Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. I)/Libro quinto - Capo II

Libro quinto - Capo II

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C a p o   II.


Della bellezza nelle figure femminili - Dee maggiori — Venere... Giunone... Palude... Diana... Cerere... Proserpina... Ebe -Dee minori - Grazie... Ore... Ninfe... Muse... Parche... Furie... Garzoni - Beltà delle Amazzoni... e delle Larve muliebri - Conclusione.

Della bellezza nelle figure femminili. Nelle figure femminili la bellezza non ha sì diverse forme e sì varj gradi, come nelle virili; anzi generalmente altra differenza non v’è, fuor di quella che proviene dall’età. Ove si trovino insieme rappresentate dee ed eroine, vedesi del pari sulle membra d’amendue quel pieno e rotondo che è proprio del bel sesso; e gli artefici avrebbono dato nell’eccessivo, se avessero voluto indicare nelle eroine alcune parti più fortemente che non conviene al sesso loro. Indi è che, trattando della femminile bellezza, poche cose ci si offrono da osservare, e più limitato e facile è lo studio dell’artista; e quasi direbbesi che nel foggiare il sesso femminile meno lavoro abbia a fare la natura stessa, che nel formare il virile, dacché meno maschi che femmine essa produce1.

§. 1. Evvi pur un’altra ragione per cui sì lo ideare che l’imitare la beltà naturale nelle statue femminili delle dee e delle eroine, men difficil cosa riesce e men faticosa; ed è che per la maggior parte esse rappresentansi vestite, [p. 314 modifica]siccome meglio osserveremo più sotto, trattando de’ panneggiamenti; laddove ignude sono per lo più le statue del nostro sesso.

§. 2. Osservisi che, ov’io parlo del somigliarsi che fanno tra di loro le figure muliebri ignude, intendo di parlare della sola corporatura, senza che quindi abbia a conchiudersi che pur si somigliano ne’ caratteri distintivi della testa, i quali in ciascheduna sì delle dee che delle eroine vengono particolarmente indicati. Ciò è sì vero che, ove pur loro si togliessero gli usati attributi, nulladimeno ai tratti del volto proprj ad ognuna sarebbono riconoscibili; poiché gli antichi artefici si insidiarono di combinare insieme nelle sembianze femminili i caratteri particolari e proprj ad ogn'individuo colla più sublime avvenenza, a segno d’indicarli per fino nelle Larve o Maschere muliebri. Noi ne esamineremo singolarmente i tratti caratteristici, cominciando dalle dee maggiori.

Dee maggiori. Venere... §. 3. Venere occupar deve il primo luogo fra le dee, e come dea della bellezza, e perchè (tranne le Grazie, le Stagioni, e le Ore) è la sola che si rappresenti ignuda2, e per essere stati più frequentemente delle altre e in varie età effigiata. La Venere de’ Medici a Firenze3 è simile alla rosa, che esce fuor dalla buccia al primo apparir del sole dopo una bella aurora; e par che senta quell’età, in cui le membra prendon una più compiuta forma, e comincia il seno a sollevarsi. Io mi figuro di vedere in lei quella Laide, cui Apelle iniziava ai misterj d’amore4, e me la immagino appunto quale dovette per la prima volta esporsi ignuda al di lui sguardo. E’ nella stessa attitudine una Venere del museo Capitolino5 serbatasi meglio che tutte le altre statue [p. 315 modifica]di questa dea, poiché, eccetto qualche dito che le manca, non è punto guasta6: tale è pure altra statua, la quale è copia fatta da Menofanto d’una Venere che stava presso Troade7, siccome scorgesi all’incisavi epigrafe.

ΑΠΟ ΤΗС
ΕΝΤΡΟΑΔΙ
ΑΦΡΟΔΙΤΗС
ΜΗΝΟΦΑΝΤΟС
ΕΠΟΙΕΙ

§. 4. Queste due statue la rappresentano in una età più matura, e più grandi sono che la Venere de’ Medici. Le belle forme dell’adolescenza femminile, che in quella si scorgono, ammiransi pure nella Teti seminuda della villa Albani rappresentata in quell’età in cui sposò Peleo.

