Storia di Reggio di Calabria (Spanò Bolani)/Libro quinto/Capo quinto

Libro quinto - Capo quinto

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CAPO QUINTO

(Dall’anno 1466 al 1475)

I. Alfonso Duca di Calabria fa dimora in Reggio. II. Capitoli ed Ordinazioni municipali. Riordinamento del Municipio reggino. III. Prepotenze di Bertoldo Carafa a danno dei Reggini. Vi pone rimedio il Duca di Calabria. Prima edizione ebraica del Pentateuco.


I. Finita la guerra, il Duca di Calabria continuò di far dimora nel Ducato, e fermò in Reggio la sua residenza ordinaria. Attese allora ad assestare in ogni sua branca l’interna amministrazione di questo Ducato, e nel 1473 approvò que’ Capitoli ed Ordinazioni, coi quali l’Università ed uomini della nobile città di Reggio avessero a governarsi per l’avvenire. E poichè questi capitoli ed ordinazioni furono il fondamento della legge che resse il municipio reggino da questo tempo a tutto il decimottavo secolo, porta il pregio che noi, soprassedendo alquanto dal discorso della storia politica, ci fermiamo a dare una succinta e chiara esposizione di tal legge.

Prima de’ tempi di Ferdinando d’Aragona l’università di Reggio aveva bensì i suoi uffiziali ordinarii, ma l’amministrazione municipale non era regolata da certe leggi, ed assai spesso tra i regii uffiziali e quelli del municipio sorgevano quistioni sulla loro mutua competenza e giurisdizione. Il Duca di Calabria coll’approvazione de’ nuovi Capitoli faceva che le attribuzioni degli uffiziali municipali fossero definite con pienezza e lucidità, e non si desse più luogo a dubbii e ad arbitrii. E siccome tali Capitoli furono scritti in lingua italiana, noi qui riferiremo nella sua integrità questo documento, solo correggendone l’antica ortografia, ma lasciandone interissime le costruzioni, le frasi ed i vocaboli, quali trovansi scritti nella pergamena originale. E questo facciamo, perchè veggano i lettori che nel secolo decimoquinto la lingua italiana presso di noi si scriveva con bastante chiarezza e correzione, e meglio che non si fece nel tempo successivo

II. Capitoli ed Ordinazioni, co’ quali l’Università ed uomini della nobile città di Reggio si avrà in futuro a governare sotto il felice dominio della maestà del Signor Re, e de’ suoi eredi e successori; fatti e concessi per l’Illustrissimo Signore Don Alfonso d’Aragona [p. 239 modifica]Duca di Calabria, Regio Primogenito e Vicario generale per parte della Maestà predetta, per il buono, quieto e pacifico viver loro.

Imprimis ordina e concede il dello Signor Duca che de cetero ogni Consiglio generale, che si farà o celebrerà in detta città, si faccia ad sonum campanae, presente il Capitanio o altro uffiziale di detta città, ovvero suo luogotenente, Giudice o Assessore; perchè abbia notizia delle cose che in detto Consiglio si proporranno; e per evitare ogni tumulto, errore e scandalo che talvolta accader suole. Nel qual Consiglio generale sia lecito ad ognuno poter intervenire, senza che si possa esser proibito, ributtato o cacciato.

Item ordina e concede il detto Signore che la detta Università ogni anno faccia il detto Consiglio generale, serbata la forma predetta; nel qual Consiglio debbano eleggere trenta cittadini, cioè quindici gentiluomini de’ più nobili, e quindici del popolo, facendo detta elezione quietamente senza rumore, dicendo ciascheduno il parere e voto suo in questo modo: — Che per un Notajo ovvero Mastrodatti, in presenza del detto uffiziale, si scrivano i nomi e cognomi de’ cittadini che saranno eletti, e di coloro che li eleggeranno e nomineranno. Quali trenta eletti per uno passino almeno l’età di venticinque anni, servando questo modo in detta elezione; — Che li gentiluomini e più nobili cittadini nominino de’ loro, e quelli del popolo de’ loro del popolo; sicchè ciascheduno degli assistenti o intervenienti in dello Consiglio generale scriva e faccia scrivere in una cartuccia il nome di quello che vorrà eleggere e nominare. Le quali cartucce si mettano in due bossoli, o berrette; cioè separate quelle de’ gentiluomini in uno, e quelle del popolo in altro; e da ognuno di detti bossoli o berrette si caccino per un garzone quindici cartucce una dopo l’altra; e quelli che saranno scritti o nominati in quelle cartucce così tratte, sieno per quell’anno i detti trenta eletti. La quale elezione de’ trenta per il presente anno si faccia incontinente che i presenti capitoli saranno pubblicati. E dopo si faccia l’altra elezione nella festa di Nostra Donna di agosto prima ventura; e così ogni anno in futuro si serbi e faccia in detta festa. E che per i trenta Eletti si possano fare e trattare tutte le cose all’Università occorrenti, secondo la forma de’ presenti capitoli.

