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III V


LA CONGIURA DEI PAZZI (1478)


La città di Firenze, come di sopra si è detto, era governata per le mani di Lorenzo de’ Medici, e lui era capo dello stato; el quale, benché apresso di sé avessi un numero di cittadini nobili e prudenti ne’ quali si distribuivano gli onori della città e si trattavano le cose di importanza, nondimeno in molte cose seguitava solo el suo consiglio e parere contro alla voluntà degli altri e teneva precipua cura che nella città non si facessi alcuno sí potente che lui avessi cagione da temerne.

Era allora in Firenze la famiglia de’ Pazzi ricchissima piú che alcuna altra della città, ed aveva trafichi in molti luoghi del mondo e di qui era in grande riputazione in molte parte di Italia e fuori di Italia; era nobile nella città e con parentado grande ed uomini molto magnifichi e liberali, e nondimeno non avevano mai in alcuno tempo avuto molto stato, per essere tenuti troppo superbi ed altieri, la quale cosa gli uomini in una città libera non possono comportare; pure la nobilità, el parentado, le ricchezze ed el distribuirle largamente, faceva loro credito ed amici assai. Capo di questa casa era messer Iacopo uomo d’assai riputato e tutto da bene, se si gli fussi levato el vizio di giucare e bestemmiare; era sanza figliuoli, e per questo rispetto tanto piú tutta la casa concorreva a lui per valersene ed in vita e doppo la morte. Aveva molti nipoti, fra’ quali uno, figliuolo di messer Piero suo fratello, si chiamava Renato, tenuto uomo savio e di piú cervello che alcuno che fussi in casa, e, fuora del solito della famiglia, benvoluto dal popolo. Un altro chiamato Guglielmo, figliuolo di Antonio, aveva per donna una figliuola di Piero di Cosimo, e cosí veniva a essere cognato di Lorenzo; un altro vi era, chiamato Francesco, pure figliuolo di Antonio, quale era sanza donna, uomo molto inquieto animoso ed ambizioso, stavasi a Roma el piú del tempo e teneva amicizia grandissima con quegli prelati e massime col conte Girolamo, nipote di papa Sisto ed a chi el papa aveva dato Imola e Furlí.

Pareva a Lorenzo de’ Medici che questa casa fussi troppo grande e che, ogni favore che si gli dessi, crescerebbe tanto che sarebbe pericolosa allo stato suo; e però negli onori e magistrati della città gli teneva adrieto né dava loro quello grado si sarebbe convenuto. Cominciorono di qui a gonfiare gli animi, a scoprirsi gli odi e le emulazione, a crescere e’ sospetti, e tanto piú quanto, sendo Lorenzo malvoluto da papa Sisto e dal conte Girolamo, gli vedeva essere favoriti dall’uno e l’altro. Il che era nato, perché quando Sisto fu fatto papa, avendosi a vendere Imola, Lorenzo, desideroso che la città comperassi Imola e considerando che per essere el papa nuovo nello stato, non aveva danari da comperarla se non ne fussi servito o da sé che era suo depositario, o da’ Pazzi che erano sua tesorieri, gli pregò non lo servissino di danari, acciò che non la potendo comperare el papa, Imola venissi nelle mani nostre. Loro lo promessono, e poco di poi servirono el papa per questa compera di ducati trentamila e rivelorono a lui ed al conte Girolamo la richiesta fatta loro da Lorenzo; di che el papa sdegnato, gli tolse la depositeria che gli era di grande utilità, e Lorenzo si dolse assai de’ Pazzi, e caricògli, avendo presa onesta, che per opera loro la città non avessi avuto Imola. Ed in effetto augmentandosi ogni di piú questo umore maligno, e Lorenzo pensando continuamente che non crescessi in loro ricchezza o grandezza, fece nel 76 fare una legge disponente delle eredità ab intestato, per vigore della quale e’ furono privati di una eredità d’una donna de’ Borromei che, secondo la interpretazione di una legge antiqua, aparteneva loro.

Concepéronne di questo e’ Pazzi grandissimo sdegno; in modo che Francesco, quale per essere di statura piccola si chiamava volgarmente Franceschino, che quasi del continuo stava a Roma, cominciò a tenere pratica col conte Girolamo di tôrre lo stato a Lorenzo, persuadendo el conte che, sendo Lorenzo suo inimicissimo, come fussi morto papa Sisto, lo perseguiterebbe tanto gli tòrrebbe lo stato di Romagna. Aggiunsesi a questo trattato messer Francesco Salviati arcivescovo di Pisa, el quale, quando era in minoribus sendo vacato lo arcivescovado fiorentino l’arebbe ottenuto con favore del pontefice, se non che Lorenzo colla autorità publica si gli oppose e fu cagione fussi dato a messer Rinaldo Orsini cognato suo, e di poi vacando quello di Pisa ed avendolo impetrato dal papa, e dispiacendo a Lorenzo, penò tempo assai innanzi ne potessi conseguire la possessione, e per questa offesa era inimicissimo a Lorenzo.

