Storie fiorentine dal 1378 al 1509/IV
Questo testo è completo. |
◄ | III | V | ► |
IV.
La cittá di Firenze, come di sopra si è detto, era governata per le mani di Lorenzo de’ Medici, e lui era capo dello stato; el quale, benché apresso di sé avessi un numero di cittadini nobili e prudenti ne’ quali si distribuivano gli onori della cittá e si trattavano le cose di importanza, nondimeno in molte cose seguitava solo el suo consiglio e parere contro alla voluntá degli altri e teneva precipua cura che nella cittá non si facessi alcuno si potente che lui avessi cagione da temerne.
Era allora in Firenze la famiglia de’ Pazzi ricchissima piú che alcuna altra della cittá, ed aveva trafichi in molti luoghi del mondo, e di qui era in grande riputazione in molte parte di Italia e fuori di Italia; era nobile nella cittá e con parentado grande ed uomini molto magnifichi e liberali, e nondimeno non avevano mai in alcuno tempo avuto molto stato, per essere tenuti troppo superbi ed altieri, la quale cosa gli uomini in una cittá libera non possono comportare; pure la nobilitá, el parentado, le ricchezze ed el distribuirle largamente, faceva loro credito ed amici assai. Capo di questa casa era messer Iacopo, uomo d’assai riputato e tutto da bene, se si gli fussi levato el vizio di giucare e bestemmiare; era sanza figliuoli, e per questo rispetto tanto piú tutta la casa concorreva a lui per valersene ed in vita e doppo la morte. Aveva molti nipoti, fra’ quali uno, figliuolo di messer Piero suo fratello, si chiamava Renato, tenuto uomo savio e di piú cervello che alcuno che fussi in casa, e, fuora del solito della famiglia, benvoluto dal popolo. Un altro chiamato Guglielmo, figliuolo di Antonio, aveva per donna una figliuola di Piero di Cosímo, e cosí veniva a essere cognato di Lorenzo; un altro vi era, chiamato Francesco, pure figliuolo di Antonio, quale era sanza donna, uomo molto inquieto animoso ed ambizioso; stavasi a Roma el piú del tempo e teneva amicizia grandissima con quegli prelati e massime col conte Girolamo, nipote di papa Sisto, ed a chi el papa aveva dato Imola e Furli.
Pareva a Lorenzo de’ Medici che questa casa fussi troppo grande e che, ogni favore che si gli dessi, crescerebbe tanto che sarebbe pericolosa allo stato suo; e però negli onori e magistrati della cittá gli teneva adrieto, né dava loro quello grado si sarebbe convenuto. Cominciorono di qui a gonfiare gli animi, a scoprirsi gli odi e le emulazione, a crescere e’ sospetti; e tanto piú quanto, sendo Lorenzo malvoluto da papa Sisto e dal conte Girolamo, gli vedeva essere favoriti dall’uno e l’altro. Il che era nato, perché quando Sisto fu fatto papa, avendosi a vendere Imola, Lorenzo, desideroso che la cittá comperassi Imola e considerando che per essere el papa nuovo nello stato, non aveva danari da comperarla se non ne fussi servito o da sé che era suo depositario, o da’ Pazzi che erano sua tesorieri, gli pregò non lo servissino di danari, acciò che non la potendo comperare el papa, Imola venissi nelle mani nostre. Loro lo promessono, e poco di poi servirono el papa per questa compera di ducati trentamila e rivelorono a lui ed al conte Girolamo la richiesta fatta loro da Lorenzo; di che el papa sdegnato, gli tolse la depositeria che gli era di grande utilitá, e Lorenzo si dolse assai de’ Pazzi, e caricògli, avendo presa onesta, che per opera loro la cittá non avessi avuto Imola. Ed in effetto augmentandosi ogni di piú questo umore maligno, e Lorenzo pensando continuamente che non crescessi in loro ricchezza o grandezza, fece nel 76 fare una legge disponente delle ereditá ab intestato, per vigore della quale e’ furono privati di una ereditá d’una donna de’ Borromei che, secondo la interpretazione di una legge antiqua, aparteneva loro.
Concepéronne di questo e’ Pazzi grandissimo sdegno; in modo che Francesco, quale per essere di statura piccola si chiamava volgarmente Franceschino, che quasi del continuo stava a Roma, cominciò a tenere pratica col conte Girolamo di tórre lo stato a Lorenzo, persuadendo el conte che, sendo Lorenzo suo inimicissiino, come fussi morto papa Sisto, lo perseguiterebbe tanto gli tòrrebbe lo stato di Romagna. Aggiunsesi a questo trattato messer Francesco Salviati arcivescovo di Pisa, el quale, quando era in minoribus sendo vacato lo arcivescovado fiorentino Farebbe ottenuto con favore del pontefice, se non che Lorenzo colla autoritá publica si gli oppose e fu cagione fussi dato a messer Rinaldo Orsini cognato suo; e di poi vacando quello di Pisa, ed avendolo impetrato dal papa, e dispiacendo a Lorenzo, penò tempo assai innanzi ne potessi conseguire la possessione, e per questa offesa era inimicissimo a Lorenzo.
