuggiranno dinanzi ai pelli-rosse.
— Certamente.
— Se quelle canaglie giungessero prima di aver compiuta la nostra discesa e tagliassero le catene?
— Buona notte a tutti, però io non credo che quei vermi siano ancora giunti. Tenete sempre salde le catene!...
— Scendiamo all’inferno?
— Fra poco toccheremo il fondo.
— Se gli altri giungono, ci accopperanno sotto una grandinata di pietre.
— Taci: non posso udire le loro grida.
— Lasciami accendere una torcia, John, — disse Giorgio. — Questa oscurità mi fa paura.
— No!... —
L’indian-agent, pur parlando, contava:
— Venti, cinquanta, cento, duecento.... ancora un po’.... non si sarà sprofondata, spero. —
Un urto violento che li gettò gli uni addosso agli altri, e che strappò un grido a Minnehaha, successe ad un certo momento.
— Lasciate le catene!... — gridò l’indian-agent. — Giorgio, accendi pure una torcia.
Quante ne hai nel tuo sacco?
— Sette.
— Speriamo che bastino. Cercheremo di economizzare la luce più che potremo. —
Il fratello di Harry trasse dal suo sacco da viaggio, che non aveva dimenticato di portare con sè, la scatola di latta contenente l’acciarino e l’esca ed una torcia che in pochi istanti accese.
I quattro uomini avevano raggiunto il fondo della miniera e si trovavano all’entrata d’un vasto piazzale dove si scorgevano confusamente delle costruzioni cadute in rovina ed un gran numero di vagoncini che un tempo dovevano aver servito al trasporto del carbone dalle più lontane gallerie.
― Uscite tutti o la catena vi ammazzerà, — disse John.
— Che cosa vuoi fare? — chiese Harry.
— Impedire agl’Indiani di scendere fino a noi.
— Facendo cadere la catena?
— L’ho sciolta appositamente dal verricello.
— E dopo? Come saliremo noi?
— Lascia fare a me: presto!... Odo il galoppo dei vermi rossi. —
Nuvola Rossa, la giovane indiana ed i due scorridori scavalcarono la botte, avanzandosi verso il piazzale della miniera.
Non avevano percorsi dieci passi, quando udirono un rombo sonoro che si ripercosse fragorosamente entro le tenebrose gallerie.
John aveva ritirato uno dei due capi della catena ed aveva lasciato precipitare l’altro da un’altezza di due o trecento metri.
— Vengano a trovarci ora, — disse il gigante. — Se vogliono tentare il salto, non saremo noi che glielo proibiremo. —
Si arrestò un momento, tendendo gli orecchi. Quantunque il rombo non avesse ancora cessato di propagarsi nelle lunghissime gallerie, udì abbastanza distintamente le grida dei pelli-rosse.
― Saranno assai stupiti di non trovarci più, — soggiunse. Ci cerchino pure. —
In pochi salti raggiunse i compagni, i quali si erano fermati dinanzi alle baracche non sapendo da qual parte dirigersi.
— John, — disse Harry — considerami come un cieco.
— Ho però io la vista buona e la memoria migliore, — rispose li gigante. — È la galleria numero tre che noi dovremo prendere se vorremo rivedere il sole.
— Esiste forse un’altra uscita?
— Diamine!... Vorresti tu che io avessi lasciata cadere la catena per farvi morire tutti di fame in fondo a questa miniera? Come avremmo potuto risalire ora che la gabbia non serve più?
— Toh!... Non ci avevo pensato. Dove mette dunque quella galleria numero tre?
— Sbocca presso l’orlo d’un burrone a parecchie miglia da qui.
— Vi è anche là una gabbia?
— Non fu possibile collocarla, poichè l’abisso avrebbe reso troppo costoso e difficile il trasporto del carbone.
E poi non occorre arrampicarsi, non essendovi colà un vero pozzo. Un pericolo però c’è ancora.
— Quale?
— Che forse incontreremo molta acqua, poichè la galleria numero tre è la più bassa delle quattordici che sono state aperte, ed è anche la più umida.
