Storia di Reggio di Calabria (Spanò Bolani)/Libro quinto/Capo sesto

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CAPO SESTO

(Dall’anno 1474 al 1496.)

I. I Turchi in Otranto. Provvisioni per fortificar Reggio. Congiura de’ baroni. Carlo VIII scende in Italia. Morte di Ferdinando II. I Sindaci Giorgio Leopardi e Coletta Malgeri. Privilegi della città. Pagamenti fiscali. III. Commozione pubblica all’avvicinarsi del Re di Francia. Alfonso II rinunzia lo Stato al figliuolo Ferdinando. La Calabria si scopre per Carlo. Solo Amantea e Tropea restano agli Aragonesi. Mal governo de’ Francesi. IV. Ferdinando cerca ajuto al re di Spagna. Consalvo da Cordova giunge in Messina coll’armata spagnuola. Spedizione contro Reggio. I Francesi si ritirano nel castello. La città è rioccupata dagli Aragonesi, ed il castello preso a tradimento. V. Lega italiana contro Carlo VIII. Precipitosa partenza di costui. Prima battaglia di Seminara. Rotta degli Spagnuoli. VI. Ferdinando II torna in Napoli. I Francesi sono perseguitati da per tutto. Successo delle armi spagnuole in Calabria. Morte di Ferdinando. Reggio invia i Sindaci Antonio di Tarsia e Coletta Malgeri al nuovo re Federigo.


I. Gli ultimi anni del regno di Ferdinando d’Aragona erano trascorsi assai agitati e turbolenti. Lo sbarco de’ Turchi in Otranto (1480) aveva atterrite le popolazioni del reame; e Ferdinando non si era indugiato a combatterli nel punto da loro occupato, ed a fortificar tutte le riviere de’ suoi Stati più esposte alle minacce di que’ barbari invasori. Aveva allora il re ordinato che a sicurtà e tutela di tutte le città e terre della ultima Calabria, di cui Reggio era metropoli, fosse questa rifatta e rifabbricata di mura, attorniata di baluardi, di vallazioni e di fossati. E siccome la difesa di Reggio era di comune interesse, ordinò che a tali lavori dovessero concorrere tutti gli abitanti delle città e terre prossimane, col contribuirvi non solo i lavoratori che facessero al bisogno, e carra e buoi ed altre cose occorrenti; ma ancora coll’ajutare al taglio e trasporto del legname, delle pietre, e di tutto il materiale opportuno: affinchè tali fabbriche ed opere fossero terminate e fornite il più presto che si potesse.

Dissipato il terrore dell’invasione turchesca, il regno fu sconvolto dalle interne commozioni, e dalla congiura dei Baroni, che terminò coll’eccidio loro e delle lor famiglie, e coll’incameraziooe de’ loro stati. Un così atroce avvenimento eccitò l’orrore in tutta l’Europa [p. 248 modifica]ed il nome di Ferdinando venne in abominio di tutti. E ne fu tocco sì vivamente l’animo de’ popoli del Reame, che non v’ebbe persona, la quale non cominciasse a straniarsi dalla casa d’Aragona. Onde il partito angioino andava sordamente rinvigorendosi, e covando i fecondi semi delle future guerre intestine.

Lodovico Sforza Duca di Milano si struggeva di tagliar la radice alla temuta potenza degli Aragonesi di Napoli, che già avendo gravemente minacciato lo Stato pontificio, e le Repubbliche di Firenze e di Venezia, aspiravano di allargare il loro dominio, e preponderare su gli altri Stati d’Italia. Andava perciò insinuando a Carlo VIII Re di Francia, scendesse alla conquista del reame di Napoli, che a lui si apparteneva per ragion di successione della casa di Angiò. E Carlo che aveva la mente a tale impresa, e n’era assai stimolato dal Principe di Salerno, che dimorava a quella Corte, mise in appresto un potente esercito, e nell’agosto del 1494 penetrò per le Alpi in Italia, e si dirizzò sul reame. Intanto re Ferdinando, vinto più da’ dispiaceri dell’animo, che dall’età, era uscito di vita sin dal gennajo di quello stesso anno, lasciando una trista eredità al figliuolo Alfonso II. Questi prese possesso degli Stati paterni, e n’ebbe la bolla d’investitura da papa Alessandro VI.

II. L’università di Reggio inviò, giusta il consueto, al nuovo Sovrano i sindaci Giorgio Leopardi, e Coletta Malgeri, perchè ottenessero la conferma de’ privilegi. Nè questo solo ottennero, ma ancora:

1.° Che la città per funzioni fiscali, cioè collette, gabelle ed altre imposizioni regie, non dovesse più pagare alla regia Corte ducati mille cinquecento, come faceva per il passato sotto suo padre Ferdinando, ma soli mille, cioè per fuochi seicento sessantasei e due terzi; e che i cinquecento fossero spesi per la rifazione delle mura della città.

