Storie fiorentine dal 1378 al 1509/III
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III.
Conclusesi, come di sopra, nel 1470, la lega fra ’l re, duca e fiorentini, con uno capitolo che ciascuna di queste tre potenzie avessi insieme a mandare imbasciadori al sommo pontefice a supplicarlo la benedissi e vi entrassi drento, e cosí facessi una lega generale di tutta Italia, con quelle condizioni si era fatta a tempo di papa Niccola nel 55; riservando però la lega particolare contratta a Napoli, alla quale per questa generale non s’avessi a pregiudicare in alcuno modo.
La cagione di questo capitolo fu, perché avendo el Gran turco tolto Negroponte e molti altri luoghi a’ viniziani, e continuando tuttavia con loro la guerra, pareva al re Ferrando che lo stato suo fussi in gravissimo pericolo per avere molti luoghi e marine, ne’ quali el turco poteva facilmente fargli danno, e per questo rispetto desiderava assai congiugnersi e collegarsi co’ viniziani, acciò che insieme potessino pensare e provedere a’ pericoli communi; ed arebbelo fatto da se medesimo, ma gli pareva che non concorrendo el duca e’ fiorentini in questa coniunzione, né e’ viniziani né lui rimanessino in modo sicuri delle cose d’Italia, che potessino attendere espeditamente alle cose del turco. Inoltre pensò che ristrignendosi col duca e’ fiorentini, e poi faccendo lega generale co’ viniziani, non ´ solo trarrebbe de’ viniziani quello frutto disegnava, ma eziandio sarebbe facile cosa in tanto suo pericolo trarre qualche sussidio da tutta Italia contro al turco; e però saviamente condusse questa lega particulare, inserendovi nondimeno el predetto capitulo della generale. E per dargli esecuzione mandorono communemente imbasciadori a Roma per praticare questa materia, dove per la cittá fu deputato messer Otto Niccolini e Pierfrancesco de’ Medici; ma pochi di poi, morendo messer Otto, vi fu mandato in suo luogo Iacopo Guicciardini.
La conclusione di questa pratica ebbe in sé molte difficultá, e passò con piú lunghezza di tempo non si stimava, perché la lega voleva a ogni modo si riservassi la sua particulare, ed el papa non lo negava, ma diceva volere si facessi in modo vi fussi drento la conservazione dello onore suo, ed in ogni modo gli era proposto, faceva difficultá; ed era la cagione vera che questa conclusione non gli piaceva, perché gli pareva, sendo quietata Italia, essere necessitato fare impresa contro al turco, il che faceva male volentieri per non spendere; dove non si conchiudendo questa lega, gli pareva avere scusa con dire fussi di bisogno prima pacificare Italia.
Dalla parte della lega era ancora difficultá nel duca di Milano, che male volentieri ci si conduceva; pure finalmente fu tanta la volontá del re che si facessi questa conclusione, e cosi de’ viniziani, che el duca, per non rompere col re, ed el papa per non rimanere solo in Italia, vi condescesono. E cosi si concluse una lega generale di tutta Italia, con riservazione della lega particulare del re Ferrando, duca Galeazzo e fiorentini; e cominciossi a praticare di uno sussidio universale contra el turco, faccendone massime grandissima instanzia el re Ferrando; alla quale pratica, per essere Pierfrancesco tornato a Firenze, rimase solo Iacopo Guicciardini.
Ma come avviene che quelle cose che si fanno a male in corpo per ogni piccola difficultá si impediscono, cosí intervenne che, nata differenzia nel distendere le scritture per certe parole che volevono si aggiugnessino gli oratori ducali, non però di molta importanza, ed el papa non le consentiva, lo effetto fu che el duca non ratificò a questa lega; e benché la ratificazione de’ fiorentini fussi venuta, pure lo oratore loro non soscrisse le scritture, e cosí el cancelliere suo che ne era rogato; perché cosi fu la intenzione di chi governava a Firenze, per non si spiccare dal duca, non però con determinazione publica, per non dare tanto carico a chi aveva lo stato; e cosí in effetto le cose rimasono pendente.