Costoro praticando insieme e’ modi a fare tale effetto, si risolverono che el muovere guerra alla città non fussi a proposito per essere cosa lunga pericolosa ed incerta, ed inoltre perché non mancherebbe alla città lo aiuto di qualche potentato di Italia; ma che era una via sola, di amazzare Lorenzo, il che pareva facile, perché lui andava solo disarmato e sanza sospetto alcuno di simile insulto; e massime sperando che, morto Lorenzo, non mancherebbe loro favori, perché oltre al parentado e potenzia loro, credevano che el popolo, pel desiderio e speranza della antica libertà, gli avessi a seguitare. Faceva in questa conclusione difficultà Giuliano fratello di Lorenzo perché a amazzarlo insieme con Lorenzo era tanto piú difficile, e rimanendo lui non era fatto nulla, perché gli era bene voluto dal popolo, ed inoltre perché avendo e’ cittadini dello stato un capo a chi ricorrere, si pensava piglierebbono le arme e seguirebbenlo. Conchiusono adunche aspettare tanto che uno di loro fussi fuora della città, e tanto piú quanto credettono avessi a essere presto perché era voce che Giuliano toglieva per donna una figliuola del signore di Piombino, e pareva ragionevole che, togliendola, dovessi andare a Piombino a vederla. Di poi, non succedendo questo parentado, stettono in espettazione che Lorenzo, come aveva dato intenzione, dovessi andare a Roma, con disegno mentre era in Roma di amazzare Giuliano, e che Lorenzo fussi ritenuto. Risolvendosi anche di poi questa speranza, e dubitando che per essere la pratica in bocca di molti non venissi a luce, conchiusono essere necessario non aspettare piú e amazzargli tutt’a dua col modo ed ordine che di sotto si dirà.

Concorreva in questo trattato non solo el conte, ma eziandio la santità del papa ne era conscia e lo desiderava, benché per rispetto dello onore suo faceva menare el trattato al conte Girolamo. Concorrevaci eziandio el re Ferrando, quale, sendo confidatissimo ed in grande intelligenzia col pontefice, si era sdegnato che lo stato di Firenze si fussi aderito e collegato con Vinegia e Milano, e si persuadeva, mettendo uno stato nuovo in Firenze aversi a valere di quella città a modo suo, e di poi rispetto alla potenzia ed autorità sua, a quello si poteva promettere del papa, alla oportunità di questa republica, avere a essere quasi arbitro di tutta Italia, vedendo massime morto el duca Galeazzo, quale se fussi stato vivo, non sarebbe al re entrato in questi farnetichi. Concorrevaci Federigo duca di Urbino, per essersi molti anni innanzi interamente dato e dedicato al re, aggiugnevasi la oportunità di Città di Castello, di che sotto governo della Chiesa era capo messer Lorenzo Iustini da Castello, conscio e fautore di questa pratica ed inimico di Lorenzo, per avere lui sempre favorito messer Nicolò Vitelli da Castello suo avversario.

Questi tanti favori non solo accesono l’arcivescovo e Franceschino, uomini animosi ed inquieti, ma eziandio lo persuasono a messer Iacopo, el quale ci era stato un pezzo freddo e renitente, non perché non avessi odio grande verso Lorenzo, ma perché piú maturamente considerava quanto la cosa fussi pericolosa e difficile e quanto bello stato e ricchezza e’ mettessi in sul tavoliere. Risolvendosi adunche mettere a effetto el loro pensiero, ed essendosene lo arcivescovo, secondo lo ordine, ito a Pisa, Franceschino a Firenze, Giovan Francesco da Tollentino se ne andò in Romagna nello stato del conte, e messer Lorenzo ne andò a Castello, ciascuno di loro due con ordine di venirne el dí deputato con cavalli e fanterie verso Firenze. Fatti questi preparamenti secondo e’ disegni loro, partí da Pisa d’aprile 1478 el cardinale di San Giorgio, fratello o vero nipote del conte Girolamo, che vi era a studio, non conscio per la età di questo trattato, e sotto nome di andare a Roma, venne a alloggiare a Montughi al luogo di messer Iacopo de’ Pazzi, di poi, innanzi che entrassi in Firenze, sendo convitato da Lorenzo, andò a Fiesole a desinare al luogo suo, e fu el consiglio de’ congiurati dare quivi effetto a tanta opera, ma non eseguirno, rispetto che Giuliano, sentendosi indisposto, non vi venne. Differirono adunche per [farla] a Firenze, dove entrato el cardinale, ed avendo la domenica mattina a dí... a desinare con Lorenzo, parve loro non fussi tempo farla in casa di Lorenzo, dubitando che Giuliano non vi mangierebbe, e presono partito per la mattina alla messa, in Santa Liperata, che si ordinava cantare solenne, e dove non facevono dubio s’aveva a trovare Lorenzo e Giuliano.