2.° Che a vigilar l’andamento della fabbrica delle mura della città fosse eletto da’ cittadini un Credenziero idoneo e sufficiente, ed approvato da’ regi uffiziali.

3.° Che i benefizii della chiesa Metropolitana non avessero a darsi a’ forestieri, ma a’ Canonici, Preti e Chierici cittadini, esortando l’Arcivescovo che de’ benefizi vacanti provvedesse sempre i più benemeriti.

Tornarono a lamentarsi i Reggini che Bertoldo Carafa riteneva per forza ed ingiustamente i beni usurpati nel passato tempo alla Badia de’ Santi Quaranta, ad altre chiese, ed a molti cittadini. Ed il re ordinò al luogotenente della Provincia che, udite le parti sulla [p. 249 modifica]materia controversa, provvedesse in via di giustizia sommaria. Ma le petizioni de’ cittadini in questa parte uscirono a vuoto, perchè l’invasione di Carlo VIII, e gli straordinarii travolgimenti del regno mutarono al tutto la faccia delle cose; e Bertoldo Carafa senz’altro contrasto fece per sempre sua l’altrui roba.

Sotto Alfonso I la città pagava alla Corte ducati ottocento annualmente; poi sotto Ferdinando tal somma fu aumentata a mille cinquecento; ed oltre a ciò restava a carico della città ogni spesa per rifazione di mura o altro. Per le quali cose si spendevano ogni anno altri ducati trecento: e più, quando la città, per la minacciata invasione di Carlo VIII, fu nuovamente fortificata, dava essa per tali fabbriche ogni dì una muta di trenta uomini, e quattro paja di buoi; e da questa muta nè anche i Giudei erano esclusi.

III. All’avvicinarsi di Carlo VIII alle frontiere del Reame, le popolazioni cominciaron senza ritegno a palesare il loro odio contro la casa di Aragona, ed aspettavano con impazienza l’entrata del monarca francese. Sbigottito Alfonso II della gravità delle cose, rinunziò il nome e l’autorità reale al suo figliuolo Ferdinando, e dipartitosi, tramutossi in Sicilia. La conquista del Regno fu per Carlo una passeggiata trionfale in mezzo a popolo che già bramoso l’attendeva ed or festeggiavalo con pazzo entusiasmo. Re Ferdinando II che si era apparecchiato a resistergli, si vide a un tratto abbandonato dal popolo. Laonde fatto miglior consiglio, si ritirò anch’egli in Sicilia, aspettando la fine di tanto e sì inopinato avvenimento. La Calabria non fu l’ultima delle provincie a chiarirsi per Carlo senza che vi fosse bisogno di soldati a conquistarla; ma bastò che i soli capitani francesi d’Aubigny e Peron de Basquy si recassero a governarla in nome del loro sovrano. Due luoghi solamente nella meridional Calabria si tennero nella fede di Ferdinando II, e furono Amantea e Tropea. Non già che questi paesi non avessero fatto buon viso alle francesi insegne; ma conosciuto ch’erano stati dati in feudo ad un Precy francese, rialzarono le bandiere di Aragona, e tennero il duro di accordo co’ presidii aragonesi.

Ma quanto fu rapida la conquista, che i Francesi, condotti dal loro re, fecero del Regno di Napoli, tanto fu rapidissima la loro dipartita. Perciocchè costoro non sapendo contenersi nella prospera fortuna, divennero insolenti, alteri, ambiziosi; e quel ch’è peggio si diedero ad insulti personali, a rapine, a stupri, e ad altre violenze d’ogni fatta. Delle quali cose re Carlo poco si curava, ed ubbriacato dalle smisurate feste fattegli da’ Napolitani, reputava già incrollabile il suo nuovo dominio. Nè gli andava il pensiero a farsi obbligata la [p. 250 modifica]nobiltà del paese, ma dandosi buon tempo co’ suoi ufiìziali, viveva disappensato, ed invescato in cose inettissime; e lasciava luogo larghissimo all’arroganza de’ suoi. Quindi il subito amore de’ Napolitani pel suo governo si mutò ad un tratto in fiero odio; e cominciando a pentirsi dell’essersi alienati dalla casa d’Aragona, a questa tornarono tutti i lor pensieri.