Costoro praticando insieme e’ modi a fare tale effetto, si risolverono che el muovere guerra alla cittá non fussi a proposito per essere cosa lunga pericolosa ed incerta, ed inoltre perché non mancherebbe alla cittá lo aiuto di qualche potentato di Italia; ma che era una via sola, di amazzare Lorenzo, il che pareva facile, perché lui andava solo disarmato e sanza sospetto alcuno di simile insulto; e massime sperando che, morto Lorenzo, non mancherebbe loro favori, perché oltre al parentado e potenzia loro, credevano che el popolo, pel desiderio e speranza della antica libertá, gli avessi a seguitare. Faceva in questa conclusione difficultá Giuliano fratello di Lorenzo, perché a amazzarlo insieme con Lorenzo era tanto piú difficile, e rimanendo lui non era fatto nulla, perché gli era bene voluto dal popolo, ed inoltre perché avendo e’ cittadini dello stato un capo a chi ricorrere, si pensava piglierebbono le arme e seguirebbero. Conchiusono adunche aspettare tanto che uno di loro fussi fuora della cittá, e tanto piú quanto credettono avessi a essere presto, perché era voce che Giuliano toglieva per donna una figliuola del signore di Piombino, e pareva ragionevole che, togliendola, dovessi andare a Piombino a vederla. Di poi, non succedendo questo parentado, stettono in espettazione che Lorenzo, come aveva dato intenzione, dovessi andare a Roma, con disegno mentre era in Roma di amazzare Giuliano, e che Lorenzo fussi ritenuto. Risolvendosi anche di poi questa speranza, e dubitando che per essere la pratica in bocca di molti non venissi a luce, conchiusono essere necessario non aspettare piú e amazzargli tutt’a dua col modo ed ordine che di sotto si dirá.
Concorreva in questo trattato non solo el conte, ma eziandio la santitá del papa ne era conscia e lo desiderava, benché per rispetto dello onore suo faceva menare el trattato al conte Girolamo. Concorrevaci eziandio el re Ferrando, quale, sendo confidatissimo ed in grande intelligenzia col pontefice, si era sdegnato che lo stato di Firenze si fussi aderito e collegato con Vinegia e Milano, e si persuadeva, mettendo uno stato nuovo in Firenze, aversi a valere di quella cittá a modo suo, e di poi, rispetto alla potenzia ed autoritá sua, a quello si poteva promettere del papa, alla oportunitá di questa republica, avere a essere quasi arbitro di tutta Italia, vedendo massime morto el duca Galeazzo; quale se fussi stato vivo, non sarebbe el re entrato in questi farnetichi. Concorrevaci Federigo duca di Urbino, per essersi molti anni innanzi interamente dato e dedicato al re; aggiugnevasi la oportunitá di Cittá di Castello, di che sotto governo della Chiesa era capo messer Lorenzo Iustini da Castello, conscio e fautore di questa pratica ed inimico di Lorenzo, per avere lui sempre favorito messer Nicolò Vitelli da Castello suo avversario.
Questi tanti favori non solo accesono l’arcivescovo e Franceschino, uomini animosi ed inquieti, ma eziandio lo persuasone a messer Iacopo, el quale ci era stato un pezzo freddo e renitente, non perché non avessi odio grande verso Lorenzo, ma perché piú maturamente considerava quanto la cosa fussi´ pericolosa e difficile e quanto bello stato e ricchezza e’ mettessi in sul tavoliere. Risolvendosi adunche mettere a effetto el loro pensiero, ed essendosene lo arcivescovo, secondo lo ordine, ito a Pisa, Franceschino a Firenze, Giovan Francesco da Tollentino se ne andò in Romagna nello stato del conte, e messer Lorenzo ne andò a Castello, ciascuno di loro due con ordine di venirne el di deputato con cavalli e fanterie verso Firenze.