— Ci getteremo a nuoto.
— Ah!... Corna di bisonte!...
— Che cos’hai ancora, John? — chiesero i due scorridori della prateria, vedendo il gigante piantarsi in mezzo al cranio due pugni formidabili.
— Ed il grisou? Noi possiamo incontrare quel gas maledetto e scatenare uno spaventevole uragano di fuoco che ci carbonizzerà.
Se non troviamo qualche lampada di sicurezza sarà un affare serio inoltrarci con delle torce d’ocote.
È vero che io ho fatto anche il fereman e che quel gas so trattarlo.
Vediamo!... Può darsi che delle lampade siano state dimenticate dentro queste baracche, come non sarà impossibile trovare qualche fiasca d’olio.
Giorgio, dammi innanzi tutto la torcia e vediamo se vi sono tracce di grisou.
Se la fiamma si allarga e diventa azzurrognola vi consiglio a non fare un passo avanti. —
Siccome il terribile gas tende sempre a raccogliersi verso le vôlte, John, che era il più alto di tutti, spinse in aria la torcia fin che potè, osservando attentamente la fiamma.
— Finora nulla, — disse. — È vero che siamo vicini al pozzo. Sarà nelle gallerie più lontane che potrà giuocarci un brutto tiro. —
Entrò nelle baracche, costruite parte in legno e parte in lamiera, che dovevano aver servito ai guardiani della miniera, e le percorse tutte, inciampando di frequente fra ammassi di tavole e di travi cadute dall’alto.
Un grido di trionfo avvertì i due scorridori e Nuvola Rossa che quello che John cercava era stato trovato.
— Una sola, ma ci basterà, — gridò l’indian-agent, ricomparendo.
Teneva in mano una lampada semplicissima, fornita d’una specie di tubo formato di filo metallico piuttosto fitto.
Era la famosa lampada di sicurezza Davy, alla quale milioni e milioni di minatori devono una eterna riconoscenza, poichè impedisce al grisou di mettersi al contatto colla fiamma e d’incendiarsi.
— Bell’affare!... — esclamò Giorgio, con un certo disprezzo.
— Tu non sai quanto sia preziosa questa lampada, camerata, — osservò John, con voce grave. — Senza di questa non ti garantirei la nostra uscita dalla galleria.
Ora possiamo avanzarci tranquillamente, senza esporci al pericolo di venire, da un istante all’altro, scaraventati in aria fra un uragano di fuoco.
— È almeno piena? — chiese Harry, che aveva già udito parlare delle lanterne usate dai minatori.
— Pienissima, ma non l’accenderemo che più tardi, ossia solamente quando ci accorgeremo della presenza del grisou.
Volete seguirmi?
— Un momento, — disse il gambusino. — Non ci smarriremo noi nelle viscere della terra?
— Vi ho detto che conosco la miniera, — rispose John. — Ho lavorato qui dentro.
— Avrei preferito continuare la corsa sul mio cavallo.
Non ho mai amato l’oscurità io, poichè l’oro non si trova a grandi profondità.
— Se non ci aveste seguiti, a quest’ora la vostra capigliatura farebbe bella mostra sullo scudo di qualche guerriero.
— Poteva accadere anche quello, — rispose il capo dei Corvi, accompagnando le parole con una specie di grugnito. — Ma io non credo di avere salvata la mia pelle, nè quella della fanciulla che mi avete affidata, poichè dubito molto di poter uscire vivo da questa miniera.
— Potevate rimanere entrambi fuori del pozzo, — disse John, impazientito. — Harry, Giorgio, seguitemi.
Chi vuole rimanere qui, si accomodi pure. —
Nuvola Rossa guardò Minnehaha, la quale conservava la sua solita impassibilità, poi si decise a seguire il gigante ed i due scorridori della prateria, tenendo per mano la figlia.