Item vuole ed ordina il detto Signore che de’ detti trenta Eletti ogni anno si debbano eleggere e mutare diversi per modo che chi sarà stato per un anno di detti eletti non ci possa essere l’anno seguente.

Item ordina e concede detto Signor Duca che venendo la festa predetta di Nostra Donna di agosto prima ventura, i detti trenta Eletti, senza convocare altro Consiglio generale possano e debbano eleg[p. 240 modifica]gere gli uffiziali della detta città, o Università, e così in seguito ciascun anno in futuro. In questo modo che presente il detto regio Capitanio o luogotenente, Giudice o Assessore, quietamente, senza strepito e rumore, eleggano e nominino quattro gentiluomini e più nobili cittadini all’uffizio di Sindaco, tre del popolo artigiani all’uffizio di Mastrogiurato; due all’uffizio di Giudice annuale (cioè uno delli gentiluomini e più nobili cittadini, e l’altro del popolo); due Auditori de’ conti ovvero Razionali, (uno di detti gentiluomini più nobili cittadini, e l’altro del popolo); all’uffizio di Tesoriero o Erario delle pecunie della detta Università uno dei gentiluomini più nobili cittadini. I quali uffiziali si possano per i detti trenta Eletti eleggere o nominare de’ loro medesimi, ovvero di fuori del detto numero, come meglio parrà loro: facendo detta elezione o nominazione ovvero scrutinio con fave bianche e negre mettendole in un berretto secretamente; che le fave bianche sieno per la parte affermativa, e le negre per la negativa. Ed a ciascheduno de’ detti sieno date due fave, una bianca ed una negra, dal regio Uffiziale, perchè si possa mettere in detto scrutinio una di quelle che meglio li parrà, ovvero si faccia per cartucce come loro sarà veduto.

Item ordina e concede il detto Signore che fatta detta elezione l’università sia tenuta, e i detti trenta Eletti e Sindaci per parte di quella debbano incontanente scrivere, ed avvisare la maestà del Signor Re, ovvero il Vicario e Luogotenente generale di detta provincia, mandandogli la lista di detta elezione, perchè si possano confermare due Sindaci, due Mastrogiurati, ed agli altri uffizii coloro che alla della Maestà ovvero Luogotenente generale parranno. E quando non paresse espediente che i detti nominati ad alcuni de’ detti uffizii si dovessero confermare, in tal caso i detti trenta Eletti debbano fare altra elezione o nominazione, e mandarla al modo predetto per ottener la detta confermazione, senza la quale nessuno de’ detti uffiziali debba nè possa esercitare detti uffizii.

Item ordina e concede il dello Signore, che ogni volta che bisognerà, i detti trenta Eletti si congreghino nella chiesa di San Gregorio della detta città, i quali (compresi in detto numero Sindaci, Mastrogiurati, Tesorieri, Auditori ovvero Razionali) possano e debbano trattare, fare, governare ed eseguire ogni cosa alla detta università per quell’anno occorrente, e necessaria tanto per far pagamenti, mandar Sindaci, o per qualunque altro rispetto, senza convocare, o celebrar Consiglio o Parlamento generale; intervenendovi però con essi il detto regio Uffiziale. Riservando e dichiarando che se le faccende o cause dell’università saranno di poca importanza, [p. 241 modifica]come di spender fino alla somma di tre ducati in giù, i detti Sindaci col Tesoriero ed Auditore lo possan fare eseguire, senza convocare i detti trenta, intervenendovi sempre il detto Capitanio o suo luogotenente ed Assessore, se non fossero di querele che contra loro si proponessero o trattassero. E se forse alcuno ne fosse morto, malato, o legittimamente impedito o assente, i restanti per quella volta possano eleggere degli altri, per quanti saranno i morti, ovvero malati, assenti, o legittimamente impediti; e che ninno dei predetti possa sostituire in luogo suo alcuno, se non sarà per i detti trenta eletto con pari consentimento.