Fatti questi preparamenti secondo e’ disegni loro, parti da Pisa d’aprile 1478 el cardinale di San Giorgio, fratello o vero nipote del conte Girolamo, che vi era a studio, non conscio per la etá di questo trattato, e sotto nome di andare a Roma, venne a alloggiare a Montughi al luogo di messer Iacopo de’ Pazzi; di poi, innanzi che entrassi in Firenze, sendo convitato da Lorenzo, andò a Fiesole a desinare al luogo suo; e fu el consiglio de’ congiurati dare quivi effetto a tanta opera, ma non eseguirno, rispetto che Giuliano, sentendosi indisposto, non vi venne. Differirono adunche per a Firenze, dove entrato el cardinale, ed avendo la domenica mattina a dì ..... a desinare con Lorenzo, parve loro non fussi tempo farla in casa di Lorenzo, dubitando che Giuliano non vi mangierebbe, e presono partito per la mattina alla messa, in Santa Liperata1 che si ordinava cantare solenne, e dove non facevono dubio s’aveva a trovare Lorenzo e Giuliano.
Venne adunche el cardinale alla messa, accompagnato dall’arcivescovo Salviate, da Giovan Batista da Montesecco condottare del conte e che era quivi per quella opera, e da molti perugini, tutti venuti a quello effetto; e come el prete che cantava la messa si communicò, subito, come era dato lo ordine ed el segno, Franceschino de’ Pazzi che andava per chiesa a braccia con Giuliano, l’assaltò ed amazzollo. Da altro canto un ser Stefano cancelliere di messer Iacopo con alcuni altri furno adosso a Lorenzo e non bastando loro interamente l’animo, lo ferirono in sulla spalla; lui si cominciò a discostare e, tratto fuori un pugnale, a difendersi, e concorrendovi brigata, cominciò a ridursi in salvo, ed in quello furore fu morto Francesco Mori che era seco; finalmente Lorenzo, con aiuto di chi era a torno e de’ preti, fu condotto vivo in sagrestia e, chiusa la porta, guardato non potessi essere morto.
Mentre che queste cose si facevano in chiesa, l’arcivescovo, che poco innanzi si era partito accompagnato da molti parenti ed amici, de’ quali la piú parte non sapeva nulla, ed alcuni sua fidati e perugini, era ito in palagio per occuparlo, sotto colore di volere visitare la signoria; messer Iacopo era in casa a ordine per montare a cavallo e, correndo per la cittá, gridare «libertá» per sollevare el popolo. Non successe in palagio el disegno allo arcivescovo; anzi, volendo fare violenzia, fu ributtato e rinchiusesi in certe stanze che vi sono, da se medesimo; di che la signoria, veduto questo tumulto, fece serrare le porte del palagio, con animo di guardarlo e difenderlo da ciascuno. Sopravenne intanto messer Iacopo, e vedendo la porta chiusa volle sforzare el palagio; ma fu ributtato da’ sassi che erano gittati da e’ ballatoi.
Era in questo mezzo corso el romore per la cittá, e benché in quel principio ognuno fussi spaventato, pure intendendosi Lorenzo essere vivo ed el palagio essere assaltato e difendersi, gli amici dello stato ripresono vigore e, prese le arme, parte ne andò a soccorso del palagio, parte in Santa Liperata a cavarne Lorenzo e conducerlo vivo a casa. El popolo ancora, parendogli lo amazzare Giuliano, che aveva benivolenzia, stato uno atto molto brutto e contra ogni civilitá, massime in chiesa in di solenne; e vedendo el palagio per quella parte, e la vittoria aviarsi di lá, e parendo che el volere occupare el palagio fussi un volere occupare la libertá, cominciorno a correre per la terra, gridando «palle palle», ché tal segno ha l’arme de’ Medici; in modo che sendo el concorso universale per Lorenzo, messer Iacopo si fuggí fuora di Firenze e gli amici di Lorenzo insignoriti dello stato cominciorno a usare la vittoria.
