Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. I)/Libro quinto - Capo III
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Traduzione dal tedesco di Carlo Fea (1783)
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C a p o III.
Dell’espressione e dell’azione — Gli artisti presceglievano di rappresentare le figure in uno stato di tranquillità e di riposo... a cui pur talora, univano l'espressione degli affetti — Cercavano la compostezza negli atteggiamenti... eziandio nelle figure delle danzanti — Espressione e compostezza nelle figure divine... in Giove... in Apollo... in Bacco... nelle dee... nelle persone afflitte... ne’ giovani Satiri... nelle figure degli eroi... delle eroine... delle Imperatrici... e de’ Cesari — Osservazioni sull’espressione delle passioni violente - Espressione nelle figure de’ moderni artisti.
Dell’espressione e dell’azione.
Dopo la bellezza de’ tratti dev’un artista studiare l'espressione e l’azione. Demostene tre qualità principali richiedeva nell’oratore, e soggiugneva che l’azione è la prima, la seconda, e la terza. Potrebbe ciò quasi applicarli alle arti del disegno, poichè l’azione sola può render bella una figura; e quella, ove sia mancante nell’azione, non avrà mai il pregio di bella. Pertanto agl’insegnamenti, che risguardano la dottrina delle belle forme e sembianze, denno unirli le osservazioni sul contegno del gesto e dell’azione, in cui consiste una parte delle Grazie; e quelle perciò vengonci rappresentate come compagne di Venere, dea della beltà; onde soleasi dire che un artefice sagrificava alle Grazie, quando nelle sue figure studiava bene l’azione ed il gesto.
§. 1. Espressione in termine d’arte significa l’imitazione dello stato attivo e passivo dell’anima nostra e del nostro corpo, cioè delle azioni e delle passioni. Quella parola presa nel suo più ampio senso comprende pur in sé l’azione; ma presa in senso più stretto sembra non altro indicare, se non ciò che vien espresso dai tratti e dai gesti del volto; e l’azione, che è pur compresa nell’espressione, sembra piuttosto riferirsi a ciò che accade ne’ movimenti delle membra e dell’intero corpo. Sì dell’una che dell’altra deve intendersi ciò che ha scritto Aristotele delle pitture di Seusi, cioè che esse erano senza ἦθος (senza espressione), il che io meglio spiegherò in appresso1.
Gli artisti presceglievano di rappresentare le figure in uno stato tranquillo. §. 2. L’espressione presa in amendue i sensi altera i tratti del volto, il contegno del corpo, e con essi le forme che costituiscono la beltà; e quanto maggiore è questa alterazione, tanto più di bellezza si perde. Perciò lo stato di tranquillità e di riposo, che secondo Platone era lo stato medio fra ’1 dolore e l’allegrezza2, veniva nelle arti considerato come un punto fondamentale. La tranquillità è lo stato proprio della bellezza, come del mare; e ci dimostra diffatti l’esperienza che gli uomini più belli sono eziandio per l’ordinario i più tranquilli e di miglior indole. Richiedesi questa tranquillità non solo nella figura che disegnar si vuole, ma in quello stesso che la disegna e la forma; perchè a mio parere la giusta idea d’una sublime bellezza prodursi non può fuorché nella mente d’un’anima quieta, e da ogni altra particolare immagine sgombra. In oltre la tranquillità e ’1 riposo sì degli uomini che degli animali è quello stato, in cui meglio possiamo conoscerne e rappresentarne l’indole e le proprietà, come il fondo del mare e de’ fiumi allor solo scopriamo che tranquille sono o placide scorron l’onde.
...a cui pur talora univano l'espressione. §. 3. Ma poiché nelle azioni la piena tranquillità e l’indifferenza non hanno luogo, e le stette figure divine vengono rappresentate sotto umane forme e cogli umani affetti; quindi è che non sempre dee cercarsi in loro la più sublime idea della beltà. Quella allora vien compensata dall’espressione. Gli antichi artisti però non la perdevano mai di mira; anzi era sempre lo scopo loro principale a cui l'espressione doveva in qualche modo servire; né, perchè da questa venisse alquanto alterata la beltà d’una figura, lasciar dovea di chiamarsi bella, come non lascia di chiamarsi vino anche quello, in cui molta parte d’acqua è frammista. Ha pur luogo in ciò la gran massima d’Empedocle, secondo cui le cose sussistono nello stato attuale per l’affinità e pel contrasto, cioè per l’azione vicendevole ed opposta, che le une hanno reciprocamente sulle altre. La beltà, senza l’espressione, insignificante sarebbe, e l’espressione senza la beltà sarebbe spiacevole; ma influendo l’una sull’altra, e combinando insieme le loro qualità che sembrano distruggersi a vicenda, ne risulta una parlante, persuasiva, ed attraente bellezza.
Cercavano la compostezza negli atteggiamenti... §. 4. Il riposo e la tranquillità denno considerarsi come un effetto di quella compostezza che i Greci studiavansi di mostrare nell’azione e ne’ gesti. Presso di loro un passeggiar affrettato teneasi in certo modo come contrario all’idea d’un modesto contegno, e vi trovavano un non so che di arditezza soverchia. Tal viziosa abitudine rinfaccia a Nicobulo Demostene, il quale unisce insieme, come due cose del pari riprensibili, il parlare ardito e l’andar frettolofo3. Così per l’opposto i lenti e gravi movimenti del corpo indizio erano presso gli antichi d’un’anima grande4. Reputo quasi inutile di qui osservare, che la vera compostezza è ben diversa da quella fervile violenza, espressa su alcune statue di re prigionieri che le mani tengono come avvinte una sull’altra5. In tal positura, che della più vile suggezione era indizio, faceano la guardia a Tigrane re d’Armenia quattro re suoi vassalli6.