Item vuole, ordina e concede il detto Signore che i predetti trenta co’ Sindaci ed altri uffiziali non possano, nè debbano dedurre o mettere in esecuzione cosa alcuna che si tratterà per il bisogno ed interesse della detta università se non sarà prima ben consultala e discettata fra loro, ed almeno per le due parti conclusa, sicchè, presente il detto regio uffiziale, il notajo ovvero mastrodatti debba scrivere la proposta di tali consigli, ed i voti de’ detti trenta Eletti, quale ciascheduno dirà, e separatamente l’uno dall’altro, perchè si vegga se con deliberazione o voto delle due parti si faranno ed eseguiranno le faccende dell’università predetta; sicchè in questi si serbi la prammatica per il detto Signor Duca nuovamente fatta generalmente nella provincia, ed alla detta università presentata. Il qual notajo ovvero mastrodatti si debba eleggere ogni anno diverso, ed abbia qual emolumento e prerogativa ch'è solito fino al presente avere, per scrivere e far le faccende di detta università.

Item vuole, concede e dichiara il detto Signor Duca che ne’ con sigli che si faranno per i detti trenta, se alcuno di questi non volesse liberamente dire il voto suo o parere, per dubbio che l’Uffiziale presente non lo avesse a riportare, in tal caso, essendo richiesto il detto regio Uffiziale, si tiri a canto del detto Consiglio, e dopo torni al luogo suo, e veda se essendo concluso detto Consiglio, la cosa sarà deliberata per le due parti di detti Eletti al modo predetto. Di che il detto Signor Duca non fa ad altro fine la intervenzione o assistenza del detto Capitanio se non per vedere che non si pretermetta l’ordine di detti Capitoli, e che le faccende dell'università non si facciano ad arbitrio e voto di due o tre cittadini, o de’ pochi, come molte volte accader suole.

Item vuole ed ordina il detto Signor Duca che coloro che saranno stati Uffiziali in un anno non possano per tre anni essere in quelli medesimi nè in altri uffizii di quell’università, perchè in questo modo si ripartano per tutti tali uffizii, ed ognuno abbia dell’affanno e del[p. 242 modifica]l’utile e dell’onore. I quali Sindaci, Mastrogiurati e Giudici abbiano quel salario ed emolumenti che saranno soliti avere.

Item vuole ed ordina il detto Signor Duca, che i Sindaci, i quali sono soliti fare a’ tempi statuiti l’uffizio di Mastromercati della fiera, non possano fare o giudicare le cose occorrenti in quella di loro arbitrio; ma debbano avere due assistenti cittadini, che si debbono eleggere ogni anno diversi per i detti trenta Eletti, senza i quali detti Sindaci non possano sindacare le cause e differenze, che fra i dichiaranti a detta fiera occorreranno. I quali Sindaci delle cose della fiera, fra quindici dì che quella sarà fatta, ed i Mastrogiurati debbano in fine dell’anno per venti dì stare a sindacato delle cose di loro uffizio dinanzi il predetto regio Capitanio, e due cittadini; i quali due cittadini si debbano eleggere per i detti trenta Eletti.

Item vuole ed ordina il detto Signore che i Mastrogiurati in principio dell’anno donino al Capitanio la lista o matricola degli uomini della loro guardia, e che non possano accordare di non far guardia: non meno fare mangierìe di comandare più uomini che lor saranno ordinati a qualsivoglia bisogno per servizio e stato della detta Maestà, e per interesse dell’Università.

Item vuole detto Signore e conferma che l’Erario debba ricevere le pecunie dall’università, tanto per gabelle, quanto di ogni altra cosa alla detta università spettante. Il quale non debba dispendere cosa alcuna, se non con condizione e cedola e comandamento de’ detti Eletti, Sindaci, Auditori e Razionali; eccetto nelle cause o dispense di tre ducati in giù, com’è detto di sopra. E se altramente si dispenderanno per detto Tesoriero, e non mostrasse le ordinazioni, o cedole o comandamenti, sia tenuto restituirle all’università.

