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IV VI

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V.

Azione di Sisto IV contro Lorenzo e contro Firenze. — Guerra del papa e del re di Napoli contro Firenze. — La legge gismondina. — Vittorie de’ fiorentini. — Loro sconfitta al Poggio Imperiale.


Di questa novitá di Firenze e pericolo dello stato nacque alla cittá una guerra gravissima, perché el re Ferrando e papa Sisto, considerando quanta offesa avessino fatta a chi aveva el governo della cittá, e che mai piú vi potrebbe essere fede o amicizia, deliberorno apertamente e colla forza di fuora fare pruova di quello che aveano tentato occultamente e colle arme civile; e per dare qualche principio iuridico alla impresa loro, el papa escomunicò Lorenzo ed interdisse la cittá per avere impiccato lo arcivescovo di Pisa e sostenuto el cardinale di San Giorgio. Fu per parte della cittá risposto gagliardamente a questa ingiuria, mandando in publico lettere a tutti e’ principi cristiani in giustificazione loro e carico del papa, facendo etiam consigliare a tutti e’ primi dottori di Italia che de iure questo interdetto era nullo e non valeva. Finalmente venendosi dalle censure e guerra spirituale alle arme e guerra temporale, el papa e re, condotto per capitano, a spesa conimune, Federigo duca di Urbino, e fatto intelligenzia co’ sanesi, mandorono le gente loro per la via di Siena a’ danni nostri. Fu in questo esercito ancora Alfonso duca di Calavria, primogenito del re; ed apresso a lui ed el duca Federigo era la cura del tutto. Dall’altra banda e’ viniziani e lo stato di [p. 40 modifica]Milano, secondo gli oblighi della lega, mandorno gente di arme e fanterie in favore de’ fiorentini, ma non quello numero sarebbe suto necessario; in modo che trovandosi superiore di forze lo esercito inimico, el nostro non potendogli stare a petto alla campagna, si ridusse in sul Poggio Imperiale, sendo commessari generali messer Luigi ed Iacopo Guicciardini. K non andavano le cose bene, perché mancando un capitano generale che fussi condotto da tutta la lega, le gente* de’ collegati non erano in quella ubidienzia che bisognava; di che lo esercito inimico, oltre allo essere superiore di forze, andava sanza rispetto campeggiando e’ luoghi gli pareva. Presone adunche Padda, Rendile, Probo, (bacchiano e la Castellina, dove stettono a campo ventinove dì.

Era venuto in questo mezzo in campo, capitano di tutta la lega, Ercole duca di Ferrara; el quale però, per non essere pari agli inimici di gente, non scese del Poggio, ma molestava e’ sanesi con prede e scorrerie, tenendo sempre fermo gli alloggiamenti in sul Poggio, per essere quello sito fortissimo, cd un freno agli inimici, che, poi che ebbono espugnati e’ primi luoghi in sulle frontiere, non ardissino distendersi piú verso e’ luoghi vicini alla cittá. Di che gli inimici, per non perdere tempo, volsono alla fine dello anno lo esercito verso la Valdichiana ed accamporonsi al Monte a San Sovino. Dette questa cosa alterazione grande alla cittá, per essere el Monte luogo di importanza per la qualitá del castello e per la oportunitá alle altre terre del paese; e però si fece risoluzione si soccorressi in ogni modo, e subito fu mandato in quella parte commessario messer Bongianni Gianfigliazzi, acciò che insieme col conte di Pitigliano disegnassino e’ modi necessari e gli alloggiamenti oportuni a questo soccorso. Ed in questo mezzo si scrisse nel campo nostro (el quale, rimasto per la partita degli inimici superiore da quella banda, aveva fatte grande prede in sul sanese e presi alcuni luoghi di non molta importanza) che el capitano insieme con Iacopo Guicciardini, lasciate le gente bastavano per guardia del paese, si transferissino alla volta del Monte ed agli alloggiamenti che [p. 41 modifica]si disegnassino pel conte di Pitigliano e per messer Bongianni. Volsonsi a quella volta e doppo molte dispute e dispareri alloggiorono presso al campo inimico; dove sendo, si fece tregua per alcuni giorni. La quale fu accettata da’ nostri, perché sendo nello autunno pareva loro utile ogni tempo si togliessi agli inimici, sendosi allo stremo dello anno; fu accettata da loro, perché, sendo la natura del duca di Urbino fare le cose sue piú sicuramente poteva, si volle fortificare da una banda donde dubitava potere essere offeso, e la quale però non era stata prevista da’ nostri. Finalmente, spirata la triegua, gli uomini del Monte si dettono loro spontaneamente, benché da per loro si fussino potuti tenere alcuni di, ed inoltre avessino la speranza propinqua del soccorso ed el tempo di natura da credere che el campo fussi necessitato a levarsene presto.