... eziandio nelle figure delle danzatrici.. §. 5. Tal compostezza hanno portata gli antichi artefici per sin nelle figure delle danzatrici, tranne però le Baccanti; e siccome era una massima ricevuta, che nelle figure l'azione conformarsi dovesse alle maniere usate ne’ più antichi balli, così ne’ balli seguenti le figure antiche servirono di modello alle saltatrici, affinchè non uscissero dai limiti d’un modesto contegno7. Si ha un argomento di ciò in molte statue muliebri leggiermente vestite, e per la maggior parte discinte, che non hanno alcun particolare attributo, e sono rappresentate come in atto d'una modestissima danza:
.... Molli diducunt candida gestu
Brachia8.
Ancorché talvolta loro manchin le braccia, vedesi ciò non ostante che tenevano una mano sollevata al di sopra della spalla, mentre coll’altra piegata in giù sosteneansi leggiadramente la veste. Tale atteggiamento basta a farle conoscere per danzatrici; e siccome alcune di queste statue hanno una testa ideale, è probabile che rappresentino Erato o Tersicore, Muse che alla danza presiedono9. V'ha di simili statue nelle ville Medici, Albani, ed altrove. Due di queste però di grandezza naturale esistenti nella villa Lodovisi, alcune del museo Ercolanese, hanno una testa che non è punto ideale; ma quella che sta sull’atrio del palazzo Caraffa Colubrano a Napoli è coronata di fiori, ed è di una sublime bellezza: onde è probabile che sian esse state erette a danzatrici veramente belle, le quali, malgrado la loro professone, abbiano ottenuto un tanto onore presso i Greci. Diffatti di statue erette alle danzatrici leggiamo fatta menzione in varj greci epigrammi10. Un più sicuro argomento per credere che danzatrici ci rappresentino, anziché le Muse summentovate, si è il veder loro scoperta una mammella: nudità che alla compostezza delle Muse troppo sconverrebbe.
Espressione e compostezza nelle figure divine... §. 6. La più alta idea della tranquillità e della compostezza si trova espressa nelle figure delle divinità; cosicchè, cominciando dal padre de’ numi fino agli dei subalterni, le figure loro non sembrano mosse da nessun affetto. Perciò il più grande fra i poeti ci descrive il suo Giove che, col solo mover le ciglia o scuotere il crine, tutto mette in moto l’Olimpo11. Non solo agli dei maggiori e del cielo, ma eziandio alle minori divinità del mare davasi uno sguardo sereno e tranquillo. Che se qualche volta i poeti danno loro degli epiteti, pe’ quali noi ci possiamo formare di tali divinità un’idea ben diversa, gli artisti però sembrano avere costantemente espressa sul loro volto un’immagine del mare placido e cheto, in cui si vede l’azzurro verdigno del cielo, come fra gli altri monumenti ne fanno fede le due già mentovate teste colosali de’ Tritoni nella villa Albani.
...in Giove... §. 7. Non si creda però che in simil guisa formate siano tutte le figure di Giove: egli ha un’aria turbata fu un basso-rilievo12 del marchese Rondanini a Roma, ove viene rappresentato nel momento dopo che Vulcano con una mazzuola gli ha dato un colpo sul capo, e sta pien d’aspettazione di vedergli uscir Pallade dalla fronte. Giove siede quasi intronato dal colpo, e come se i dolori sentisse del parto, dovendo mettere al giorno tutta la celeste ed umana sapienza nella produzione di Pallade.
...in Apollo... §. 8. L’Apollo del Vaticano dovea rappresentare questo dio cheto e tranquillo sopra il morto drago Pitone13 da lui ucciso con un dardo, e dovea insieme esprimere certo disprezzo per una vittoria che era sì piccola cosa per lui. Il saggio artista, che voleva effigiare il più bello degli dei, gli collocò lo sdegno nel naso, che n’è la fede, secondo i più antichi poeti, e ’l disprezzo sulle labbra: questo ha espresso col tirargli alquanto in su il labbro inferiore, e quello coll’avergli dilatate le narici14.
§. 9. L’espressione delle passioni sul volto dev’accordarsi colla politura e cogli atteggiamenti del corpo: e quelli denno convenire alla dignità degli dei nelle loro statue e figure; quindi ne risulta la compostezza. Non fi troverà mai una divinità di forma umana, e d’età posata, che tenga le gambe una sull’altra incrocicchiata; e sconvenevole cosa reputavasi ad un oratore15, anzi a chicchessia presso i Pittagorici16, l’accavallare la coscia destra sulla sinistra sedendo. Perciò non credo che quella statua di Elide, la quale avea tal positura, ed appoggiavasi con ambe le mani ad un’asta, rapprefentafi e un Nettuno, siccome pensò Pausania17, i di cui interpreti non ne hanno in questo luogo ben intesa l’espressione traducendo τόν τε ἕτερον τῶν ποδῶν ἐπιπλέκων τῷ ἑτέρῳ, pedem pede premens, cioè tenere un pie sopra l’altro, quando piuttosto dir doveano pedibus decussatis, cioè colle gambe incrocicchiate18.
...e Bacco... §. 10. Apollo e Bacco sono i soli, che in tal modo rappresentati veggansi in alcune statue, per indicar in quello la giovinezza giocosa, e la mollezza in questo. Ha tale positura Apollo nel museo Capitolino19, in alcune figure simili della villa Medici20, nella più bella fra tutte le statue d’Apollo del palazzo Farnese, e in una delle pitture d’Ercolano21. Mercurio non l’ho mai veduto, per quanto mi ricordo, colle gambe così poste, fuorché in una statua della galleria Granducale di Firenze22, su cui s’è fatto il modello pel Mercurio di bronzo del palazzo Farnese. Tal positura è singolarmente propria di Meleagro e di Paride; e riguardo a quell’ultimo può vedersene la statua nel palazzo Lancellotti23.