Item vuole ed ordina il detto Signor Duca che le gabelle e le altre entrate dell’università si debbano vendere in pubblico incanto, presenti i detti trenta Eletti, Sindaci ed Auditori, che almeno le due parti sieno concordi al vendere di quelle; e che tale concordia si mostri per mezzo del libro del Notajo dell’università. Ed anco il Notajo che stipulerà il contratto della vendizione ed ingabellazione ne faccia menzione come a lui costa di detta concordia delle due parti: però dichiarando che nel primo ed ultimo incanto di dette gabelle, per vendersi quelle per tutto l’anno solamente, intervengono tutti i detti trenta Eletti; ma fra l’anno basta ci sieno i venditori deputati al vendere delle gabelle, i quali ne donino notizia agli Eletti, ed al Notajo dell’università. La quale vendizione si faccia in questo modo: che il compratore e gabelloto si obblighi terza per terza, pagare la rata del terzo di dette gabelle all’Erario della città; perchè [p. 243 modifica]quello le possa pagare al regio Tesoriero della provincia, o suo sostituto, per la rata dei pagamenti fiscali, che per l’università si pagano e pagheranno in futuro alla regia Corte; e che tali gabelle non si possano vendere altramente innanzi tempo per minor prezzo. Ed anche dette gabelle si vendano ad uomini possenti ed idonei, e si pigli pleggeria di loro per il pagamento del prezzo di dette gabelle.

Item vuole ed ordina il detto Signore che i Sindaci, Erario, ed ogni altro Uffiziale, che amministrerà le cose dell’università, in fine dell’anno sia tenuto dar conto e ragione all’università in potere degli Auditori, Sindaci e Tesoriero o Erario, intervenendoci il Razionale della regia Corte, che è generalmente nella Provincia, e sarà deputato a vedere i conti delie terre e città demaniali, senza il quale Razionale regio, non si possa liquidare i conti, non meno farsi le quietanze o assolutorie: o che per nessun modo l’università, nemmeno i detti Sindaci ed Eletti possano far grazia, remissione, donazione e relassazione alcuna de’ debiti o residui della detta università ad alcuni debitori di quella; e che in tutto e per tutto si osservi la prammatica del detto Signore nella provincia a questo fine ordinata, ed all’università presentata.

Item per rifrenare l’audacia de’ delinquenti, incoraggiati dall’impunità de’ delitti (massime per il privilegio che detta città avea delle penitenze nelle cause criminali anche usque ad sententiam, e che non si procedesse ex officio curiae se non ad istanza della parte) attesochè per detta Maestà fu ordinata e pubblicata una Prammatica generale nel Regno che non abbiano luogo dette penitenze nelle cause criminali; nelle quali di diritto e giusta i Capitoli del Regno può procedersi ex officio Curiae, non sieno dette penitenze in tal caso ammesse, come nella prammatica si contiene:

Vuole, ordina, concede. e dichiara e comanda il detto Signor Duca che non ostante detti privilegi ogni gran Corte possa e debba procedere ex officio curiae per inquisitionem generalem et specialem contra i cittadini ed abitatori della città in quibuscumque delictis et causis, ne’ quali si deve imporre pena di morte, o di mutilazione di membro; ne’ quali delitti e cause il Capitanio della città o suo luogotenente, presenti e futuri, possano per speciale inquisizione ex officio curiae procedere. Ma in tutte le altre cause criminali, nelle quali de jure non si può e non si deve imporre detta pena di morte o mutilazione di membro, si serbino detti privilegi che non si possa procedere ex officio curiae se non sopra l’accusa della parte, e che le penitenze in quelle abbiano luogo giusta la forma de’ privilegi; e [p. 244 modifica]che per dette penitenze non si pigli se non il solito e consueto. E per speciale grazia il detto Signore concede e dichiara che in tutti i delitti predetti, commessi e patrati sin al dì presente della data dei presenti Capitoli, nessuna Corte, nemmeno il Capitanio, possa procedere ex officio curiae per inquisizione, ma solo ad istanza della parte contraria, serbandosi in quelli la penitenza e remissione com’era solito per detti privilegi. Dichiarando che acciò che detti delitti omnino sieno puniti, le pene corporali ne’ casi presenti non si possano alterare, nè mutare o comporre in pena pecuniaria dal detto Capitanio o regio Uffiziale, perchè si veda e comprenda che le inquisizioni non si facciano per estorquere pecunie da’ regii sudditi, ma per lo culto della giustizia.