Questa perdita del Monte sbigotti ed alterò assai l’universale della cittá, perché fu contro la opinione commune, riputandosi che quel luogo fussi forte ed eziandio molto fedele; ed ebbonne el capitano e commessati e le gente nostre gran biasimo, ed imputatine di viltá, come se non fussi bastato loro lo animo a soccorrerlo, e di qui gli uomini del Monte, privati di speranza del soccorso, si fussino dati. Nondimeno pe’ piú savi si ritrasse essere stata malignitá di parecchi capi della terra, e’ quali a poco a poco avevano persuaso la moltitudine, che da sé naturalmente era inclinata alla divozione nostra; e cosí che le gente nostre meritavano scusa, perché non potevano avere a fare con gli inimici, se non con gran disavantaggio.

Nel medesimo tempo fu in Firenze un poco di disordine causato dagli otto della balia. Quello magistrato ne’ tempi passati era stato creato con grandissima autoritá nelle cose criminali, sottoposta pure nel giudicare, benché non nel procedere, alle leggi e statuti della cittá, e con potestá libera ed assoluta e fuora di ogni legge, ne’ peccati concernenti lo stato; e fu invenzione di chi si trovava nelle mani el reggimento, per avere un bastone a loro posta, col quale potessino stiacciare el capo a chi volessi malignare ed alterare el governo. [p. 42 modifica] E benché la origine sua nascessi da violenzia e tirannide, riuscí nondimeno un ordine molto salutifero; perché come sa chi è pratico nella terra, se el timore di questo magistrato, che nasce dalla prontezza del trovare e’ delitti e giudicargli, non raffrenassi gli animi cattivi, a Firenze non si potrebbe vivere; e cosí come detto ufficio fu pienissimo circa alle cose criminali, gli fu proibito per espresso non potessi impacciarsi nel civile. El quale ordine non si osservò interamente, perché a poco a poco per spezialtá di chi era nell’uficio e pe’ mezzi e favori degli uomini che vi venivano, vi si cominciò a introdurre molti casi civili, chiamandogli, per qualche ragione indiretta, criminali; la qual cosa sendo molto trascorsa, parve a Lorenzo di correggerla, e però si fece una riforma che dichiarò e distinse molti casi, ne’ quali gli otto non potessino cognoscere. E perché la fu ordinata da Gismondo dalia Stufa che allora si trovava degli otto, fu chiamata la gismondina; e sendosi osservata per qualche uficio, gli otto che si trovorono in questo tempo, non piacendo loro, un di, subito, sanza conferirne o con magistrati o con chi governava la cittá, la stracciorono ed arsono. La qual cosa parendo fussi un toccare lo stato, avendolo fatto di loro propria autoritá, *e massime ne’ tempi che correvano, dispiacque a chi reggeva, e subito furono cassi dello uficio, e fatti altri in loro scambio. Né fu fatta loro altra punizione, perché si ritrasse non era stata malignitá contro al governo, ma piú tosto leggerezza; ed essere stati messi su da’ cancellieri dello uficio, a’ quali piaceva vi si cognoscessi di ogni caso, perché si valevano piú; e si riconfermò la gismondina, benché oggi non si osservi, e quietossi la cosa.

