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CAPO V.

Fozio e Belisario sospendono la vendetta risoluta, ed entrano in Persia. Ruina di Giovanni cappadoce. Partenza di Teodosio per Efeso, e di Antonina per l’esercito. Alla nuova della venuta a lui di Antonina Belisario si ritira dal paese nemico. Conseguenza di questa sua cattiva condotta.

Però non parve che si potesse per allora tentare il colpo senza esporsi a gravissimo rischio; e piuttosto doversi aspettare che Antonina partisse da Costantinopoli, e Teodosio ritornasse ad Efeso. Allora Fozio tratto sarebbesi colà; e senza difficoltà veruna avrebbe potuto mettere le mani addosso a Teodosio, e a’ suoi tesori. Intanto essi entrarono con tutto l’esercito nelle terre di Persia.

Ma in Costantinopoli accadde allora la catastrofe di Giovanni cappadoce da me narrata in altri libri di questa Storia: rispetto a cui prudentemente mi tacqui che Antonina di tutto proposito e Giovanni e la figlia ingannò, dopo che con ripetuto giuramento, di cui nulla presso i Cristiani è più tremendo, assicurati li avea entrambi, che nulla fatto essa avrebbe in loro danno. Ciò finito, e fidata nell’amicizia dell’Augusta, rimanda Teodosio in Efeso; e senza sospetto veruno parte per l’Oriente.

Era Belisario di recente entrato in Isauria, quando ebbe avviso che Antonina veniva. Egli di subito, ogni altra cosa lasciata, ordina che l’esercito si ritiri. Altro motivo per avventura, come in addietro narrai, ebbe [p. 59 modifica]l’esercito di querelarsi dell’abbandonamento di ogni bagaglio: ma però è certo, che assai a quello sconcio contribuì la gran fretta, colla quale a cagione dell’arrivo di Antonina la ritirata si eseguì; e questa particolare cagione non mi parve sicura cosa il dichiararla, siccome da principio dissi, prima d’ora. Fatto è poi, che da quel tempo il popolo romano parlò male di Belisario, come quegli, che ai sommi interessi della repubblica preferito avesse i domestici. E di vero gravemente turbato per gli affronti fattigli dalla moglie, di mal animo potea dai confini dell’Imperio allontanarsi troppo, inteso, com’era, a voler vendetta di Teodosio tosto che avesse saputo che Antonina si fosse partita di Costantinopoli. Egli intanto ordina ad Areta, che con un corpo di truppa passi il Tigri; cosa che Areta non eseguì, ritornato essendo senza laude al grande accampamento. In quanto a sè, prese le sue misure per non discostarsi dalla frontiera romana nemmeno quanto porta il cammino di una sola ora, comunque pur fosse che il posto presidiato in Isauria non ne distasse più di quanto in un giorno può uom sollecito scorrere venendo da Nisibi: essendo altronde la strada più breve della metà. Ed è poi certo che se da principio con tutto l’esercito Belisario passato avesse il Tigri, egli tutta la provincia degli Assirii avrebbe potuto mettere a sacco, e senza impedimento giungere sino a Ctesifonte: così prima di ritirarsi liberando e gli Antiocheni, e quanti Romani erano prigionieri. Diversamente facendo diede comodo a Cosroe di ritornare in tutta sicurezza nel suo regno dalla spedizione che fatta avea nella Colchide. Ed ecco come ciò fu. [p. 60 modifica]

Cosroe, figliuolo di Cabada, era entrato nella Colchide, e presa la fortezza di Pietra, e fatte le imprese da me già altrove descritte, avea finalmente toccata grande sconfitta, e per la gente mortagli nella battaglia, e per le scoscese rupi, e le vette de’ monti, e le strette gole, e i folti boschi, e per quanto presentava il paese d’impedimenti al cammino. A ciò si era anche aggiunta la pestilenza, che gran parte dell’esercito consumava, e la mancanza di ogni cosa più necessaria. In tale frangente gli fu recata notizia per alcuni che venivano di Persia, qualmente Belisario, sconfitto avendo Nabida presso Nisibi, s’inoltrava nel paese, e che presa d’assedio la piazza d’Isauria conduceva seco prigionieri di guerra Blescame, ed ottocento cavalieri persiani. Oltre ciò, che un altro esercito romano con alla testa Areta, capitano de’ Saraceni, passato il Tigri, tutta l’adiacente provincia, non istata mai da nemiche irruzioni molestata, metteva a guasto. Aggiungevasi, che una squadra di Unni, da Cosroe mandata addosso agli Armeni sudditi dell’Imperio romano, onde far diversione ai nemici mentr’egli invadeva la Colchide, s’era imbattuta in Valeriano e ne’ Romani; e nella battaglia, che avea dovuto sostenere, era rimasta pressochè affatto distrutta. Udite tali cose i Persiani, già a sì mal partito ridotti, siccome dicemmo, per la malvagità del paese in cui trovavansi, giustamente temettero, che se in tali angustie i nemici fossero venuti ad assaltarli in mezzo ai ruinosi monti della Lazica, e a quegl’impenetrabili boschi, tutti quanti che fino allora si erano salvati, sarebbero periti con infamia, e con certissima perdita dei [p. 61 modifica]figli, delle mogli, e della patria: massimamente poi che il rimanente esercito loro continuava ad essere afflitto da malattie. Quindi alzatisi i più ragguardevoli dell’esercito contro Cosroe, lui ingiuriavano, accusandolo di essersi fatto spergiuro ed empio, perciocchè avea ad un tempo violata la religione del giuramento, e il diritto comune delle genti; ed anzi confermata già pace ed alleanza coi Romani, con ingiusta guerra ne devastava poi i paesi, assaltando di tale maniera uno Stato per antichità e dignità senza uguale sulla terra, e ch’egli battagliando non era capace di vincere. Ed erano già i suoi soldati omai volti a qualche gran novità. Di che temendo Cosroe, volse l’animo a trovar rimedio al male; e incominciò dal rileggere una lettera, che recentemente l’Augusta avea scritta a Zabergane. La lettera diceva così. = Di che animo, o Zabergane, siamo verso di te, non dubitando che non sii per essere favorevole alle cose nostre, tu facilmente puoi averlo compreso quando ultimamente fosti ambasciatore da noi. Per lo che pienamente corrisponderai coi fatti al concetto che ho di te, se al re Cosroe persuaderai d’essere di animo amichevole verso il nostro Stato. Il che ove tu faccia, ti do parola che amplissimo premio otterrai da mio marito, il quale devi sapere che nulla fa senza il voler mio =. Letta adunque codesta lettera Cosroe ebbe a dire ai principali de’ Persiani ch’erano seco, essere egli per meravigliarsi assai, se eglino facessero conto di uno Stato che veniva governato da una donna: e con questo tratto potè ritenere l’impeto, a cui erano per abbandonarsi contro di lui. Però temette, che [p. 62 modifica]Belisario gli potesse chiudere la strada al ritorno nel suo paese; e per questo levò il campo; e non avendo incontrato nemico, sano e salvo si trasse in Persia.