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Procopio di Cesarea - Storia Segreta (VI secolo)
Traduzione dal greco di Giuseppe Compagnoni (1828)
Capo XIV
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CAPO XIV.

Nascita, condizione e costumi di Teodora. Giustiniano se ne invaghisce. Influenza ch’essa prende sull’animo di lui. Situazione de’ pubblici affari in quel tempo. L’Imperatrice resiste perchè Giustiniano non isposi quella meretrice: ma dopo la morte di Eufemia Giustiniano fa che l’Imperadore abolisca la legge che poneva ostacolo al suo matrimonio con Teodora. Turpitudine di tutti gli ordini.

Giustiniano ebbe per moglie tal donna, di cui or’ ora dirò la nascita e la educazione, e come divenuta sua sposa ruinasse lo Stato de’ Romani.

Fu certo Acacio in Costantinopoli, preposto alla cura delle fiere dai Prasini mantenute per le loro cacce nell’anfiteatro, e chiamato comunemente l’Orsaiuolo. Costui morì regnante Anastasio, lasciando orfane tre figlie, Comitona, Teodora ed Anastasia, la maggiore delle quali giungeva appena ai sette anni. La madre loro, toltole il marito ne cercò un altro che seco lei vivesse, e l’officio esercitasse del morto. Ma accadde che [p. 94 modifica]Asterio, direttore della orchestra1 de’ Prasini, per la gola di una somma di denaro mandò via dell’impiego quelli che lo esercitavano, e chi l’avea pagato mise senza verun ostacolo in posto loro: chè i direttori delle orchestre aveano in ciò fare ogni arbitrio. La madre vedendo un giorno molto popolo accorrere alle cacce, messe alle sue figlie in capo e nelle mani corone, le presentò al pubblico supplichevoli, tentando per questo modo riparo alla mancata fortuna: ma i Prasini rigettarono la supplica. La loro buona sorte però volle che anche i Veneti fossero rimasti senza chi curasse le loro fiere; e ne diedero l’officio a quelle donne.

La madre, come le figliuole furono in età da potere starsi con uomo, essendo altronde belle fanciulle, le andava mettendo sulla scena, non tutte in una volta, ma bensì a mano a mano che ciò poteva convenire ad ognuna. Comitona, la maggiore di esse, distinguevasi già tra le prostibole2 sue eguali. Teodora, che alla prima veniva dietro per la età, con maniche alle braccia, come sogliono andar le servette, e vestita di una picciola tunica, la seguiva prestandole ogni opportuno servizio, e s’incaricava di portare sulle sue spalle la seggiola, su cui Comitona si adagiava ne’ circoli. Come poi giunse anch’essa al fior della età, e già fatta matura, venne dalla madre destinata alla scena, e presto fu una delle prostibole, che gli antichi chiamavano Planipedi; perciocchè nè fu trombettiera, nè cantatrice, [p. 95 modifica]nè ebbe nella orchestra alcuna parte propria; ma ad ognuno che si presentasse, di tutta la persona faceva copia a chi la trovava bella. Poscia si pose in teatro fra i mimi, e con essi si fece attrice delle varie favole che per far ridere si rappresentavano, avendo essa naturale ingegno pe’ frizzi e per le facezie: di modo che immantinente trasse a sè gli occhi di tutti, massime che nè verecondia era in lei, nè mai pudore la riteneva, ma lasciavasi facilmente abbandonare ad ogni lazzo impudico. Era in ispezialità così fatta, che ricevendo a gote gonfie gli schiaffi, n’alzava sì scherzose e lepide querele, che faceva sgangheratamente ridere tutti. Per lo che i più costumati uomini, se la incontravano nel foro, cercavano di sfuggirla, tenendosi di potere partecipar della infamia di lei, se per avventura soltanto toccassero colle loro le vesti sue: senza dire, che chi di primo mattino la incontrasse, l’avea in conto di un uccello di mal’augurio. Colle donne poi dello stesso teatro per innata lividissima tristizia comportavasi crudelissimamente.