Gli inimici, preso el Monte, se ne andorno alle stanze; ed in P’irenze, pensandosi all’anno sequente, si attese a pensare a’ preparamenti per tempo nuovo, ed a questo effetto ristrignersi co’ collegati, mostrando loro e’ nostri pericoli e strignendogli a’ soccorsi. Fu però mandato a Vinegia oratore messer Tommaso Soderini, ed a Milano si trovava Girolamo Morelli; e’ quali molte volte discorsono e mostrorno come [p. 43 modifica]gli eserciti che noi avamo avuti fra nostri e loro la state passata, non erano bastanti stare in campagna ed a petto agli inimici; e però non si faccendo maggiore sforzo, che loro continuamente si insignorirebbono de’ luoghi nostri ed indebolirebbonci in modo che noi saremo constretti pigliare con gran disavantaggio nostro e di tutta la lega qualche partito con loro, benché la intenzione nostra fussi prima moríre che abandonare la lega e mancare della fede nostra; essere necessario, se ci volevano conservare lo stato secondo gli oblighi, mandare aiuti piú gagliardi e fare altri disegni che l’anno passato. Soggiunsono di poi che, quando bene ci mandassino tale esercito che fussi per resistere agli inimici ed essere loro pari, nondimeno non bastare per la salute nostra, perché e’ danni che si facevano cosí da’ soldati nostri come dagli inimici a’ nostri cittadini e sudditi, erano tanto grandi e si innumerabili, che continuandosi piú tempo era impossibile a reggerli, avendo massime tanto peso d’avere colle borse private a sostenere tutte le spese ed incarichi della guerra; consumarsi a poco a poco questo corpo ed in modo diminuirsi, che, non si rilevando, cadrebbe da se medesimo; la vera ed unica medicina di questo male essere che fra noi ed e’ nostri collegati si facessi tanta forza che si potessi cacciare gli inimici di su’ nostri terreni e perseguitargli in ogni luogo e fare la guerra potentemente a casa loro.

Questi discorsi e ragione introdussono in pratica molti modi da fare questo effetto, e disegnossi dua modi: uno di fare armata per mare e con essa infestare le marine del re Ferrando, e cosí divertire la guerra di Toscana; l’altra chiamare in Italia angioini e voltargli alla impresa di Napoli. Finalmente dolendo la spesa a’ collegati, non se ne fece la conclusione si doveva, ma si deliberò per difesa nostra in questa forma: condussesi a’ soldi nostri per capitano nostro Ruberto Malatesta signore di Rimino, e si disegnò con lui fare uno campo in quello di Perugia per levare quella cittá dalla divozione della Chiesa e di poi potere ferire negli altri luoghi nello stato del papa; e per fare questa impresa piú [p. 44 modifica]riuscibile, si disegnò per questo campo el conte Carlo del Montone, sperando che la riputazione la benivolenzia e parte aveva in Perugia, l’avessi facilmente a fare ribellare; dalla parte di Siena e verso el campo inimico fu disegnato el duca di Ferrara capitano generale di tutta la lega, ed el marchese di Mantova capitano dello stato di Milano. Furono etiam in qualche speranza d’avere aiuti dal re di Francia; al quale sendosi mandati imbasciadori da tutta la lega, che vi andò per la nostra cittá messer Guidantonio Vespucci, a fare querela del pontefice e tentarlo volessi insieme cogli altri principi chiamare il papa a concilio e cosí richiederlo di aiuti per la difesa nostra, aveva quel re piú volte promesso mandare buono numero di gente d’arme in Italia; ed in effetto ogni cosa fu vana, se non che con lettere e con ambasciadori al pontefice, con minacci e protesti favorí assai la causa nostra.

Disegnati l’anno 1479 questi apparati, e venendone el tempo nuovo da esercitargli, el signore Ruberto da Sanseverino fuoruscito dello stato di Milano, con gente e favori del re scorse di quello di Genova insino in sulle porte di Pisa; la quale cittá, per non aspettare la guerra, era imprevista di tutte le cose necessarie. Ma subito vi furono mandati commessari messer Bongianni Gianfigliazzi ed Iacopo Guicciardini, e di poi presto vi si volse el duca di Ferrara; ed in modo si raffrenorno gli impeti degli inimici, ed eziandio si scopri in Pisa uno trattato, che el signore Ruberto vedendosi inferiore di gente e dubitando ancora, venendo aiuto da Milano, non essere rinchiuso, si ritirò e partissi d’in sul nostro.

