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cesse giustizia; e quel prefetto ricercati e imprigionati alcuni de’ rei, contro di essi procedette siccome la legge comportava; e gli altri per salvare la vita andarono a nascondersi, aspettati poi a perire insieme colla romana repubblica.

Ma per caso veramente miracoloso risanatosi l’Imperadore, tentò di ruinare Teodoto, come reo d’incantesimi e di venefizio; e non trovando fatti che lo facessero presumere tale, spinse alcuni famigliari di lui, stati aspramente battuti, a fargli contra false denuncie. Or mentre nissuno degli altri senatori si opponeva a questa iniquità, ridotto ciascheduno a deplorare in suo segreto le trame ordite contro Teodoto, Proclo questore ardì dire essere quell’uomo innocente, nè doversi a veruna punizione condannare. Ma per decreto imperiale fu deportato a Gerusalemme; e colà avendo udito essersi mandati sicarii per ammazzarlo, finchè visse stette nascosto nel tempio, ed ivi morì. Così andò l’affare di Teodoto.

Vero è però, che i sediziosi in appresso divennero moderatissimi sopra tutti, perciocchè si astennero da tali scelleraggini, quantunque, tanto braccio avendo, potessero con maggiore audacia abusarne. Dirò per altro, che poco dopo niuna processura si fece contra alcuni che aveano ardito commettere gli stessi capitali delitti; e ciò avvenne perchè i prefetti permisero ai colpevoli che doveano essere puniti, la facoltà di nascondersi: colla quale indulgenza al certo davano ansa ai malvagi d’insultare alle leggi.

Finchè visse l’imperatrice Eufemia, niun artifizio

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