...nelle dee... §. 11. Non v’è, ch’io sappia, alcuna fra le dee rappresentata in tal attitudine, che a loro infatti più che agli dei sconverrebbe: quindi io non oso decidere se certa medaglia dell’Imperatore M. Acilio Aureolo, su cui sta la Providenza colle gambe incrocicchiate24, sia veramente antica25. Per la stessa ragione io dubito dell’antichità d’una gemma, sulla quale è incisa colle gambe incrocicchiate la cosi detta Minerva Medica, tenente in mano un bastone, intorno a cui è avviticchiato un serpente26; e ciò che pur mi muove a dubitarne, si è il vederle ignuda la destra mammella, la qual cosa in nessuna Pallade si vede. A questo stesso indizio, per le ragioni sopra addotte, riconobbi esser opera moderna un’altra gemma, su cui vedeasi una simil figura, e che si è voluta far passare per un antico27. Può bensì questa foggia di tener le gambe convenire alle Ninfe; e tali fono diffatti una Ninfa di grandezza naturale, e una delle tre Ninfe che rapiscono Ilo28: quella nella villa, e questa nel palazzo Albani29.
... nelle persone afflitte... §. 12.. Nè ciò sconviene alle persone afflitte: così erano dipinti, ἐναλλάττουσι τὼ πόδε30, in un quadro descritto da Filostrato, i dolenti guerrieri che intorno al corpo d’Antiloco figlio di Nestore la morte sua piangevano31; e così è scolpito Antiloco stesso che fa ad Achille il ragguaglio della morte di Patroclo in un basso-rilievo del palazzo Mattei32, su un cammeo33, e fu una pittura d’Ercolano34.
... ne’ giovani Satiri. §. 13. I Satiretti e i Fauni, de’ quali due bellissimi ne sono nel palazzo Ruspoli, tener sogliono un piè dietro all’altro in una maniera rozza. e campestre, per indicare la loro natura. Tien pur così i piedi il giovane Apollo Sauroctonos (uccisore di lucerte) di cui veggonsi due statue, una in marmo nella villa Borghese, e l’altra in bronzo nella villa Albani. Probabilmente egli è qui rappresentato come pastore presso il re Admeto35. ... nelle figure degli eroi... §. 14. Egual cura e avvedutezza usarono gli antichi artici nel rappresentare le figure degli eroi; e que’ soli umani affetti espressero che convengono ad un uomo savio, il quale reprime il bollore delle passioni, fa appena vedere qualche scintilla dell’interno suo fuoco, per lasciare a chi ne è bramoso la cura di scoprire quel che in loro rimane ascosto: alle sue maniere composte corrisponde in lui pur il modo di favellare; e quindi Omero ebbe a paragonare le parole d’Ulisse alle fiocche di neve, le quali in copia bensì, ma dolcemente cadono a ricoprir la terra. Persuasi inoltre erano quegli artefici, che la magnanimità, siccome dice Tucidide, dovesse essere unita ad una nobile semplicità: καὶ τὸ εὔηθες, οὗ τὸ γενναῖον πλεῖστον μετέχει36. Tale appunto si scorge in Achille, il cui carattere è un misto di prontezza allo sdegno, e d’inalterabil durezza, un’anima aperta senza finzione e senza falsità. In conseguenza di ciò essi non mai diedero ai loro eroi un’aria raffinata, artificiosa, astuta, o sprezzante, ma sempre espressero su i volti loro l’innocenza unita alla più sicura calma.
§. 15. Giova qui osservare che nel rappresentare gli eroi è assai più legato l’artista che il poeta: questi può descriverceli quali erano nei tempi loro, quando cioè nè il governo, nè le troppo ricercate maniere del colto vivere non aveano ancora indebolite le umane passioni, e non curandosi punto del contegno della persona, può attribuir loro tutto ciò che alla loro età e stato non disconviene; laddove l’artista, che si propone di fare una bella figura, sceglier deve perciò quel che v’ha di più bello nella natura, e avendo ad esprimere le passioni, si deve ristringere a quel grado, che non porta pregiudizio alla bellezza.
§. 16. Abbiamo di ciò esempi in due de’ più bei lavori dell’antichità, de’ quali uno è l’immagine del terrore, che ne dà la morte imminente, e l’altro del patimento de’ dolori più atroci. Niobe37 e le sue figlie, alle quali Diana vibra mortali saette, veggonsi rappresentate, comprese da terrore e da raccapriccio, in quello stato d’inesprimibile angoscia, in cui l’aspetto della morte presente inevitabile toglie per sin all’anima la facoltà di pensare. Di tale stato di stupore e d’insensibilità ci dà un’idea la favola nella metamorfosi di Niobe in sasso; e quindi Eschilo la introduce nella sua tragedia come interdetta e muta38. In tal momento, in cui cessa ogni riflessione, ogni sentimento, e che si avvicina all’insensibilità, non si alterano punto le sembianze, e nessun tratto del volto si scompone; onde il grande artista potea qui effigiare la più sublime bellezza, e ve l’ha scolpita diffatti. Niobe e le sue figlie sono e sempre saranno i più perfetti modelli di beltà39.
§. 17. Laocoonte è l’immagine del più vivo dolore, che tutti mette in azione i muscoli, i nervi, e le vene. Il sangue suo è nella più forte agitazione pel velenoso morso de’ serpenti; tutte le parti del suo corpo esprimono tormento e violenza; e l’artista ha messo in moto tutte, a così dire, le suste della natura, facendo in tal modo conoscere l’arte sua e le sue profonde cognizioni. Nella rappresentazione però di quello eccessivo tormento pur vi si riconosce il contegno d’un uomo grande, che contro i mali suoi combatte, affrena i moti della sensibilità, e vuole comprimerli40.