Item vuole ed ordina il detto Signor Duca che quando accadesse che il Capitanio della città, che sarà per un anno, restasse in uffizio oltre il detto anno per aspettare il suo successore, che non si possa per modo alcuno privare di detto uffizio, nè di sua giurisdizione, come adesso è per un abuso introdotto, ma omnino debba reggere e governare l’uffizio come Capitanio finchè venga il successore. E questo vuole il detto Signore che si faccia senza derogazione de’ privilegi della città, i quali ancora che dicano che il Capitanio si debba mutare ogni anno, già per ciò non si deve, nè può interpetrare tanto strettamente che finito anno sit functus officio; perchè deve usare sua giurisdizione fino alla venuta ed ingresso del successore, come in altra città e terre di tutto il regno si accostuma, e si deve di ragione osservare. Sicchè la delta città ed uomini di quella non debbano fare istanza di far desistere il Capitanio dall’uffizio suo, come fin al presente aveano fatto, ma debbano aspettare l’uffiziale successore.

Item concede detto Signor Duca che i Baglii della città non possano accordare nessun bestiame, ovvero i padroni di detto bestiame innanzi tempo, ovvero innanzi che facciano il danno, perchè i padroni di detto bestiame non commettano abbondantemente danno nelle possessioni dei cittadini come adesso commettono certi, che ogni volta che fanno danno, ancora che sieno accusati, non pagano integramente la pena. E questo si osservi per detti Baglii alla pena di once quattro ogni volta che saranno accusati, le quali once per la metà al regio fisco, e per l’altra all’accusatore si debbono applicare. I quali Baglii sieno tenuti, e debbano fare giustizia spedita alle parti delle accuse de’ danni dati, o di altre accuse di debito, che nella corte loro si proporranno, facendo satisfare alle parti. Del che giustamente devono aver modo che prima facciano satisfare le parti, e [p. 245 modifica]dopo procedano contro il condannato alla pena che sarà tennto, o per danno dato, o per contumacia, o per altra obbligazione, per togliere la dissuetudine che detti Baglii ànno introdotta. Non essendo fatta per loro la condannazione, attendano ad eseguire la pena che tocca alla lor corte, omettendo la esecuzione della parte. E quando faranno il contrario, nel tempo della sindacazione se ne possa aver contra loro regresso o ragione, perchè il detto Signore, benchè generalmente, intende ordinare che i Baglii della provincia delle terre demaniali debbano stare a sindacato in fine dell’anno dinanzi il Capitanio come uffiziale deputato della regia Camera della Sommaria. Nientedimeno, a maggior cautela del presente Capitolo, ordina e concede e comanda che i Baglii della città stiano ciascun anno, in fine del loro uffizio, a sindacato dinanzi il Capitanio di essa o suo luogotenente, ovvero in assenza loro dinanzi il Giudice o Assessore, come uffiziali delegati ed ordinati dalla detta Camera della Sommaria, i quali per parte di essa Camera il Signor Duca li ordina a tal sindacato.

Item il detto Signor Duca, intendendo ab antico essere solito ed osservato nella detta città, che il Capitanio non possa nè debba pigliar per salario delle sentenze che dona in cause criminali, se non tarì uno e grana quindici, (cioè tarì uno per esso, grana dieci per il Mastrodatti, e grana cinque per il sargente) ed essere introdotto per abuso ovvero per usurpazione che adesso si pigli più di tarì uno sotto colore del consiglio del Giudice, il quale ha già gli emolumenti e guadagni suoi ordinati, però provvede concede ed ordina il detto Signor Duca, che il Capitanio non pigli se non un tarì e grana quindici per dette sentenze com’era prima solito, non ostante il detto abuso ed usurpazione.

item ordina e concede il detto Signore, accadendo che alcuno aguzzino andasse alla città per fare esecuzione alcuna in pigliar delinquenti, o altri esercizii mandati ad istanza della Corte o dell’accusatore, non si possa pagare dalla parte accusata alcun salario, se non quando costasse del delitto, e incominciasse a costare nella Corte, dove contra il delinquente si procederà; il qual salario sia di cinque carlini il giorno.