Dal teatro di Costantinopoli andò nella Pentapoli insieme con Eccebolo tirio, prefetto di quella provincia, servendo ai piaceri di lui; ed essendosene egli disgustato, all’improvviso la discacciò, sicchè caduta in estrema miseria per vivere fu costretta a prostituirsi come prima. Passò di là a dirittura in Alessandria: indi scorso tutto l’Oriente ritornò a Costantinopoli, esercitando ovunque quel mestiere, che chi vuole Dio propizio non dee permettersi di nominarlo. E certamente i demonii fecero che nissun luogo fosse salvo dalle impudicizie di [p. 96 modifica]Teodora. Così accadde che fosse nata ed educata questa femmina, e che presso tutti gli uomini fosse celebratissima oltre misura sopra molte cospicue meretrici.

Ritornata adunque che fu in Costantinopoli, Giustiniano se ne innamorò ardentissimamente. Dapprima vivea con lei come con un’amorosa, quantunque fosse stato inalzato al grado patrizio, trovando in essa tutta la sua delizia, per tal modo le fu facile prendere un grande ascendente sopra di lui, ed accumolare enormi dovizie: perciocchè egli, come fanno tutti quelli che perdonsi dietro ad una donna, ogni voglia ne secondava, e di ogni ricchezza la riempiva: con che vieppiù crescea l’amore. Lei ebb’egli dunque compagna in ruinare i popoli, non tanto in Costantinopoli, quanto in ogni luogo dell’Imperio romano: massimamente che essendo entrambi della fazione Veneta, in potere di que’ sediziosi uomini aveano abbandonata la repubblica. Fermossi per altro alcun poco tanto male pel caso seguente. Era Giustiniano da lunga e pericolosa malattia attaccato a segno, che già la voce pubblica lo diceva morto. Intanto dai sediziosi commettevansi a furia di tumulti i delitti che di sopra accennai; e di bel giorno venne trucidato nel tempio di s. Sofia Ipazio, uomo per niente oscuro. Quel misfatto eccitò una sollevazione, poichè ognuno, prevalendosi della lontananza dell’Imperadore, arditamente le atrocità, e da sè, e da altri sofferte, usava vociferare, riandando insieme tutte quante anche le altre, che fossero state commesse in addietro. Portate adunque tutte queste cose alla cognizione dell’Imperadore, egli scrisse al prefetto della città, Teodoto Cucurbitino, onde ne [p. 97 modifica]facesse giustizia; e quel prefetto ricercati e imprigionati alcuni de’ rei, contro di essi procedette siccome la legge comportava; e gli altri per salvare la vita andarono a nascondersi, aspettati poi a perire insieme colla romana repubblica.

Ma per caso veramente miracoloso risanatosi l’Imperadore, tentò di ruinare Teodoto, come reo d’incantesimi e di venefizio; e non trovando fatti che lo facessero presumere tale, spinse alcuni famigliari di lui, stati aspramente battuti, a fargli contra false denuncie. Or mentre nissuno degli altri senatori si opponeva a questa iniquità, ridotto ciascheduno a deplorare in suo segreto le trame ordite contro Teodoto, Proclo questore ardì dire essere quell’uomo innocente, nè doversi a veruna punizione condannare. Ma per decreto imperiale fu deportato a Gerusalemme; e colà avendo udito essersi mandati sicarii per ammazzarlo, finchè visse stette nascosto nel tempio, ed ivi morì. Così andò l’affare di Teodoto.

Vero è però, che i sediziosi in appresso divennero moderatissimi sopra tutti, perciocchè si astennero da tali scelleraggini, quantunque, tanto braccio avendo, potessero con maggiore audacia abusarne. Dirò per altro, che poco dopo niuna processura si fece contra alcuni che aveano ardito commettere gli stessi capitali delitti; e ciò avvenne perchè i prefetti permisero ai colpevoli che doveano essere puniti, la facoltà di nascondersi: colla quale indulgenza al certo davano ansa ai malvagi d’insultare alle leggi.