§. 18. Filottete, siccome appare dalle figure di questo eroe in marmo e sulle gemme pubblicate ne’ miei Monumenti antichi41, ci vien rappresentato dagli artisti più secondo le savie massime della loro arte, che secondo l’immaginazione del poeta Ennio, presso il quale
Ejulatu, questu, gemini, fremitibus
Resonando multum, flebiles voces refert42.
§. 19. Il famoso pittore Timomaco non rappresentò già il furibondo Ajace nell’atto di trucidare i montoni, ne’ quali credeva di vedere i duci dell’armata trojana, ma bensì dopo tal fatto, quando, ritornato in sé stesso, meditava pieno di disperazione e di estremo rammarico sul suo errore43. Tale pur si vede effigiato sulla cosi detta Tavola Iliaca nel museo Capitolino44, su varie gemme45, e su un’antica pasta tratta da un cammeo esprimente una parte della tragedia di Sofocle, intitolata l’Ajace. Ivi sono rappresentati con quest’eroe, che trucida un gran montone, due pastori e Ulisse, a cui Pallade addita questo tratto di furore del suo nimico. Questo raro pezzo verrà pubblicato nel terzo Tomo de’ miei Monumenti.
... delle eroine... §. 2.0. Riguardo alle donne non iscostaronsi gli artisti dalle leggi che trovansi osservate in tutte le antiche tragedie, e furono poscia dettate da Aristotele, cioè di non figurarle mai in maniera che al carattere di quel gentile ed amabil sesso sconvenisse, né mai presentarle oltremodo animose e feroci46. Per questa ragione, quando si volle rappresentare la morte d’Agamennone trucidato da Egisto, si fece veder Clitennestra in lontananza, e come in un’altra camera, tenendo fsoltanto la fiaccola, onde far lume all’uccisore, senza voler ella stessa lordarli le mani nel sangue dello sposo47. Così in un quadro del mentovato Timomaco dipinti erano i figliuoli di Medea che alla madre di stilo armata per trucidarli sorrideano; onde il furor materno venia temperato dalla pietà all’aspetto dell’innocenza di que’ bambini48: e ove questo misfatto vien rappresentato in marmo, vedesi Medea incerta se debba o no cosi vendicarsi.
§. 21. Pel medesimo principio i più abili artisti studiaronsi sempre di evitare le positure scomposte e indecenti. Si osserva eziandio che sovente dalla verità s’allontanarono piuttosto che dalla bellezza. Così, per omettere altri monumenti, Ecuba su un basso-rilievo da me pubblicato49 vien figurata qual donna che appena è sul finire dell’età fiorente, sebbene altrove generalmente soglia rappresentarsi rugosa in volto, come vedesi nella di lei statua nel museo Capitolino50, e su un guasto basso-rilievo nella badia di Grotta-ferrata; anzi su un marmo della villa Panfili le si vedono lunghe, flosce, e pendenti le mammelle. Applicar si dee questa osservazione eziandio alla figura della madre di Medea nel bellissimo vaso di terra della collezione Hamiltoniana, ove essa non par più vecchia della propria figlia.
§. 22. Gli uomini illustri e i re vengono rappresentati in una maniera dignitosa, e quali appunto essi mostrerebbonsi agli occhi dell’universo. ...delle imperatrici... Le statue delle imperatrici romane rassomigliano alle eroine. Lontane da ogni maniera artificiosa e raffinata nel gesto, nel contegno, e negli atteggiamenti ci presentano, per così dire, l’immagine visibile di quella saggezza, che Platone dicea non esser punto l’oggetto de’ sensi.
... de’ Cesari... §. 23. Gl’imperatori romani, nei pubblici monumenti che di loro ci sono rimasti, sempre ci si mostrano come i primi fra i loro cittadini, senza l’orgoglio e la pompa de’ re, quasi di quelle sole prerogative forniti, che ripartite sono egualmente, ἰσόνομοι; le figure circostanti sembrano eguali ai loro sovrani, e questi sol dagli altri distinguonsi, perchè hanno la principal parte nell’azione che si rappresenta. Tranne gli schiavi, non si vede mai nessuna figura che, recando qualche cosa ad un imperatore, gliela presenti in ginocchione, niuno che a lui parli col capo chino. Anche nel tempo in cui l’adulazione e ’l timore aveano avviliti gli animi, come allora che Tiberio si vide ai piedi il romano Senato51, l’arte teneva ancor sollevato il capo, quasi durassero que’ dì felici in cui pervenuta era al più alto grado di perfezione in Atene52. Io dissi di eccettuarne gli schiavi per riguardo ai monumenti dell’arte, che a noi son pervenuti. Sappiamo inoltre esservi stati de’ re, che di propria volontà resero ai Generali di Roma un tal omaggio; e Plutarco53 cel racconta di Tigrane re d'Armenia allorché presentossi a Pompeo. Giunto egli al campo de' Romani consegnò la sua spada ai littori che vennergli incontro, e fattosi innanzi a quel Generale, depose ai di lui piedi il suo cidaro, e prostrossegli riverente54.
§. 24. Quanto abbiano trascurato i moderni artisti questo principio degli antichi, si può vedere, per omettere altri esempi che addur potrei, in un basso-rilievo della fontana di Trevi a Roma, fatto alcuni anni addietro, ove rappresentasi l'architetto di quella fabbrica con un ginocchio piegato, offrendone il piano a M. Agrippa. Ometto che questo celebre Romano ha una lunga barba55, il che è contrario a tutte le effigie che di lui ci restano sì sulle monete che ne' marmi.