Cessato questo pericolo, el duca e messer Bongianni se ne andorono verso el Poggio, ed Iacopo ne venne in quello di Arezzo; dove pochi di poi giunse el nostro capitano magnifico Ruberto Malatesta, ed aspettavasi el conte Carlo del Montone el quale, sendo amalato, si fermò in Cortona e quivi pochi di poi si morí, tagliando una grande speranza si era conceputa per la venuta sua, rispetto al credito ed alla parte aveva in Perugia; nondimeno colle gente vi erano si seguitò la impresa e presesi alcune castella del perugino. E perché lo esercito [p. 45 modifica]del papa e re, colla persona de’ due duchi Calavria ed Urbino campeggiava dalla banda di Siena e però non attendeva alla difesa del perugino, fu mandato dagli inimici in quella parte un altro esercito sotto la cura del prefetto, nipote del papa, e di messer Matteo da Capua; e’ quali arrivati si affrontorono co’ nostri e, doppo un bello fatto di arme in che molto apparì la prudenzia ed ordine grande del capitano magnifico Ruberto, e’ nostri ebbono una gloriosa vittoria, pigliando gran numero di uomini e cavalli degli inimici e spogliandogli insieme degli alloggiamenti.

Dalla parte di Siena non si era fatto ancora cosa notabile, perché e’ nostri stavano in sul Poggio, donde operavano piú in difesa de’ paesi nostri che in offesa degli inimici, e gli avversari, temendo dello esercito nostro, non potevano sforzare le nostre terre e non ardivano volere fare fazione co’ nostri, rispetto al disavantaggio arebbono avuto per la fortezza del Poggio. Ma avendo le nuove della rotta di Perugia e dubitando di quello stato, si volsono a gran giornate in lá; il che presentendosi pe’ nostri che giá erano accampati a alcune castella in sul lago di Perugia, perché erano di numero molto inferiori agli inimici, si ritrassono a salvamento a piè di Cortona; ma el campo del Poggio, rimanendo per la partita del campo opposito sanza riscontro, scese del Poggio ed andò a campo a Casoli, castello grosso de’ sanesi che confina con noi dalla parte di Volterra; e piantatovi le artiglierie, lo prese per forza e saccheggiollo. Di che nel saccheggiare e dividere la preda nacque gran quistione e contesa fra quegli del duca di Ferrara e quegli del marchese di Mantova, e vennono alle mani, e con gran difficultá furono divisi da’ commessari nostri messer Bongianni e Girolamo degli Albizzi.

Furono, e per la rotta del perugino e per la avuta di Casoli, e’ successi nostri tanto felici, che indubitatamente eravamo al disopra della guerra, e si faceva giudicio che la vittoria dovessi essere dal nostro; ma mutossi la fortuna e recò quella gloria e felicitá agli avversari, che ragionevolmente doveva essere nostra; perché la quistione nata nel sacco [p. 46 modifica]di Casoli fra e’ ferraresi e mantovani fu di tanta efficacia, sendo massime fra quegli dua principi qualche sdegno ed inimicizia antica, che per fuggire maggiore scandolo, fu necessario pigliare partito di separargli. E però fu mandato el marchese di Mantova nel perugino a congiugnersi col magnifico Ruberto, ed el duca di Ferrara insieme col signor Gostanzo di Peserò rimase a fare la guerra nella parte di Siena.

Sendo adunche le gente nostre divise in due parte quasi pari, ed in modo che, se bene unite insieme sarebbono stati superiori agli inimici, nondimeno cosí separate ciascuna di loro era molto inferiore, gli inimici, esaminando e’ casi loro, si risolverono tenere lo esercito unito in mezzo quello di Siena e la Valdichiana, acciò che, come el campo del Poggio facessi movimento, potessino in tre o quattro dí essere loro adosso; e cosí con questo terrore ritenergli che non ardissino campeggiare con artiglierie, e cosí che non rimanessi loro da fare fazione, se non prede e scorrerie e cose di poco momento; e cosí medesimamente raffrenare, quando si movessi, lo esercito di verso Perugia. E parve loro con questi modi che el campo loro, piú grosso che alcuno degli inimici, potessi facilmente avere occasione di opprimerne uno, e quando pure questo non fussi, stimavano assai consumare questo anno e tenerci colla guerra addosso; e fu parola del duca di Urbino, che e’ fiorentini el primo anno della guerra erano vivi e gagliardi, el secondo mediocri, el terzo spacciati; e che ci aspettava al terzo anno.