In questo tempo ed anno 1470, Lorenzo de’ Medici cominciò in Firenze a pigliare piede, perché faccendosi gli accopiatori, che avevano a creare la signoria, pel consiglio del Cento, lo stato usava fare qualche intelligenzia particulare in compagnie di notte, e qui disegnare chi avessi a essere fatto, e di poi con questo ordine, in questo e negli altri magistrati, andare nel consiglio del Cento, el quale era solito a eseguire el disegno. Ma cominciando qualche volta nel Cento a variare le elezione de’ disegni dati, Lorenzo e gli amici suoi cominciorono a dubitare che non variassi un tratto negli accopiatori, di che sarebbe facilmente seguita la alterazione dello stato. Di che fatto prima molti consigli in privato, si risolverono che si dessi autoritá per cinque anni alla signoria che sedessi di luglio e agosto, che, insieme cogli accopiatori che sedevano, facessino gli accopiatori nuovi; e deliberato questo, subito la signoria, che ne era gonfaloniere tnesser Agnolo della Stufa, sonato a collegio e a Cento e ragunatogli, la mattina innanzi uscissino dette perfezione a questa provisione. Di che lo stato si assicurò, e Lorenzo ne acquistò grandissima riputazione e forze; in modo che cominciando a pigliare piè, dette principio a volere essere arbitro della cittá lui ed a non si lasciare governare da altri, ma piú tosto avere cura non si facessino troppo grandi messer Tommaso e gli altri che avevono riputazione e seguito di parentado. E benché non mancassi loro, e nelle legazione ed in tutti gli onori e primi magistrati della cittá, nondimeno gli riteneva indrieto, non gli lasciando qualche volta tirare le imprese facevano, e dando favore a quegli uomini de’ quali non gli pareva potere temere, per essere spogliati di parenti e credito, come fu in quel tempo uno messer Bernardo Buongirolami, uno Antonio di Puccio, e di poi qualche anno uno messer Agnolo Niccolini, uno Bernardo del Nero, uno Pierfilippo Pandolfíni e simili; usando etiam di dire che se suo padre avessi fatto cosí, e sforzati un poco messer Luca, messer Dietisalvi, messer Agnolo Acciaiuoli e simili, non sarebbe nel 66 ito a pericolo di perdere lo stato.
Sendosi le cose di Italia un poco quietate, seguitò la morte di papa Paolo, in luogo di chi fu eletto Francesco cardinale di San Piero in Vincula di nazione saonese, e che era stato de’ frati minori e di poi generale di quello ordine, e fu nominato Sisto... el quale sendo eletto di poco, nacque nova alterazione nel dominio nostro. E questo è che sendo in quello di Volterra le allumiere che erano del commune di Volterra, e desiderando Lorenzo di ottenerle per sé, e rinculando e’ volterrani, Lorenzo, parendogli che se la impresa non riusciva, intaccare la sua riputazione, e però deliberato di averne onore, cominciò a strignergli in modo che, benché io non sappia bene a punto el particulare loro, si sdegnorono; e nato ombra e sospetto, e loro non essendo ubbidienti in tutto alla signoria, finalmente lo effetto fu che nel 1472 e’ volterrani, prese le arme e cominciato a non ubbidire a’ rettori nostri, si ribellorono.