Osservazioni generali su l'espressione delle passioni violente. §. 25. Nelle opere pubbliche degli antichi non veggonsi mai espresse passioni smoderate e violente; e può questa osservazione servir di norma a discernere i lavori degl'impostori dai veri antichi monumenti56. Si può pur essa applicare ad una medaglia, su cui sono coniate le figure d'un Assiro e d'un'Assira presso ad un palmiere, in atto di strapparsi i capelli, coll’epigrafe: ASSYRIA. ET. PALAESTINA. IN. POTEST. P. R. REDAC. S. C. La falsità di questa medaglia era già stata riconosciuta per la voce PALAESTINA, che non s’incontra su nessun’antica moneta latina di Roma57; ma senz’affaticarsi in sì erudite ricerche, avrebbe potuto dimostrarsi egualmente colla riferita osservazione. Io non voglio qui esaminare se convenga rappresentare una figura non sol di uomo, ma di donna eziandio in atto di svellersi i crini; egli è certo almeno che ciò non conviene ad una figura simbolica: meno ancor conviene su un pubblico monumento; e non è punto, come diceano i Greci, κατὰ σχῆμα (secondo il costume)58. Ecuba vedesi rappresentata sul basso-rilievo di Grotta-ferrata mentovato pocanzi, col capo inchinato, e in atto di toccarsi la fronte colla man destra, per indicare la sua eccessiva tristezza che la fa agire, ovvero per dinotare che assorbita in profondi pensieri s’abbandona all’istinto. Nell’eccesso del suo dolore presso l’ucciso Ettore suo figlio non versa già lagrime; poiché queste, ove l’angoscia giugne alla disperazione, inaridiscono; onde a ragione Seneca fece dire ad Andromaca:
Levia perpessæ sumus
Si flenda patimur
59. Espressione che danno alla loro figure i moderni. §. 26. Il saper degli antichi non si può meglio conoscere che nel confrontar i loro colla maggior parte de’ moderni lavori, ne’ quali non molto con poco, ma bensì poco con molto vedesi espresso. Questo dai Greci detto sarebbesi παρένθυρσος60, voce atta ad esprimere il difetto che v’è per lo più nell’espressione de’ recenti artefici. Le figure loro sono per l’atteggiamento simili ai comici dell’antico teatro, i quali per esser ben visibili, eziandio al più minuto popolo che stava all’estremità, doveano oltrepassare i limiti della naturalezza e del vero; e i volti delle figure moderne sono simili alle antiche maschere, che per la medesima ragione, affin d’essere molto espressive, erano sformate.
§. 27. Quella espressione eccessiva vien insegnata in un libro che va per le mani di tutt’i giovani artisti, cioè nel Trattato delle passioni di Carlo Le-Brun; e negli aggiuntivi disegni non solo vedesi espresso sul volto il più alto grado delle passioni, ma in alcuni vanno queste sino al furore. Crede l’autore che imparar si debba l’espressione, come Diogene imparava a vivere virtuosamente, cioè dando nell’eccesso opposto alla mollezza: „ Io fo come i musici, diceva egli, i quali per venire nel tono giusto, cominciano ad intonare altissimo61 „. Ma siccome la fervida gioventù è più portata per gli estremi che pel mezzo, sarebbe molto difficile che cosi facendo prendesse il vero tono, poiché difficilissima cosa è il fermarvisi; onde ebbe ragione lo stoico Crisippo di paragonare la foga delle passioni alla corsa che si fa in un luogo declive e scosceso, ove, quando uno s’è avviato, più non può trattenersi, né tornar indietro. Come le anime nei campi Elisj, al dire d’Orazio62, meno attente sono alle tenere canzoni di Saffo che ai carmi d’Alceo, cantor di battaglie e di esterminati tiranni; così la gioventù ama piuttosto un insignificante rumore ed uno strepito furibondo, che i pacifici eventi e le placide gesta della saggezza; ed un giovane disegnatore, a cui si lasci la scelta del soggetto, preferirà senza dubbio di rappresentare un Marte nel campo di battaglia, che una Minerva nella tranquilla società de’ savj.
§. 28. La dottrina del riposo e della tranquillità è pe’ giovani come gl’insegnamenti della virtù, che penosi sono ma necessarj; e siccome, secondo Ippocrate, la guarigione de’ piedi dee cominciarsi dalla quiete, così dal riposo incominciar dovrebbono gli artefici. Ma questi hanno fatto all’opposto, e sembrano avere studiate le grazie delle positure che insegna un maestro di ballo, cosicchè sovente il piede loro di dietro sulle dita soltanto s’appoggia: la qual cosa non s’incontra mai negli antichi monumenti, se non dove si è voluto esprimere il passeggiare o ’l correre. Che se Filottete su un mio basso-rilievo63 tiene in tal maniera sollevato il piè destro, si volle con ciò esprimere il dolore cagionatogli dalla morsicatura del serpente, per cui non poteva sul piede sostenersi.
Note
- ↑ Vedi p.204. n. b. e libro IX. in fine.
- ↑ Plat. De Repub. lib. 9. pag. 584. princ.
- ↑ Demost. Adv. Pantænet. pag. 995. princ., Confer Casaub. ad Theophr. Char. cap. 8. pag. 198.
- ↑ Arist. Eth. ad Nic, lib. 4. cap. 8. in fine, oper. Tom. iiI.
- ↑ Vedi la Tav. XV.
- ↑ Plutarc. Lucull. oper. Tom. I. p. 505. C.
- ↑ Athen. Deipn. lib. 14. cap. 6. pag. 629. B. C.
- ↑ Propert. lib, 2. eleg. 22. v. 5.
- ↑ Schol. Apollon. Argon, lib.^, verf i., Tzetz. in Hesiod. Ἔργα, pag. 7.
