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Cosroe, figliuolo di Cabada, era entrato nella Colchide, e presa la fortezza di Pietra, e fatte le imprese da me già altrove descritte, avea finalmente toccata grande sconfitta, e per la gente mortagli nella battaglia, e per le scoscese rupi, e le vette de’ monti, e le strette gole, e i folti boschi, e per quanto presentava il paese d’impedimenti al cammino. A ciò si era anche aggiunta la pestilenza, che gran parte dell’esercito consumava, e la mancanza di ogni cosa più necessaria. In tale frangente gli fu recata notizia per alcuni che venivano di Persia, qualmente Belisario, sconfitto avendo Nabida presso Nisibi, s’inoltrava nel paese, e che presa d’assedio la piazza d’Isauria conduceva seco prigionieri di guerra Blescame, ed ottocento cavalieri persiani. Oltre ciò, che un altro esercito romano con alla testa Areta, capitano de’ Saraceni, passato il Tigri, tutta l’adiacente provincia, non istata mai da nemiche irruzioni molestata, metteva a guasto. Aggiungevasi, che una squadra di Unni, da Cosroe mandata addosso agli Armeni sudditi dell’Imperio romano, onde far diversione ai nemici mentr’egli invadeva la Colchide, s’era imbattuta in Valeriano e ne’ Romani; e nella battaglia, che avea dovuto sostenere, era rimasta pressochè affatto distrutta. Udite tali cose i Persiani, già a sì mal partito ridotti, siccome dicemmo, per la malvagità del paese in cui trovavansi, giustamente temettero, che se in tali angustie i nemici fossero venuti ad assaltarli in mezzo ai ruinosi monti della Lazica, e a quegl’impenetrabili boschi, tutti quanti che fino allora si erano salvati, sarebbero periti con infamia, e con certissima perdita dei