Attraversato l’ampio piazzale sul quale mettevano capo tutte le gallerie diramantisi sotto la sierra Escalada, tutto ingombro di rotaie di ferro, di vagoncini, di cataste di legname destinato alle armature, John si fermò dinanzi ad una apertura larga a malapena due metri ed alta qualche centimetro di più, ed alzò nuovamente la torcia, guardando la fiamma.
— No, — disse. — Nemmeno qui si è accumulato il grisou. —
Un numero il tre, dipinto in bianco, si distingueva ancora sulla prima trave che serviva di principio all’armatura.
— Ora sono sicuro del fatto mio, — dichiarò il gigante. — Purchè la grande fossa che i minatori hanno chiamato il Mar Morto non sia piena, noi passeremo.
Avanti, camerati!... Siamo sulla buona via!... —
Si erano messi in marcia l’uno dietro l’altro, poichè la galleria era ingombra di enormi pezzi di carbone che i minatori avevano abbandonati, e di carretti pieni di combustibile, o rovesciati contro le pareti.
Qualche grave sinistro doveva essere avvenuto, molto tempo prima, in quella parte della miniera, poichè, di quando in quando le armature pendevano come se fossero state violentemente strappate.
Probabilmente il grisou ne aveva fatta una delle sue, dovuta all’imprudenza di qualche minatore od alla rottura accidentale di qualche lampada di sicurezza.
John, che stava molto attento aveva notato tutte queste cose ed aveva rallentata la marcia. Di quando in quando anzi si fermava e spingeva in alto la fiaccola, ma la fiamma si manteneva tranquilla e non accennava a cambiare tinta.
— E dunque, John? — chiese ad un certo momento Harry, vedendo che il gigante pareva esitasse. — È sempre la paura del grisou che ti inquieta?
— Sì, camerata, — rispose l’indian-agent. — Io non ho mai amato quella brutta bestia che ti scoppia in faccia e ti brucia, o meglio, ti strappa gli occhi e t’incendia le vesti.
— Accendi allora la lampada.
— La via che dobbiamo percorrere è lunga e non avremo olio che per quattro o cinque ore al massimo.
Serbiamola per quando ci troveremo di fronte a quelle maledette polveriere. —
In quell’istante giunse ai loro orecchi un rumore lontano, che, a poco a poco, si propagava con maggiore intensità, nelle viscere della sierra.
— Che cos’è? — chiesero i due scorridori della prateria, impallidendo, mentre Minnehaha si stringeva a Nuvola Rossa.
— Questo deve essere il tuono, — rispose l’indian-agent, dopo di aver ascoltato qualche po’ — È la stagione degli uragani questa, lo sapete bene.
— Credevo che il rumore fosse causato da qualche cos’altro, — disse Harry.
— E come, se la miniera non è più frequentata da parecchi anni?
— Ciò non t’inquieta allora.
— Sì e no, — rispose John. — Penso sempre al Mar Morto.
— Che si gonfi?
— Chi lo sa? Vedremo più tardi. Intanto andiamo innanzi.
— È lontano?
— Spero di giungervi fra qualche ora. Tieni anche tu gli occhi fissi sulla fiaccola e sii pronto ad avvertirmi se si allarga la fiamma. —
Ripresero il cammino, salendo e scendendo i mucchi di carbone che s’incontravano dovunque in grande abbondanza.
Avevano percorsi altri cinque o seicento passi, quando John trovò, sospesa ad un chiodo infisso in una fessura della parete, un’altra lampada di sicurezza, la quale conteneva ancora una discreta provvista d’olio.
— Ecco un’altra fortuna che ci capita, — disse.
— Ed a tempo, — aggiunse subito Harry.
— Perchè?
— Spegni!... Spegni!... La fiamma della torcia diventa azzurrognola.
— Fulmini!... Un momento solo. —
Il gigante si gettò a terra abbassando la ocote, accese la lampada che aveva trovata e spense la fiamma dentro un rivoletto d’acqua nerastra che scorreva lungo la parete destra.
— Sei proprio certo, Harry, — chiese — di aver veduto la luce cambiare?
— Sì, John.
— L’ho veduta anch’io, — disse Giorgio.