- ↑ Anthol. lib. 4. cap. 25.
- ↑ Vedi sopra pag. 306. not. b.
Cuncta supercilio moventis.
Orazio lib. 3. Od. 1. v. 8.
- ↑ Monum. ant. nel frontisp. del Vol. iI.
- ↑ Si legga appresso lib. XI. capo iiI. §. 13.
- ↑ Vedi loc. cit. §. 12.
- ↑ Plut. Consol. ad Apoll. pag. 104.
- ↑ Idem De Vit. pudore, oper. Tom. iI. pag. 45. D., De Auditione, pag. 532. C.
- ↑ lib. 6. cap. 25. pag. 517. lin. 16.
- ↑ Quantunque presso alcuni degli antichi sia stato stimato un atteggiamento sconcio il tenere sedendo un ginocchio sull’altro accavallato; pure non vi attendevano gli artisti piucchè tanto secondo le varie occasioni, e perciò non mancano figure anche di divinità così rappresentate. Per esempio Giove si vede in un basso-rilievo presso Bartoli Admiranda Antiquit. Roman. Tab. 46., e Montfaucon Antiq. expl. Tom. I. plan. 15. Su un angolo dell’urna del Museo Capitolino, ove sono le Muse, vi è in tal positura un vecchio di grave aspetto, che Montfaucon loc. cit. Suppl. Tom. iiI. lib. 1. ch. 8. pag. 33. après la pl. 9. raffigura per Diogene, e secondo Foggini Museo Capitol. Tom. IV. Tav. 27. pag. 154., sarebbe Omero. Partenopeo, uno degli eroi tebani, si vede nella gemma etrusca data alla pag. 162.; e una donna in un ametisto del re di Francia riportato dal Montfaucon medesimo cit. Tom. iiI. pl. 13., e altra figura virile, che per altro pare afflitta, nel basso-rilievo riportato da Winkelmann nei Mon, ant. ined. n.i 2?. Pare che stia nello stesso modo una figura muliebre nel basso-rilievo della villa Albani riportato da Winkelmann l. c. num. 96.; altra nel rovescio di una moneta d’Alessandro Severo presso Musellio Numism. Antiq. ec. inter adden. Par. iI. Tav. 9. num. 4.; e una figura virile in una medaglia riportata nei Numismata Cimelii Cæsarei Regii Austr. ec. Par. iI. Pag. 7. num. 1.
- ↑ Mus. Cap. Tom. iiI. Tav. 15.
- ↑ Vedi sopra pag. 300. not. a.
- ↑ Pitt. d’Ercol. Tom. iI. Tav. 17.
- ↑ Gori Mus. Flor. Stat. Tab. 38. e 39.
- ↑ Questa statua rappresenta un Ganimede, come si conosce ad evidenza da una consimile del Museo Pio-Clementino, che può essere l’originale, coll’aquila ai piedi, e più ben conservata.
- ↑ Tristan. Comm. hist. Tom. iiI. p. 183^.
- ↑ Se meritasse credito questo dubbio di Winkelmann, quante altre monete non dovrebbero rigettarsi per false! La Providenza si vede parimenti in quel modo, stando in piedi appoggiata ad una colonna, su una moneta d’Alessandro Severo nella citata raccolta di Musellio Part. iI. Tab. 7;. num. 7. Ivi al num. 8. si vede altra figura muliebre in quell’atteggiamento. Nella Tavola 223. num. 6, su di una moneta di Gallieno si vede la Sicurezza, Securitas perpetua, come nella Tavola 234. num. 4. su moneta dell’Imperatore Tacito; e così costantemente in tante monete di altri Imperatori. La Felicità, Felicitas publica, è così rappresentata nel rovescio di due medaglie di Giulia Mammea presso lo stesso Musellio Tab. 182. n. 2. 3., e in altra di Magnia Urbica nei citati Numism. Cimelii Cæs. ec. Par. iI. pag. 96. n. 2.; e la Pace, Pax Aug., sulla moneta di Emiliano riferita dal Bandurio Numism. Imper. Rom. ec. Tom, I. pag. 92.
- ↑ Montf. Diar. ital. cap. 8. pag. 122. [Montfaucon parla di un simulacro, non di una gemma.
- ↑ La Chausse, Tom. I. sect. 1. Tab. 10.
- ↑ Ciamp. Vet. mon. Tom. I. Tav. 24.
- ↑ Nel sarcofago del Museo Capitolino, Tom. IV. Tav. 26. si vedono tre Muse in tal positura, come se ne vedono in altri monumenti. La prima con miglior fondamento creduta Clio dal signor abate Visconti Mus. Pio-Clementino Tom. 1. Tav. 17. pag. 35., l’altra Polinnia secondo lo stesso, Tav. 24. p. 47., e la terza Urania. Giove si ha presso Montfaucon Ant. expl. Tom. I. pl. 10. n. 1. 2., e Suppl. Tom. I. après la pl. 20.; ed Ercole nel Tom. iI. pl. 84. pag. 194. Antiq. expl.
- ↑ Decussatim positis insistunt pedibus.
- ↑ Philostr. lib. 2. Icon. 7. Tom. iI. p. 821.
- ↑ Si vede anche nei Monum. Matthæj. Tom. iiI. Tav. 34.
- ↑ Monum. ant. ined. n. 129. 130.
- ↑ Non credo, che gli antichi artisti abbiano mai pensato a questa eccezione; imperocchè si trovano colle gambe incrocicchiate moltissime figure in uno stato, che non è d’afflizione. Nel citato Museo Capitolino, T. IV. Tav. 3. si vede un eroe, che Foggini pag. 6. sospetta possa essere Ajace. Quattro donne si vedono nella Tav. 27. 28. 41. e Tav. 42., ove sagrifica alla dea Igia, o Salute, ripetuta da Winkelmann in fine del Tratt. prelim. ai Mon. ant. Altre figure muliebri si hanno negli stessi Mon. n. 16. 18. 20. 43. 71. 137.; e alcune virili si hanno nel n. 52. 92. 102., e n. 189. che egli spiega per una radunanza di filosofi, e nella Tavola qui in fine del Tom. iI.