Venne adunche el cardinale alla messa, accompagnato dall’arcivescovo Salviato, da Giovanni Batista da Montesecco condottiere del conte e che era quivi per quella opera, e da molti perugini, tutti venuti a quello effetto, e come el prete che cantava la messa si communicò, subito, come era dato lo ordine ed el segno, Franceschino de’ Pazzi che andava per chiesa a braccia con Giuliano, l’assaltò ed amazzollo. Da altro canto un ser Stefano cancelliere di messer Iacopo con alcuni altri furno adosso a Lorenzo e non bastando loro interamente l’animo lo ferirono in sulla spalla, lui si cominciò a discostare e, tratto fuori un pugnale, a difendersi, e concorrendovi brigata, cominciò a ridursi in salvo, ed in quello furore fu morto Francesco Nori che era seco; finalmente Lorenzo, con aiuto di chi era a torno e de’ preti, fu condotto vivo in sagrestia e, chiusa la porta, guardato non potessi essere morto.

Mentre che queste cose si facevano in chiesa, l’arcivescovo, che poco innanzi si era partito accompagnato da molti parenti ed amici de’ quali la piú parte non sapeva nulla, ed alcuni sui fidati e perugini, era ito in palagio per occuparlo, sotto colore di volere visitare la signoria; messer Iacopo era in casa a ordine per montare a cavallo e, correndo per la città, gridare «libertà» per sollevare el popolo. Non successe in palagio el disegno allo arcivescovo; anzi, volendo fare violenzia, fu ributtato e rinchiusesi in certe stanze che vi sono, da se medesimo, di che la signoria, veduto questo tumulto, fece serrare le porte del palagio, con animo di guardarlo e difenderlo da ciascuno. Sopravenne intanto messer Iacopo, e vedendo la porta chiusa volle sforzare el palagio; ma fu ributtato da’ sassi che erano gittati da e’ ballatoi.

Era in questo mezzo corso el romore per la città, e benché in quel principio ognuno fussi spaventato, pure intendendosi Lorenzo essere vivo ed el palagio essere assaltato e difendersi, gli amici dello stato ripresono vigore e prese le arme parte ne andò a soccorso del palagio, parte in Santa Liperata a cavarne Lorenzo e conducerlo vivo a casa. El popolo ancora parendogli lo amazzare Giuliano, che aveva benivolenzia, stato uno atto molto brutto e contra ogni civiltà, massime in chiesa in dí solenne; e vedendo el palagio per quella parte, e la vittoria aviarsi di là, e parendo che el volere occupare el palagio fussi un volere occupare la libertà, cominciorno a correre per la terra, gridando «palle palle», ché tal segno ha l’arme de’ Medici; in modo che sendo el concorso universale per Lorenzo, messer Iacopo si fuggí fuora di Firenze e gli amici di Lorenzo insignoriti dello stato cominciorno a usare la vittoria.