Questi loro ordini cosí disegnati riuscirono in buona parte, perché come el campo nostro di Perugia si moveva, subito gli inimici andavano alla volta loro, in modo che vedendogli superiori erano constretti a ritirarsi a luoghi salvi; e per questo rispetto non si accampavano a terra alcuna con artiglierie, riputandosi vergogna l’aversi di poi a levare, ed erano constretti infestare e’ perugini con scorrerie solo, e se pure andavano a un castello, non potevano combatterlo con altro che con battaglia di mano. El medesimo interveniva a’ nostri dí verso Siena, in modo che gli inimici con questa astuzia [p. 47 modifica]tenevano impedite molte piú gente che loro non erano; e consultandosi del rimedio a questo male, pareva necessario unire insieme questi due eserciti, co’ quali per essere in piú numero si sarieno sanza dubio urtati gli inimici, ma non si poteva, per la quistione stata tra e’ ferraresi e mantovani, e cosí perché el magnifico Ruberto Malatesta ed el signore Gostanzo di Pesero, nostro soldato, erano inimici ed incompatibili in uno campo medesimo. Restava ingrossare tanto l’uno e l’altro campo che separati potessino stare a petto agli inimici; il che non ebbe effetto, perché gli aiuti de’ viniziani erano freddi e deboli, e cosí dello stato di Milano; massime che in quello tempo el signore Lodovico, monsignore Ascanio ed el signore Ruberto da Sanseverino con spalle e favore del re presono Tortona ed alcune terre di quello stato; e lo effetto fu che madonna Bona, mossa da paura e da persuasioni come donna, gli richiamò al governo del figliuolo, e loro subito entrati incarcerorno messer Cecco e poi gli feciono tagliare el capo.

Fu necessario, intendendosi questi movimenti di Milano, che el marchese di Mantova loro soldato ed el duca Ercole, capitano di tutta la lega, andassino a Milano, benché Ercole lasciassi in sul Poggio le sue gente a governo di messer Gismondo da Esti suo fratello. Indebolito in questo modo e’ nostri campi, e continuando gli inimici la astuzia loro, si consumò tutta la state; pure finalmente e’ perugini, non volendo piú soportare la guerra ed avendo cosí protestato al papa, erano alle strette di pigliare accordo colla lega; quando gli inimici intendendo farsi in sul Poggio Imperiale mala guardia ed essere disordinato molto quel campo, di che era a governo messer Gismondo e commessario Girolamo degli Albizzi, ed avendo certa intelligenzia in una bastia vi era, partitisi dal ponte a Chiusi a grandissime giornate, assalirono improvisamente e’ nostri in sul Poggio; e’ quali per questo assalto si subito sbigottiti, né si rifidando al sito fortissimo, sanza fare alcuna difesa vilissimamente si fuggirono e furono rotti. [p. 48 modifica]

Fu questa rotta una percossa nel cuore alla cittá, la quale impaurita e pensando solamente alla difesa della libertá, attese a riordinare el piu poteva le gente rotte, richiese instantissimamente di aiuto e’ collegati e subito revocò le gente del perugino, in modo che le pratiche dello accordo non ebbono conclusione. Mandossi in quello di Arezzo el signore Gostanzo per guardia del paese; e perché non poteva essere in uno luogo medesimo col magnifico Ruberto, ridussesi el campo nostro a San Caschino; e gli inimici doppo una tanta vittoria ne vennono a campo a Colle, dove stettono circa a sessanta dí: e finalmente non sendo soccorso, l’ebbono a patti, del mese di...