— Mi aspettavo d’incontrare in qualche luogo quel maledetto grisou. Quale disgrazia se non avessimo trovate queste due lampade! Potevamo saltare, senza nemmeno avere il tempo di gridare aiuto.
— Preferisco scorrazzare per le praterie cogl’Indiani alle spalle, — dichiarò Giorgio. — Non vivrei un mese dentro questi abissi tenebrosi. —
John alzò la lampada, quella mezza vuota, volendo conservare la piena pei momenti estremi, e dopo di essersi ben assicurato che la reticella di ferro non aveva alcuno strappo, diede nuovamente il segnale della partenza.
La galleria cominciava ad allargarsi ed a scendere rapidissima.
A destra ed a sinistra si aprivano, di quando in quando, degli antri tenebrosi entro i quali si udivano scrosciare, con dei muggiti impressionanti, dei torrenti.
Intanto i tuoni continuavano a ripercuotersi nell’ampia miniera, propagandosi di galleria in galleria con velocità notevole.
Pareva che alla superficie della terra infuriasse, in quel momento, un terribile uragano.
I quattro uomini e Minnehaha avevano fatto un altro tratto di cinque o seicento metri, quando la galleria che fino allora si era mantenuta abbastanza asciutta, divenne improvvisamente umidissima.
Attraverso le armature quasi marcite, scendevano goccioloni e goccioloni, i quali accennavano a diventare sempre più larghi e più abbondanti.
Anche lungo le pareti l’acqua scendeva abbondantissima e si raccoglieva in torrentelli, i quali precipitavano rumoreggiando sinistramente.
— Ecco la parte più pericolosa della miniera, — disse John, il quale si avanzava sempre di buon passo. È stata la prima ad essere abbandonata in causa delle frane, delle filtrazioni e della soverchia abbondanza del grisou.
Guai a chi accende la pipa!... Siete avvertiti!...
— Eppure una fumata si farebbe volentieri fra tanta umidità, — osservò Giorgio.
— Più tardi ti riprenderai la rivincita.... Ah!... Siamo alla fine.... Il Mar Morto non deve esser lontano. —
Alla luce della lampada aveva potuto leggere su una trave incastrata solidamente fra le due pareti della galleria, a lettere rosse, le seguenti parole:
«Passaggio proibito: grisou».
Il passo si era improvvisamente allargato e non si scorgevano più armature. Le pareti erano franate e presentavano dovunque degli immensi squarci.
Qualche tremendo scoppio, dovuto al maledetto gas, doveva essere avvenuto e forse chissà quante vittime aveva anche fatto.
― Scendiamo all’inferno? — chiese Harry, vedendo che la via precipitava.
— Señor,― disse Nuvola Rossa, raggiungendo John. ― Non ci condurrete voi verso la morte, anzichè verso la luce?
— Perchè dite questo? ― chiese il gigante. ― Finora non siete morto, mi pare.
— La fanciulla ha paura. —
L’indian-agent alzò le spalle.
— Poteva far a meno di seguirci, ― disse poi. — Mi sorprende anzi come non mi abbia chiesto di rimanere fra i suoi compatriotti, i quali non l’avrebbero certamente scotennata.
— Se è vostra prigioniera!...
— Ma chè!... È una seccatura per noi, poichè finora non ci è stata di nessuna utilità.
Se ella non vuole seguirci, torni indietro, provi a risalire il pozzo e ritrovi i Chayennes.
È agile come una scimmia e potrebbe riuscirvi.
— Sì, sarebbe come ucciderla, ― disse il gambusino, coi denti stretti. — Giacchè voi non volete incaricarvi di questa piccina, veglierò io su di lei.
— Fate come volete, purchè non ci secchiate più con quella monella.
Avanzate adagio: la via è franata e potrebbe finire in qualche crepaccio e rompervi.... Corna d’alce!... Non udite che le acque muggono dinanzi a noi?
— Sì, — rispose Harry.
— Non mancava che l’uragano per venire a guastare le nostre faccende.... Alto, camerati: ecco il Mar Morto!... —