Storia di una capinera/XXII
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | XXI | XXIII | ► |
8 Febbraio, 1856.
Ho compito il noviziato. Mi hanno ottenuto una dispensa per ragioni della mia salute ch’è sempre cattivissima. Ho spesso la febbre, tossisco e son diventata così debole che la menoma fatica mi stanca. Però il mio cuore è calmo, e questa è la maggiore benedizione che Dio abbia potuto accordarmi. Qualche volta la fragilità si ribella, la tentazione mi riassale; allora mi prostro ai piedi dell’altare, passo le notti inginocchiata sul freddo pavimento del coro, macero il mio corpo coi digiuni e colle penitenze, e allorchè le mie forze son rifinite, la tentazione è vinta, e la calma ritorna. Quest’anno di prova è stato assai duro. Ma il buon Dio me ne ha fatto trionfare. Ho veduto partire la mia famiglia al sopravvenire del coléra, l’estate scorsa; ho provato anche l’abbandono dei miei.... sono stata sul belvedere a fissare gli occhi su quei bei luoghi ove un tempo anch’io era con loro.... Ahimè! i bei tempi!... Ho pensato a tante cose.... Ho pianto, sì, è vero, mi son sentita debole qualche volta, ma infine ho trionfato.
Ogni cosa qui serve a rinchiudere l’anima in sè stessa, a circoscriverla, a renderla muta, cieca, sorda per tutto quello che non è Dio. Eppure anche ai piedi del Crocifisso, quando mi assalivano quelle tentazioni.... e pensava a quella nostra casetta, a quei campi, a quella capannuccia, a quel fuoco che cuoceva la minestra della castalda, domandavo a me stessa se quella povera contadina che si cullava i suoi bimbi sulle ginocchia, senza le mie tentazioni, senza i miei scrupoli, senza i miei rimorsi, non sia più vicina a Dio di me che mi mortifico con mille privazioni li mio spirito ribelle.
Quante volte non mi sono passati dinanzi agli occhi quei monti, quei boschi, quel cielo ridente!... Quante volte non ho detto: a quest’ora essi son seduti in crocchio sotto quel castagno, a quest’ora passeggiano pel viale della vigna, a quest’ora Vigilante abbaia, gli uccelletti pispigliano sulla gronda!... e quando mi son destata come di sognare mi son trovato il viso tutto bagnato di lagrime.
E poi un altro pensiero.... un altro fantasma.... lì.... sempre lì, fisso dinanzi agli occhi.... ai piedi della croce, in mezzo alla folla che ascolta la messa in chiesa, al capezzale del mio letto, dietro quella cortina di saja verde! la tentazione che mi afferra pei capelli, che mi strappa dalla preghiera, che mi fa piangere, che mi fa delirare.... Delle volte mi è sembrato di divenir pazza, e ne ho ringraziato Iddio, perchè i pazzi non sono colpevoli.... La domenica, fra tutta quella gente laggiù in chiesa mi sembra di veder lui!... Mi segno, corro ai piedi del confessore spaventata, piangente; il buon vecchio tenta confortarmi, e mi prescrive quelle penitenze che devono scancellare dal mio cuore codesta macchia, ma che riescono inefficaci perché io sono una gran peccatrice.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ma egli avrebbe potuto venire in chiesa una sola volta almeno.... ad ascoltar la messa.... senza neanche alzare gli occhi verso il coro.... ma soltanto per farsi vedere.... Egli saprà che son qui e non ha cercato di vedermi!
Dio! Dio mio! Perdonami, Marianna.... vedi come son colpevole! come sono infelice!... È il demone che mi assale quando meno me lo aspetto.... Quante volte, pregando il Signore che mi tolga da cotesta croce, non ho abbassato gli occhi verso la chiesa per vedere se egli fosse là, per cercarlo tra la folla! e la preghiera è spirata sulle mie labbra!... e il mio pensiero si è arrestato su di lui!... a vaneggiare, a sognare di correre pei campi, di ascoltare quel passo, quel colpo bussato alla finestra, e a guardare quelle stelle, e toccare quella mano accarezzando la testa di quel bracco e sentirmi alle orecchie quel nome: Maria! come se venisse dal cielo!....
Oh Dio mio, son fragile, son debolissima.... ma lotto, mi difendo.... Non ci ho colpa, Dio mio!... È più forte di me, della mia volontà, del mio rimorso, della mia fede.
Tu mi scrivi che sei felice, che sei contenta anche fuori del convento. Ringrazia il buon Dio, Marianna mia, che ti ha serbato la mamma, che non ti ha fatto nascere povera, che non ti ha confitto nel cuore questa spina, che non ti ha fatta debole, isterica, nervosa, malaticcia.
Solo quando questa materia si dissolverà io non soffrirò più. Ecco perchè vorrei staccarmi dal mondo che mi afferra ostinatamente, ed alzo gli occhi e le braccia supplichevoli verso il cielo....
Ora che son ritornata presso la mia buona Filomena, che ha pietà delle mie pene e mi procura il conforto di scriverti e di ricevere le tue lettere, ti scriverò qualche altra volta prima di profferire i voti solenni. Tu verrai alla cerimonia, non è vero?
Voglio dire addio a tutti coloro che mi son cari attraverso quella gelosia, tra il fumo degli incensi e il suono dell’organo. Voglio che tutti quei volti amici mi confortino nell’arduo passo, perchè il mio povero cuore è debole; ho bisogno di poter fissare i miei occhi nei tuoi e in quelli del babbo, di mia sorella, di Gigi, di Annetta, allorchè sentirò la forbice stridere fra i miei capelli....
Ho paura, ho paura, Marianna!... Ho paura di quelle forbici.... Ho paura di quel momento!...
Ho paura di lui... s’egli venisse in chiesa quel giorno!... Dio mio! No! no! son debole, Dio mio!... no! per pietà!...
Tu verrai insieme a mio padre, Giuditta, mio fratello, la mamma, Annetta, i signori Valentini....
Dio mio! sia fatta la vostra volontà!