IV. Mentre queste cose accadevano in Napoli, re Ferdinando non si stava in Sicilia ozioso. Egli aveva già mandiati i suoi messaggi nella Spagna a cercare ajuti al suo parente Ferdinando il Cattolico. E questi, a cui andava a sangue l’intromettersi nelle cose del Regno, non volle trascurarne la propizia occasione. Si mostrò assai arrendevole alla richiesta del re Ferdinando, e fu sollecito di spedire in Sicilia con sufficiente armata Consalvo Ernandez da Cordova, detto il gran capitano; il quale giunse in Messina, ov’era atteso con gran desiderio.

Reggio stava allora in potestà de’ Francesi; ma Ferdinando teneva attiva intelligenza con un grosso e prevalente partito di que’ cittadini, affinchè stesse pronto ad operare al tempo opportuno. Reggio, come apparisce dalle narrate storie, non si piegò mai volontaria al dominio angioino, ma si mostrò sempre più inclinevole verso la casa d’Aragona. Quando gli Spagnuoli pervennero in Messina, Ferdinando fece segretamente avvertiti i suoi aderenti di Reggio che il momento di mostrare il loro amore per lui non era lontano; stessero quindi sull’avviso.

Consalvo concertata ogni cosa con Ferdinando, mosse dal porto di Messina per Reggio (1495) con settecento cavalli, e cinquemila fanti tra spagnuoli e siciliani; ed il re medesimo l’accompagnò. Subito che preser terra le sue genti, si diedero a piantar le artiglierie per batter la città; ma i Reggini, tra perchè il presidio francese era poco, e perchè volevano scoprire a tempo l’affezion loro verso il re Ferdinando, apersero improvvisamente una porta agli Spagnuoli. Ed i Francesi, che ciò non si aspettavano, si ritirarono con celerità nel castello. Questo dopo tre giorni fu assaltato formalmente dagli Spagnuoli; ma que’ di dentro con molta bravura si difendevano, e davano opera a fortificarsi con nuovi ripari. Durante la cui costruzione vi erano state pratiche della dedizione del castello; ma questo facevano i Francesi per tenere in pastura i nemici, e prender tempo a finir le nuove opere di difesa. Ed in effetto non vollero più sentirne d’arrendersi; anzi scaricate all’improvviso le artiglierie, mentre le pratiche non erano ancor licenziate, furono uccisi parecchi soldati spagnuoli, che incauti si erano avvicinati troppo alla rocca. [p. 251 modifica]Ma alla fine, impegnatosi da ambe le parti il combattimento, il castello fu preso per tradimento d’un legnajuolo, e gli Aragonesi vi entrarono così vogliosi di vendetta, che gittarono dalle mura quasi tutti i Francesi.

Racquistato Reggio, Ferdinando fece che Federigo suo zio navigasse con tre galee verso Puglia, ed ivi di accordo col Grimano, Generale dell’armata veneziana, con Cesare d’Aragona, e Camillo Pandona, incominciasse anche da quella banda le offese contro i Francesi.

V. Intanto che queste cose si maneggiavano nel Regno, i Principi italiani, fatti d’una opinione, e veduti i pericoli della presenza dei Francesi in Italia, conchiusero un trattalo in Venezia, al quale intervenne anche Lodovico Sforza, per cacciar prima Carlo VIII dall’Italia, e poi combattere il Turco, per la conservazione e difesa de’ lor varii Stati. Della qual cosa Carlo entrò in tanto sgomento che gli faceva mille anni di cavarsi dal gineprajo in cui si trovava avviluppato; tanto più che gli era giunta fresca fama, che Francesco Gonzaga marchese di Mantova, creato supremo General dell’esercito della lega italiana, minacciava o di ucciderlo o di farlo prigione; e che Antonio Grimani si avviava per Napoli colla flotta veneziana. Onde il re di Francia partì di Napoli celerissimamente colla metà delle sue forze, e le altre lasciò parte in presidio della capitale al comando di Giberto Duca di Montpensier, parte in guardia delle provincie. E quantunque i Veneziani e gli altri alleati si fossero provati d’inseguirlo, e di tagliargli il ritorno, pure il re, vinto ogni ostacolo, pose piede in Francia sano e salvo.