Fu preso lo arcivescovo, che, come dissi, era rinchiuso in palagio, e subito fu impiccato alle finestre del bargello; fu impiccato con lui Iacopo suo fratello, consapevole di ogni cosa, fu impiccato un altro Iacopo Salviati, el quale era stato piú anni inimico dello arcivescovo, e di poi riconciliatosi, non sapendo nulla, per la sua mala sorte l’aveva la mattina accompagnato in palagio; furono impiccati tutti quegli perugini ed armati erano seco ed in tanta confusione e furore alcuni etiam innocenti. Fu preso Franceschino, che sendosi per la furia ferito da se medesimo in uno calcagno e però non avendo potuto fuggirsi, si era ridotto in casa, donde sendo cavato e condotto in palagio, fu subito al luogo degli altri impiccato, fu preso el cardinale in Santa Liperata, e per la furia e rabbia del popolo a pena vi fu condutto salvo; fu preso Giovan Batista da Montesecco; furono impiccati el dí piú di cinquanta, né credo mai Firenze vedessi un dí di tanto travaglio. El dí sequente messer Iacopo, che si era fuggito, non sendo ancora fuora del territorio nostro fu preso ed esaminato fu impiccato. Confessò che poi si era fatta la legge sopra le eredità, aveva sempre avuto in animo farne simile vendetta; dicono ancora disse che oltre agli altri favori e fondamenti in su’ quali aveva preso animo ed appoggiatosi, era stata la buona sorte di Franceschino, in che molto si confidava, e gli fu risposto per messer Bongianni Gianfigliazzi, che era degli esaminatori, che doveva piú sbigottirsi per la sorte ottima di Lorenzo. Renato fu etiam impiccato el dí medesimo. Costui prevedendo molto innanzi quale fussi la intenzione di messer Iacopo e degli altri contro a Lorenzo, gli aveva confortati avessino pazienzia e lasciassino fare al tempo, perché Lorenzo nelle mercatantie era in tanto disordine che in pochi anni bisognava fallissi, e perduto le ricchezze ed el credito era perduto lo stato, dicendo: «diangli a cambio e’ danari vuole, perché questi, benché con qualche nostra perdita, lo aiuteranno fallire piú presto». Finalmente non giovando le sue parole, e presentendo per conietture, perché da lui si guardavano, quello ordinassino di fare, era, per non vi si trovare, itosene in villa, fu preso quivi e impiccato. Nocegli lo essere tenuto savio ed avere credito e benivolenzia nel popolo, perché però parve utile a chi aveva lo stato levarselo dinanzi.

Giovan Batista da Montesecco fu tenuto parecchi giorni preso; esaminato diligentemente, confessò essere venuto a Firenze per comandamento del conte suo padrone ed avere preso el carico di amazzare Lorenzo; e nondimeno quando si prese lo ordine per in Santa Liperata, essergli venuto orrore rispetto al luogo, e ricusato farlo di che nacque la salute di Lorenzo, perché se lui pigliava la cura, sendo uomo valente animoso ed esercitato lo amazzava, fugli tagliato el capo. Fu el cardinale sostenuto molti dí per avere una sicurtà in mano, acciò che el papa non facessi villania a’ mercatanti nostri erano in Roma; finalmente assicurata questa parte, fu licenziato e accompagnato onorevolmente. Fuggirono ser Stefano e Bernardo Bandini, che tutt’a dua avevono assaltato Lorenzo, e per piú sicurtà Bernardo ne andò in Turchia, donde l’anno seguente lo cavò Lorenzo, e condotto a Firenze fu impiccato. Fu preso Guglielmo e rispetto al parentado e prieghi della moglie sorella di Lorenzo, fu liberato e mandato a’ confini. Furono presi Giovanni fratello di Guglielmo, Andrea, Niccolò e Galeotto fratelli di Renato, tutti innocenti, e furono confinati in perpetuo nelle carcere di Volterra. Fu confiscata la roba di tutti, levate le arme per la città, ordinato che alcuni rimasono di quella famiglia mutassino, massime nelle cose del palagio, el nome, fatto decreto che le figliuole e sorelle de’ morti e confinati non si potessino per alcuno tempo maritare. El quale decreto fu parecchi anni poi levato via, e quegli incarcerati a Volterra furono confinati in perpetuo del territorio e cavati di carcere.

Questo tumulto fu di pericolo assai a Lorenzo di perdere e lo stato e la vita, ma gli dette tanta riputazione ed utilità, che quello dí si può chiamare per lui felicissimo: morígli Giuliano suo fratello, col quale arebbe avuta a dividere la roba e lo stato messo in contesa; furongli levati via gloriosamente e coi braccio publico gli inimici sua e quanta ombra e sospetto aveva nella città; el popolo prese le arme per lui e, dubitando della vita, corse a casa gridando volere vederlo, e lui si fece alle finestre con grande gaudio di tutti, e finalmente in quello giorno lo ricognobbe padrone della città; fugli dato per privilegio dal publico potessi per sicurtà della sua vita menare quanti famigli armati voleva drieto, ed in effetto si insignorí in modo dello stato, che in futurum rimase liberamente ed interamente arbitro e quasi signore della città, e quella potenzia che insino a quello dí era stata in lui grande ma sospettosa, diventò grandissima e sicura. E questo è el fine delle divisione e discordie civile: lo esterminio di una parte, el capo dell’altra diventa signore della città, e’ fautori ed aderenti sua, di compagni quasi sudditi, el popolo e lo universale ne rimane schiavo, vanne lo stato per eredità e spesse volte di uno savio viene in uno pazzo, che poi dà l’ultimo tuffo alla città.