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n e l l e   v a r i e   f i g u r e , e c. 329

ne, che è pur compresa nell’espressione, sembra piuttosto riferirsi a ciò che accade ne’ movimenti delle membra e dell’intero corpo. Sì dell’una che dell’altra deve intendersi ciò che ha scritto Aristotele delle pitture di Seusi, cioè che esse erano senza ἦθος (senza espressione), il che io meglio spiegherò in appresso1.

[Gli artisti presceglievano di rappresentare le figure in uno stato tranquillo.] §. 2. L’espressione presa in amendue i sensi altera i tratti del volto, il contegno del corpo, e con essi le forme che costituiscono la beltà; e quanto maggiore è questa alterazione, tanto più di bellezza si perde. Perciò lo stato di tranquillità e di riposo, che secondo Platone era lo stato medio fra ’1 dolore e l’allegrezza2, veniva nelle arti considerato come un punto fondamentale. La tranquillità è lo stato proprio della bellezza, come del mare; e ci dimostra diffatti l’esperienza che gli uomini più belli sono eziandio per l’ordinario i più tranquilli e di miglior indole. Richiedesi questa tranquillità non solo nella figura che disegnar si vuole, ma in quello stesso che la disegna e la forma; perchè a mio parere la giusta idea d’una sublime bellezza prodursi non può fuorché nella mente d’un’anima quieta, e da ogni altra particolare immagine sgombra. In oltre la tranquillità e ’1 riposo sì degli uomini che degli animali è quello stato, in cui meglio possiamo conoscerne e rappresentarne l’indole e le proprietà, come il fondo del mare e de’ fiumi allor solo scopriamo che tranquille sono o placide scorron l’onde.

[...a cui pur talora univano l'espressione.] §. 3. Ma poiché nelle azioni la piena tranquillità e l’indifferenza non hanno luogo, e le stette figure divine vengono rappresentate sotto umane forme e cogli umani affetti; quindi è che non sempre dee cercarsi in loro la più sublime idea della beltà. Quella allora vien compensata dall’espressione. Gli antichi artisti però non la perdevano mai di mi-

Tom. I. T t ra;


  1. Vedi p.204. n. b. e libro IX. in fine.
  2. Plat. De Repub. lib. 9. pag. 584. princ.