Dopo la precipitosa partenza di Carlo, Ferdinando che stava in Reggio attendeva a poter cacciare i Francesi da’ luoghi circostanti. Ed avendo seco seimila uomini tra quelli ch’eran venuti di Sicilia, e quelli che da Reggio il vollero seguire, unì queste sue forze con quelle di Consalvo, e si avanzarono per i paesi di Calabria, sollevandoli e sottraendoli alla potestà de’ Francesi. Gli Spagnuoli si eran già impadroniti di Seminara, quando Aubigny, (cui Carlo avea fatto suo Vicario in Calabria, e datogli il grado di gran Contestabile del Regno, ed il titolo di conte di Acri, e marchese di Squillace) movendosi da Terranova, si fece loro incontro presso quella città, e si ordinò alla battaglia. Tenutosi consiglio tra Ferdinando e Consalvo e gli altri capitani spagnuoli, fu deliberato di non schivar la disfida; e quindi l’esercito Spagnuolo uscito da Seminara si apprestò a menar le mani. Affrontaronsi furiosamente i nemici, e con pari valore si combatterono; ma la fortuna si decise [p. 252 modifica]amica a’ Francesi, e l’esercito spagnuolo andò rotto e disperso. A Ferdinando, che combatteva con egregio animo, fu morto il cavallo sotto, e sarebbe senza dubbio rimaso accoppato da’ nemici, se Giovanni Altavilla da Capua non fosse smontato subito dal suo, per farvi salire il re. Ma questo raro esempio di amore e di fedeltà verso il suo sovrano, costò all’Altavilla la vita, perchè fu in quello stante ammazzato da’ sopravvegnenti nemici. Consalvo a traverso de’ monti fuggì a Reggio con quanti de’ suoi ebbero tempo e modo a salvarsi. Ferdinando trovò rifugio in Palmi, donde fece passaggio a Messina.

VI. Frattanto negli animi de’ Napolitani rinasceva potente il desiderio di conciliarsi con re Ferdinando. E questi invitato da loro a tornare in Napoli vi andò senza indugio, e superati i deboli contrasti fattigli alla prima da’ Francesi, entrò nella città, il cui popolo si sollevò tutto a suo pro. Furono i Francesi scacciati a furia popolare; ma parte di loro si chiusero nel Castel nuovo col Duca di Montpensier, e non si arresero che dopo tre mesi di assedio. Dall’altra banda le schiere francesi, ch’erano sparse per le varie città del Regno, venivano senza intervallo alle mani cogli Aragonesi; e sebbene valorosamente combattessero, pure non aspettavano più alcuno ajuto dal loro re, che fuggendo li aveva lasciati in tanta briga. E scarseggiando oltre a ciò di viveri un dì più che l’altro, in mezzo a popoli avversi e sollevati, andavano perdendo sempre terreno. Cadde poi loro interamente l’animo, quando ebber certezza delle avversità sofferte in Calabria da’ loro compagni.

Aubigny si era gravemente infermato, e molte delle sue schiere erano andate ad accrescere l’esercito di Monipensier. Di ciò trasse frutto Consalvo; e da Reggio cacciandosi colla sua gente nel cuore della Calabria, secondato dalle popolazioni, che da ogni banda si andavan dimostrando avverse a’ Francesi, espugnò o ebbe volontarie molte città e castella, come Cosenza, Nicastro, Squillace, Terranova, Cotrone, e Seminara; e finalmente, impinguato il suo esercito di molte brigate di paesani, si alloggiò in Castrovillari. Quivi ebbe notizia che in Laino stava il conte di Mileto Alberigo Sanseverino e molti altri baroni con numero di gente quasi pari alla sua; i quali seguendo la parte de’ Francesi, andavansi invigorendo dì per dì, e disegnavano, divenuti più forti, di assaltarlo in quella posizione. Consalvo non aspettò che dessero colore al lor disegno, ma correndo lor sopra alla sprovveduta, gli ruppe e dissipò in picciol’ora, facendo prigionieri undici baroni, e quasi tutta la loro gente. Questo ardito e fortunato tratto di Consalvo quanto animo pose ne’ suoi, tanto ne tolse a’ nemici. Molte altre terre di Calabria vennero in poter suo; [p. 253 modifica]ed ordinate le cose di questa provincia, mosse con seimila uomini al campo di Ferdinando II ch’era intorno ad Atella; dove stava chiuso il Montpensier, che poi si rese per patti.

Ma quando Ferdinando (1496) rientrava in Napoli vittorioso dopo di aver conquistato il Regno con tante belle prove di coraggio, di costanza e di perizia militare; quand’era presso a cogliere il frutto delle sue gloriose fatiche, finiva giovanissimo di tisichezza. Gli succedeva lo zio Federigo fratello di Alfonso II. Al qual re mandava l’università di Reggio i suoi sindaci Antonio di Tarsia e Coletta Malgeri, ed ottenevano costoro piena conferma di tutti i privilegi, grazie, capitoli, riti e consuetudini della città. Federigo, che aveva indole mansueta e dolcissima, ebbe tutto l’amore del popolo napolitano; e tutti speravano che il suo regno sarebbe riuscito pacifico, riposato e prosperevole. E tal fu, sinchè da fuori non venne un nuovo turbine a travolgere al tutto le sorti del Reame, ed a metter in fondo la casa di Aragona.