- ↑ Vedi appresso lib. IX. cap. iiI. §. 14. 15.
- ↑ lib. 3. cap. 83. pag. 219. [Simplicitas, cujus ipsa generositas est maxime particeps.
- ↑ Ho aggiunto Niobe, sì perchè tutto il contesto di questo §. lo richiede; e sì perchè Winkelmann ve la aggiunge nel Trattato preliminare ai Monumenti antichi, cap. IV^. pag. XLV. lin. 34.; siccome ho emendato altre parole nella traduzione secondo lo stesso luogo.
- ↑ Schol. ad Æsch. Prom. vers. 435.
- ↑ Si possono vedere le figure riportate da monsignor Fabroni colla dotta illustrazione, che ne dà.
- ↑ Vedi appresso libro X. capo I. §. 18., e la Tavola in fine del Tomo iI.
- ↑ num. 118. 119. 120. [Con più forte espressione sarebbe rappresentato in un basso-rilievo della villa Albani, riportato e spiegato dal signor abate Raffei con una dissertazione particolare tra le sue altre intorno a varj monumenti di quella villa, se fosse veramente un Filottete, e non piuttosto un Genio d’un monte, come lo crede il signor abate Visconti.
- ↑ Ap. Cicer. de Fin. lib. 2. cap. 29.
- ↑ Philostr. Vita Apoll. lib. 2. cap. 22. op. Tom.I. pag. 76. [ Dice Filostrato, che meditava di uccidersi.
- ↑ Tom. IV. Tav. 68. n. 90. Ivi si legge ΑΙΑΣ ΜΑΝΙΩΔΗΣ Ajace impazzato.
- ↑ Descript des pierr. grav. du Cab. de Stosch. cl. 3. sect. num. 294. pag. 384.
- ↑ Aristot. Poet. cap. 15. p. 17. A. op. Tom. IV. ἔστι γὰρ ἀνδρείον μὲν τὸ ἦθος, ἀλλ᾽ οὐχ ἁρμόττον γυναικὶ τὴν ἀνδρείαν ἢ δεινὴν εἶναι [Est enim virorum mos, sed non conveniens mulieri fortem, vel terribilem esse.
- ↑ Vedi Mon. ant. Par. iI. c. 27. p. 196.
- ↑ Anthol. lib. 4. cap. 9. [ Il pensiere di Winkelmann è bello; ma in nessuno dei dieci epigrammi, che sono in questo capo dell’Antologia, si dice, che i figli sorridessero alla madre. Vi si rileva soltanto, che nelle figure di Timomaco rappresentanti Medea in quell’atto d’uccidere i figli, parevano contrastare in lei il furore d’un’omicida, e l’amor di una madre.
- ↑ Monum. ant. num. 145.
- ↑ Vedi qui appresso §. 25. n. b. p. 342.
- ↑ Sveton. in Tiber. cap. 24.
- ↑ Come realmente si prostravano in ginocchio gli antichi benché di alto rango avanti a qualcuno, principalmente per chiedere grazie, così si vedono rappresentati sui monumenti, che ci restano. Nel frammento del Museo di Verona, già di monsignor Bianchini, riportato dal Montfaucon Antiq. expl. Suppl. Tom. IV. pl. 38. pag. 84., e da Foggini Mus. Capit. Tom. IV. Tav. 68. in fine, pag. 256., vi è rappresentato Crise col suo nome sotto, genuflesso avanti ad Agamennone, e degli altri Generali greci in atto di pregarli a restituirgli la figlia, e ad accettare i preziosi regali, che seco avea portati per il di lei riscatto. Priamo, secondo che spiega Winkelmann, nei Monum.ant. Par. iI. cap. 15. num. 134. si rappresenta genuflesso ai piedi di Achille, e in atto di bacciargli la mano, per domandargli il corpo di Ettore suo figliuolo, portandogli perciò molti donativi. Genuflesso si vede parimenti questo sovrano nell’altro basso-rilievo, che Winkelmann riporta al numero 135, e in uno del Museo Capitolino Tom. IV. Tav. 4. In un basso-rilievo sopra un sarcofago di greca scultura, e di molto elegante lavoro, trovato in Pesto, ed ora conservato in Salerno, riportato, e dottamente spiegato dal P. Paoli nella sesta dissertazione della sua egregia opera sulle Antichità di Pesto, viene rappresentato Alessandro il Grande allorché ricevette gli ambasciatori di Nissa, il capo de’ quali genuflesso a’ suoi piedi gli presenta de’ regali, chiedendogli in grazia, che non voglia far danno alla detta sua città; come riferisce Arriano De exp. Alex. Hist. l. 5. princ.; e finalmente in un alto-rilievo del Campidoglio riportato dal Bartoli Admir. Rom. Antiq. Tabula 32. si vedono ai piedi di M. Aurelio alcuni ambasciatori di straniere nazioni, e provincie, de' quali parla Dione Cassio Histor. Rom. lib. 71. cap. 11. pag. 1185.
- ↑ in Pomp. oper. Tom. I. pag. 637. A.
- ↑ Plutarco taccia Tigrane di viltà per questo gettarsi ai piedi di Pompeo, benché volesse darsegli prigioniere. Non potrebbe dirsi, che Tigrane volesse fare un atto d'ossequio a quel vincitore nel modo che si era sempre fatto tra i popoli dell'Asia, come notò il signor Goguet Della Orig. delle leggi, ec. Par. I. Tom. I. lib. VI. capo I. p. 269.?