A Firenze fu dubio assai che o e’ viniziani o el re Ferrando, all’uno e l’altro di chi ed etiam quasi a tutta Italia, eccetto che al duca Galeazzo, e’ volterrani avevano mandati imbasciadori a darsi, non tenessino acceso questo fuoco; e fecesi risoluzione vedere di spegnerlo con ogni forza e prestezza. E però si dette intorno a questa guerra la balia a venti cittadini, e’ primi della cittá; e’ quali, sopravenendo poi massime avisi che non solo el duca, ma etiam el re ed el papa erano vólti a dare ogni favore perché questo incendio si quietassi, mandorono per commessario generale Iacopo Guicciardini, che, unita la gente nostra, attendessi a recuperare el contado, tanto che ne venissi el duca di Urbino eletto capitano per questa impresa, per chi avevano mandato a Urbino messer Bongianni Gianfigliazzi.
Riebbesi ei contado in uno subito e sanza colpo di spada, e poco di poi sopravenne el duca, ed a messer Bongianni fu comandato restassi in campo commessario insieme con Iacopo; e sanza dilazione di tempo si messe campo alla cittá, mettendo el duca di Urbino ogni industria e adoperando ogni virtú militare per espugnarla. Di che e’ volterrani vedendosi stretti e sanza speranza di soccorso di fuora ed in effetto sanza alcuno rimedio, si arrenderono, salvo l’avere e le persone. Ma nello pigliare la possessione della terra nacque tanto tumulto per opera, come si crede, del duca di Urbino, che sanza riparo alcuno la cittá andò a sacco; benché e’ commessari usassino ogni possibile diligenzia che questo non seguissi, e molto dispiacessi alla cittá nostra, la quale desiderava riavere quella terra intera e ricca come era innanzi alla ribellione. Fu bene opinione di molti e massime de’ volterrani che questo fussi stato per ordine publico; nondimeno è falso e non potette la cittá perturbarsi piu di tale accidente.
Seguitò l’anno 1474 nel quale si fece nuove congiunzione e intelligenzie in Italia; perché essendo papa Sisto molto amico del re Ferrando, ed eziandio el conte di Urbino sendosi dato in anima e corpo al re, e lui con questi mezzi e favori volessi essere arbitro di Italia, sdegnandosene el duca di Milano e gli altri potentati, si contrasse una lega a difesa degli stati fra ’l duca viniziani e fiorentini; dove di poi entrò, non come aderente e nominato, ma come principale, Urcole duca di Ferrara. E cominciò el duca a ristrignersi ed intendersi molto con viniziani e fare segni grandissimi di amore e benivolenzia, faccende onori supremi agli imbasciadori loro, cedendo loro la precedenzia, di che a Roma ed in tutti e’ luoghi di Italia avevano gli oratori loro avuto infinite volte questione, dando loro sussidi nella guerra avevano contro al turco; e cosi ebbono dalla cittá l’anno 1475 ducati quindicimila in dono per armarne galee.
Al papa ed al re dispiacque assai questa lega; e però lui ed el duca di Urbino vennono personalmente a Roma, solo per pensare modi da interrompere questa unione; e fe-´ ciono risoluzione che el vero modo fussi che el papa praticassi una lega generale di tutta Italia ne’ modi si era fatto a tempo di Niccola e poi di Paolo, mostrando farlo per volere pensare alla difesa della religione contro al turco. E fu la opinione loro che e’ viniziani l’avessino a accettare facilmente per trarre sussidi contro a’ turchi, da’ quali erano molto oppressati; e stando questo, se el duca ed e’ fiorentini non ci volessino concorrere, sarebbe rotta la unione loro; concorrendoci, col fare questa lega generale sarebbe dissoluta la particulare.