Fu preso lo arcivescovo, che, come dissi, era rinchiuso in palagio, e subito fu impiccato alle finestre del bargello; fu impiccato con lui Iacopo suo fratello, consapevole di ogni cosa; fu impiccato un altro Iacopo Salviati, el quale era stato piú anni inimico dello arcivescovo, e di poi riconciliatosi, non sapendo nulla, per la sua mala sorte l’aveva la mattina accompagnato in palagio; furono impiccati tutti quegli perugini ed armati erano seco, ed in tanta confusione e furore alcuni etiam innocenti. Fu preso Francescano, che sendosi per la furia ferito da se medesimo in uno calcagno e però non avendo potuto fuggirsi, si era ridotto in casa, donde sendo cavato e condotto in palagio, fu subito al luogo degli altri impiccato; fu preso el cardinale in Santa Liperata, e per la furia e rabbia del popolo a pena vi fu condutto salvo; fu preso Giovan Batista da Montesecco; furono impiccati el di piú di cinquanta, né credo mai Firenze vedessi un di di tanto travaglio. El di sequente messer Iacopo, che si era fuggito, non sendo ancora fuora del territorio nostro, fu preso ed esaminato fu impiccato. Confessò che poi si era fatta la legge sopra le ereditá, aveva sempre avuto in animo farne simile vendetta; dicono ancora disse che oltre agli altri favori e fondamenti in su’ quali aveva preso animo ed appoggiatosi, era stata la buona sorte di Franceschino, in che molto si confidava; e gli fu risposto per messer Bongianni Gianfigliazzi, che era degli esaminatori, che doveva piú sbigottirsi per la sorte ottima di Lorenzo. Renato fu etiam impiccato el di medesimo. Costui prevedendo molto innanzi quale fussi la intenzione di messer Iacopo e degli altri contro a Lorenzo, gli aveva confortati avessi no pazienzia e lasciassi no fare al tempo, perché Lorenzo nelle inercatantie era in tanto disordine che in pochi anni bisognava fallissi, e perduto le ricchezze ed el credito era perduto lo stato, dicendo; «diangli a cambio e’ danari vuole, perché questi, benché con qualche nostra perdita, lo aiuteranno fallire piú presto». Finalmente non giovando le sue parole, e presentendo per conietture, perché da lui si guardavano, quello ordinassino di fare, era, per non vi si trovare, itosene in villa; fu preso quivi e impiccato. Nocégli lo essere tenuto savio ed avere credito e benivolenzia nel popolo, perché però parve utile a chi aveva lo stato levarselo dinanzi.
Giovan Batista da Montesecco fu tenuto parecchi giorni preso; esaminato diligentemente, confessò essere venuto a Firenze per comandamento del conte suo padrone ed avere preso el carico di amazzare Lorenzo: e nondimeno quando si prese lo ordine per in Santa Liperata, essergli venuto orrore rispetto al luogo, e ricusato farlo; di che nacque la salute di Lorenzo, perché se lui pigliava la cura, sendo uomo valente animoso ed esercitato, lo amazzava; fugli tagliato el capo. Fu el cardinale sostenuto molti di per avere una sicurtá in mano, acciò che el papa non facessi villania a’ mercatanti nostri erano in Roma; finalmente assicurata questa parte, fu licenziato e accompagnato onorevolmente. Fuggirono ser Stefano e Bernardo Bandini, che tutt’a dua avevono assaltato Lorenzo, e per piú sicurtá Bernardo ne andò in Turchia, donde Fanno seguente lo cavò Lorenzo, e condotto a Firenze fu impiccato. Fu preso Guglielmo, e rispetto al parentado e prieghi della moglie sorella di Lorenzo, fu liberato e mandato a’ confini. Furono presi Giovanni fratello di Guglielmo, Andrea, Niccolò e Galeotto fratelli di Renato, tutti innocenti; e furono confinati in perpetuo nelle carcere di Volterra. Fu confiscata la roba di tutti, levate le arme per la cittá, ordinato che alcuni rimasono di quella famiglia mutassino, massime nelle cose del palagio, el nome, fatto decreto che le figliuole e sorelle de’ morti e confinati non si potessino per alcuno tempo maritare. El quale decreto fu parecchi anni poi levato via, e quegli incarcerati a Volterra furono confinati in perpetuo del territorio e cavati di carcere.
Questo tumulto fu di pericolo assai a Lorenzo di perdere e lo stato e la vita, ma gli dette tanta riputazione ed utilitá, che quello di si può chiamare per lui felicissimo: morígli Giuliano suo fratello, col quale arebbe avuta a dividere la roba, e lo stato messo in contesa; furongli levati via gloriosamente e col braccio publico gli inimici sua e quanta ombra e sospetto aveva nella cittá; el popolo prese le arme per lui e, dubitando della vita, corse a casa gridando volere vederlo, e lui si fece alle finestre con grande gaudio di tutti, e finalmente in quello giorno lo ricognobbe padrone della cittá; fugli dato per privilegio dal publico potessi per sicurtá della sua vita menare quanti famigli armati voleva drieto; ed in effetto si insignorí in modo dello stato, che in futurum rimase liberamente ed interamente arbitro e quasi signore della cittá, e quella potenzia che insino a quello di era stata in lui grande ma sospettosa, diventò grandissima e sicura. E questo è el fine delle divisione e discordie civile: lo esterminio di una parte; el capo dell’altra diventa signore della cittá; e’ fautori ed aderenti sua, di compagni quasi sudditi; el popolo e lo universale ne rimane schiavo; vanne lo stato per ereditá e spesse volte di uno savio viene in uno pazzo, che poi dá l’ultimo tuffo alla cittá.
- ↑ [Il ms. ha Liberata, ma l’A. altre volte corresse questa forma in quella Liperata da lui usata sempre, sicché è da ritenere che qui dimenticasse di correggere.]