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nè ebbe nella orchestra alcuna parte propria; ma ad ognuno che si presentasse, di tutta la persona faceva copia a chi la trovava bella. Poscia si pose in teatro fra i mimi, e con essi si fece attrice delle varie favole che per far ridere si rappresentavano, avendo essa naturale ingegno pe’ frizzi e per le facezie: di modo che immantinente trasse a sè gli occhi di tutti, massime che nè verecondia era in lei, nè mai pudore la riteneva, ma lasciavasi facilmente abbandonare ad ogni lazzo impudico. Era in ispezialità così fatta, che ricevendo a gote gonfie gli schiaffi, n’alzava sì scherzose e lepide querele, che faceva sgangheratamente ridere tutti. Per lo che i più costumati uomini, se la incontravano nel foro, cercavano di sfuggirla, tenendosi di potere partecipar della infamia di lei, se per avventura soltanto toccassero colle loro le vesti sue: senza dire, che chi di primo mattino la incontrasse, l’avea in conto di un uccello di mal’augurio. Colle donne poi dello stesso teatro per innata lividissima tristizia comportavasi crudelissimamente.

Dal teatro di Costantinopoli andò nella Pentapoli insieme con Eccebolo tirio, prefetto di quella provincia, servendo ai piaceri di lui; ed essendosene egli disgustato, all’improvviso la discacciò, sicchè caduta in estrema miseria per vivere fu costretta a prostituirsi come prima. Passò di là a dirittura in Alessandria: indi scorso tutto l’Oriente ritornò a Costantinopoli, esercitando ovunque quel mestiere, che chi vuole Dio propizio non dee permettersi di nominarlo. E certamente i demonii fecero che nissun luogo fosse salvo dalle impudicizie di Teo-