Demum il detto Signor Duca statuisce e conferma che i presenti Capitoli sieno osservati ad unguem da’ predetti uomini ed università, e da’ suddetti Consiglieri o Eletti, Sindaci, Mastrogiurati ed altri uffiziali presenti e futuri, e che ogni volta che si contrafarà, s’incontri per l’inubbidienza la pena di once cento, la metà alla parte, e r altra metà applicanda all’accusatore; e che l’Illustrissimo Don Enrico Come, Luogotenente generale della detta Provincia, ed altro [p. 246 modifica]qualsivoglia Vicerè ed Uffiziale, Auditore, o per qualunque denominazione denominato, debbano fare osservare i detti Capitoli, i quali il detto Signor Duca ha fatto pubblicare, perchè nessuno si possa per ignoranza escusare.

Expedita et concessa fuerunt praedicta Capitula per praefatum Dominum Ducem Calabriae Regium Primogenitum et Vicarium generalem in dicta nobili Civitate Rhegii, et lecta et publicata de sui ordinatione et mandato per Antonium Garzo Secretarium suum, praesentibus Sindicis et quampluribus aliis dicte civitatis Rhegii in numero copioso. Die vigesima octava decembris, 1473.

III. Mentre Alfonso dimorava in Reggio ebbe sovente occasione di correggere varii abusi e prepotenze di signori e feudatarii contigui. Una volta fra le altre l’Abadessa del monastero de’ Santi Quaranta, ed altri cittadini fecero richiamo a lui contro Bertoldo Carafa, ch’era Signor di Fiumara di Muro (1474). Costui aveva usurpati molti beni che il Monastero e varii altri cittadini possedevano nel territorio della sua signoria. E quantunque i Reggini avessero già assai volte fatto ricorso al Luogotenente della provincia, non avevano mai potuto conseguir riparazione e giustizia, per essere il Carafa uomo potente e temuto. Ma il Duca non intese appena questi gravami e le istanze de’ cittadini, che commise l’affare a Giovanni Capodiferro, affinchè di ciò pigliasse informazione, e ne riferisse il risultato. Tale informazione cominciò subito ad avere effetto; ed il Carafa, conoscendo aver mala causa, per mezzo di suo legittimo procuratore cedette e rinunziò lite ed istanze, dicendo che ognuno si togliesse la roba sua, e ch’egli non avea motivo alcuno di litigio. Ma quando il Duca di Calabria si allontanò da Reggio, il Carafa non solo si ripigliò la possessione de’ beni che aveva prima usurpati, ma molti altri ancora fece suoi a man franca. Nè solo questo, ma volendo onestar la cagione delle sue nuove rapine, e ritener l’altrui, incaricò un Guglielmo Fresino, che si recasse a Fiumara di Muro, e citasse molti di que’ cittadini che lo accagionavano di usurpazione; mentre non si trattava di altro, egli diceva, che di alcune differenze avvenute tra i cittadini di Reggio e lui. I Reggini citati comparvero, ma solo per protestarsi contro l’illegalità della citazione, ed allegare il loro foro; poichè essi, a tenore de’ privilegi della lor città, non potevano esser citati ad altra corte che a quella del loro Capitanio. Ma il Carafa, non ostante tale allegazione, ex primo decreto entrò e pigliò quelli ed altri beni e possessioni, e li ritenne per assai tempo, con capital pregiudizio de’ cittadini che se ne vedevano impunemente ed ingiustamente spogliati. [p. 247 modifica]

A questi tempi (1475) gli Ebrei pubblicarono in Reggio, dov’era allora una tipografia, il Commentario ebraico al Pentateuco di Rabbi Salomone Jarco. Ne fu editore Abramo Garton; e fu questa la prima edizione ebraica fatta, a quanto si sappia, di tal libro in Italia dopo l’invenzione della stampa.