Finchè visse l’imperatrice Eufemia, niun artifizio [p. 98 modifica]giovò a Giustiniano per fare che Teodora gli venisse fidanzata; e su questo punto quella principessa fu inflessibile, quantunque in ogni altra cosa ampiamente gli compiacesse. Era Eufemia donna da ogni perversità lontana, ma come, conforme io dissi, era barbara di stirpe, così inetta d’indole, e rozza di costumi com’era, non fu capace di virtù, e nel maneggio delle cose dello Stato fu pienamente imperita. Non portò nella reggia il suo nome proprio, che sarebbele stato d’ignominia; e le si diede quello di Eufemia. Essa non molto dopo morì. Giustino per la somma decrepitezza ridotto ad essere poco meno che scemo, ed affatto inetto agli affari, era divenuto il ridicolo de’ suoi sudditi, che lo aveano in pieno disprezzo. Tutti però paurosi ossequiavano Giustiniano, che senza alcun timore con isfrenata licenza pesava sopra gli altri. Prese egli allora a macchinare per isposar Teodora; e come un’antica legge proibiva ai senatori di prendere in moglie una meretrice, fece che l’Imperadore con una nuova costituzione quella legge abolisse. Ciò ottenuto sposò Teodora, aprendo così l’adito agli altri di contrarre matrimonii cotanto infami. E da quel punto incominciò ad affettare l’Imperio, e ad esercitare la tirannide, coprendo la violenza sotto il pretesto del bisogno che v’era di governare. Fu dunque proclamato Imperadore de’ Romani insieme collo zio; nè dico se ciò fosse fatto legittimamente, giacchè per ottenere quella proclamazione fu impaurito e minacciato il senato, e il popolo tutto empiuto di terrore.

Presero adunque la signoria Giustiniano e Teodora [p. 99 modifica]il terzo dì innanzi alla solennità della Pasqua, in un giorno cioè, in cui non è permesso augurar nè salute nè pace ad alcuno. Poco dopo Giustino morì di malattia, avendo regnato nove anni; e indi Giustiniano solo con Teodora regnò. Nella condizione che si è detta, nata allevata educata, Teodora senza alcuna fatica ascese al trono imperiale, non essendosi del matrimonio con lei Giustiniano vergognato, quando avrebbe potuto nella universa ampiezza del romano Imperio scegliersi in moglie una donna nobilissimamente nata sopra tutte, in alta famiglia educata, abituata al pudore, insigne per pudicizia, elegantissima di forme, e vergine di corpo, e in ogni cosa compitissima. Ma volle piuttosto far suo il comune obbrobrio degli uomini, non avendo di tante infamie vergogna, non ribrezzo degli abbracciamenti di una donna macchiata d’altre scelleratezze, e rea di tanti parricidii, quanti erano gli aborti di fanciulli, ch’essa s’avea spontaneamente procurati. Nè per certo a far conoscere il carattere di Giustiniano penso io che manchi alcuna cosa, poichè questo matrimonio solo abbastanza dimostra i vili e pravi affetti dell’anima sua, e prova i suoi perversi costumi. Imperciocchè colui che non teme di coprirsi del disonore che viene dalle cattive opere, e non sente l’esecrazione, di cui è oggetto presso gli altri; un tal uomo certamente non si vede più impedita alcuna via alle scelleratezze: chè anzi con isfrontata audacia facilmente precipita ad ogni più detestabile iniquità. Niun senatore, che vedesse tanta macchia farsi alla repubblica, pensò ad impedire quella infamia; e stava già sul punto [p. 100 modifica]di venerar Teodora come se fosse una divinità. Niuno tra i Vescovi mostrò di rimanere dolente, veggendosi di doverla chiamare signora. E coloro, che per l’addietro aveano nel pubblico teatro veduta Teodora, a mani alzate svergognatamente si dichiaravano suoi servitori. Nè il soldato, che pure in appresso era per gire ad arrischiar la sua vita per Teodora; nè alcun altro insomma tra gli uomini, ripugnò a tanta ignominia. Perchè siffatta turpitudine si compisse, pare a me che tutti concorressero a darvi mano. E videsi allora in certo modo la fortuna ostentar le sue forze, comprovando con tal fatto che arbitra essa delle umane cose le modera senza che in queste si sieguano le ragioni di convenienza; giacchè con temerario potere essa in un subito, se vuole, fa quello che parea impossibile a farsi; nè patisce resistenza nelle operazioni sue, ma tutti appiana gli ostacoli che le si oppongano; e procede sicura al suo scopo, qualunque questo sia: intanto tutti gli uomini alzansi innanzi a lei, e lascianle libera la strada. Ma queste cose non debbonsi credere fatte e dette, se non nel rispetto della provvidenza di Dio. [p. img modifica]

Note

  1. Orchestra dicevano gli antichi quella che noi diciamo platea.
  2. Si ritiene questo nome per più decenza.