- ↑ Non ne ha per niente. Voleva forse intendere il nostro Autore o dell'istesso architetto, che mostra di averne un poco; oppure di un altro militare, che sta nell'alto-rilievo dalla parte opposta a quello, di cui egli parla, che è ugualmente alto, e potrebbero dirsi amendue tutto rilievo, non basso.
- ↑ Non è impostura, né lavoro moderno il basso-rilievo del Museo Capitolino riportato nel Tom. IV. Tav.40., ma un lavoro antico, quantunque paja, che non abbia avuta l'ultima mano dall'artista. Vi si rappresenta la combustione di un cadavere; e il dotto espositore di esso crede, che vi sia rappresentata la combustione del cadavere di Meleagro rammentata da Ovidio Metamorphos. lib 8. v. 538. Vi sono alcune donne, che in atteggiamenti diversi mostrano la loro estrema angoscia. Una sta colle braccia alzate in alto, ed ha in volto un'aria molto dolente; un'altra sta vicino al rogo strappandosi con amendue le mani i capelli; e un'altra con uno stilo in petto si ammazza. Quelle, secondo il lodato Foggini, sarebbero le sorelle del defonto; e la terza, Altea sua madre, che disperata di avergli da lei medesima accelerata morte, si uccise; come scrive lo stesso Ovidio vers. 530.:
......Diri sibi conscia facti
Exegit pœnas, acto per viscera ferro. - ↑ Valois, Observ. sur les Méd. de Mezzabarba pag. 151.
- ↑ Il costume ordinario degli antichi Romani di simboleggiare la conquista d’una provincia nelle medaglie, e anche in altri monumenti, era di rappresentare una donna sedente col capo appoggiato al gomito sopra un ginocchio alzato: così viene simboleggiata la conquista della Giudea in tante monete di Vespasiano, e di Tito presso il P. Pedrusi, I Cesari in metallo, ec. Tom. VI. Tav. 11, n. 8., Tav. 121. n. i. 2. 3., Tav. 17. n. 7., e presso Musellio Numism. Ant. T. I. Tab. 34. num. 1. 2.; così la conquista della Germania Tab. 121. n. 6., della Sarmazia Tab. 122. n. 1., dell’Armenia Tab. 128. n. 10.; e della Dacia nel basso-rilievo sotto la statua di Roma trionfante nel palazzo dei Conservatori in Campidoglio. Pure con tutto ciò io non oserei di mettere in dubbio la legittimità della medaglia, di cui parla Winkelmann; poiché ogni giorno vediamo uscir fuori delle medaglie certamente antiche con dei tipi stravaganti, che non si sarebbero mai creduti per lo passato. Altronde abbiamo veduto fin qui quanto sian poco fondate le leggi dell’arte che egli si era ideate per certe contro tutti i monumenti, che abbiamo citati per confutarlo.
- ↑ Troad. v. 411. [ Dopo queste riflessioni Winkelmann poteva aggiugnere ciò che scrive nel Tratt. prelim. cap. IV. p. XLVI. intorno alla sopra citata statua del Museo Capitolino, da lui creduta di Ecuba. „Mi si potrebbe obbiettare, scrive egli, la statua d’una donna attempata nel Museo Capitolino, la quale vedesi in gran commozione, e con la bocca aperta, per figurarla alzare altissime strida, se si fosse meco convenuto, che in essa si rappresenti Ecuba madre di Ettore, ed a mio avviso, quando questa regina vidde precipitare Astianatte dalle mura di Troja. Ma, questa statua, che ho riconosciuto esser Ecuba, non può allegarsi per esempio in contrario di qusl che dico; anzi stabilisce maggiormente la mia opinione, e l’artefice sembra di aver voluto esprimere l’umore inquieto di questa regina, che non potè raffrenare la lingua, e proruppe incontinue invettive contro a’ capi de’ Greci, onde è nata la favola della trasformazione di lei in cane. Lycophr. v. 334., Hygin. Fab. 111'.
- ↑ Longin. De Sublim. sect. 3, pag. 24. Tal vocabolo, che non hanno ben inteso i commentatori, dovrebbe spiegarsi o παρὰ πρέπον, ovvero παρὰ σχῆμα θυρσῲ χρῆσθαι, cioè per l’inopportuno uso del tirso, e principalmente, riguardo alla scena, ove soltanto gli attori tragici soleano portare il tirso. Peranco tal voce indica colui, che nelle cose socco dignis cothurno incedit, cioè troppo ampollosamente esprime le cose. [ Il passo di Longino è chiaramente espresso in questo senso; e benissimo è spiegato anche nella traduzione dell’edizione usata da Winkelmann, che io riporterò per intiero: Huic vicinum est tertium vitii genus, quod in inepta affectuum concitatione versatur, & a Theoodoro Parenthyrsi nomen accepit: quum scilicet vel tragœdiæ aguntur it nugis, ac in rebus parvis illæ dicendi faces adhibentur, quibus auditor incendi solet, atque inflammari, vel quum, ubi mediocritas opus est, modus omnis exceditur. Quod plerumque fieri amat quum veluti dulci declamatione levitatis musto ebrius, non tam propriis, ac negotio convenientibus, quam ineptis suis ipsius affectibus incitatus orator abripitur. Unde accidit, ut pro consternatione, ac stupore, cachinnos irridentium commoveat: quippe qui furore apud sanos, & quasi inter sobrios bacchari violentus videatur.
- ↑ Presso Diogene Laerzio lib. 6. segm. 35. pag. 332.
- ↑ lib. 2. Od. 13. vers. 25. segg.
- ↑ Monum. ant. ined. num. 120.