Fu cognosciuta da’ signori collegati questa arte; e però, mandando imbasciadori unitamente a Roma con ordine non si separassino mai l’uno dall’altro, ma che intervenissino a ogni pratica ed audienzia o col papa o alcuno cardinale, communemente si rispondessi essere contenti di fare la lega generale con riservo nondimeno della particulare. La quale risposta non piacendo al papa e re, si roppe questa pratica; e pochi mesi poi si rappiccò, tendendo el papa e re pure al fine di rompere la particulare. El quale disegno diventava loro ogni di piú facile, per avere e’ viniziani uno ardentissimo desiderio che e’ principi cristiani concorressino alla impresa contro al turco, e d’altra parte sendo el duca di Milano molto alieno, perché gli pareva, stando e’ viniziani in guerra, avere da non temere di loro; dove, quando fussino in pace, non gli pareva essere cosí sicuro del suo stato. Di che fra e’ viniziani ed el duca cominciò a nascere qualche ombra, in modo che el duca fu talvolta in disposizione, ed etiam ne tenne pratica, di riunirsi e collegarsi col re; la qual cosa non messe però a effetto, forse presentendo che la cittá non vi sarebbe concorsa, per dispiacergli volubilitá e mutazione tanto spesse.
Seguitò di poi per principio di cose e movimenti grandissimi la morte del duca Galeazzo, el quale nel 1476 a di 26 di dicembre, el di di santo Stefano, fu morto in Milano da Giovanni Andrea da Lampognano; e perché era rimasto di lui uno piccolo figliuolo chiamato Giovan Galeazzo, si dubitò assai che e’ popoli sudditi non facessino qualche movimento, il che sarebbe dispiaciuto assai alla cittá, rispetto alla amicizia e congiunzione tenuta tanto tempo con quella casa, e per la sicurtá e riputazione ne traeva lo stato nostro in ogni occorrenzia. Furono adunche subito deputati imbasciadori a Milano messer Tommaso Soderini e messer Luigi Guicciardini, e’ quali, andati con somma prestezza, trovorono le cose in buona disposizione e si adoperorono assai a confermarle ed assicurarle per la via buona. E lo effetto fu che lo stato rimase a madonna Bona, stata moglie del duca Galeazzo, che lo conservassi e guardassi pel figliuolo; e volsesi el governo di tutto alle mani di messer Cecco Simonetta, el quale sendo di Calavria, di vile condizione, era stato cancelliere e secretano del duca Francesco, in gran conto, e di poi in somma riputazione apresso el duca Galeazzo; ed ultimamente gli dette la fortuna, sotto madonna Bona, libera ed assoluta potestá ed amministrazione di tutto quello dominio. Fecesi alcuno appuntamento tra madonna e monsignor Ascanio cardinale e Lodovico Sforza duca di Bari, fratelli del duca Galeazzo; ed assettate queste cose, parendo fussi superfluo tenervi dua oratori, fu messer Luigi rivocato a Firenze, e messer Tommaso rimase in quella legazione, onorevolissima per la coniunzione era tra l’uno e l’altro stato, e consequenter per la fede potenzia ed autoritá vi aveva uno imbasciadore fiorentino, e massime qualificato come lui.
Seguitò poi tumulto in quello stato, perché el signor Lodovico e monsignore Ascanio cercavano cose nuove per applicarsi quello governo, e con loro si intendeva el signore Ruberto da Sanseverino; di che venuti in sospetto, lo effetto fu che el signore Lodovico fu confinato a Pisa, Ascanio a Roma, ed el signore Ruberto cacciato dal territorio. Il che si fece con consenso e participazione della cittá e stato nostro, che non cercava altro che la conservazione di quello dominio ne’ figliuoli del duca Galeazzo e favoriva el governo in madonna Bona e l’autoritá in messer Cecco. E se la cittá nostra si fussi mantenuta in pace e quiete, sanza dubio si conservava; ma e’ movimenti della cittá nostra, de’ quali ora si dirá, furono cagione di molte alterazioni dissensioni e movimenti in tutta Italia.
In questo tempo essendo morto uno marchese Spinetta, signore di Fivizzano e di molte altre castella, sanza eredi, quegli uomini si dettono a’ fiorentini, e vi furono mandati a pigliarne la possessione ed ordinare quello stato, che era di importanza perché assicurava le cose nostre da quella banda, messer Antonio Ridolfi ed Iacopo Guicciardini.