§. 5. Venere celeste, quella cioè che di Giove e dell’Armonia è figlia, diversa dall’altra che da Dione nacque, distinguesi per un diadema simile a quello, ch’è proprio a Giunone. Porta pure quello diadema Venere Vittrice, di cui una statua, che posa un piede fu un elmo, fu disotterrata nel teatro dell’antica città di Capua, e sta ora nel real palazzo di Caserta; essa è bellissima, se non che le mancano le braccia.

§. 6. In alcuni bassi-rilievi, che rappresentano il rapimento di Proserpina, e singolarmente nella più bella delle due urne esistenti nel palazzo Barberini, ha così cinto il capo di diadema una Venere vestita, la quale in compagnia di Pallade, di Diana, e di Proserpina medesima sta cogliendo fiori ne’ prati dell'Enna in Sicilia. Tal fregio di capo è [p. 316 modifica]stato pure attribuito a Teti nella pittura d’un bel vaso di terra cotta esistente nella biblioteca Vaticana8.

§. 7. Sì questa Venere, che la prima, ha negli occhi dolcemente aperti quel lusinghiero ed affettuoso, che i Greci chiamavano ὑγρὸν, come dirò più sotto. Un tal guardo però è ben lontano da que’ tratti indicanti lascivia, coi quali alcuni moderni artisti hanno creduto di caratterizzare le loro Veneri. L’Amore dagli antichi maestri, come dai più ragionevoli filosofi di que’ tempi consideravasi, per valermi dell'espressione d’Euripide, come il consigliere della saggezza: τῇ σοφίᾳ παρέδρους ἔρωτας9.

§. 8. Quando io dissi pocanzi non trovarsi altre dee ignude, fuorché Venere, le Grazie, e le Ore, non fu già mio pensiere d’asserire che Venere si rappresentasse costantemente ignuda. Vestita era la Venere di Prassitele a Gnido10; vestita è una bella statua di questa dea, che dianzi vedeasi nel palazzo Spada in Roma, e fu poscia trasportata in Inghilterra; e vestita è pur la di lei figura in basso-rilievo fu uno dei due bei candelabri11, esistenti una volta nel palazzo Barberini, e che ora appartengono allo scultore Cavaceppi12.

Giunone. §. 9. Giunone, oltre il diadema rialzato a modo di collina, è riconoscibile agli occhi grandi e alla bocca imperiosa, i cui tratti sono sì particolarmente proprj a questa dea, che da un semplice profilo rimastoci d’una testa muliebre in un guado cammeo del museo Strozzi, pei tratti della bocca giudicar si può sicuramente esser quella una Giunone. La [p. 317 modifica]più bella testa di questa dea di grandezza colossale sta nella villa Lodovisi13, ov’è pure altra più piccola testa della medesima, che merita il secondo luogo. La sua più bella statua è nel palazzo Barberini14.

Pallade. §. 10. Pallade e Diana hanno sempre un aspetto serio15: quella principalmente è l’immagine del pudor virginale, scevra d’ogni debolezza del sesso, e sembra aver domato l’amor medesimo. Indi è che gli occhi di Pallade servono ad ispiegare quel nome che avean le pupille sì presso i Greci, che presso i Romani. Questi chiamaronle pupillæ, cioè fanciulline, e quelli κόραι, che suona lo stesso16. Ha essa gli occhi meno tondeggianti, e meno aperti che Giunone: non solleva la testa orgogliosa, ed ha modesto lo sguardo, come chi tranquillamente medita. Tale però non è la testa di Pallade porta per simbolo di Roma, ove qual dominatrice di molti regni mostra nell’atteggiamento una franchezza e superiorità da sovrana, ed ha, siccome Pallade aver lo suole, il capo armato d’elmo. Deggio qui però osservare che quella dea sulle greche monete d’argento della città di Velia in Lucania, ove ha un elmo alato, tiene ben aperti gli occhi; e lo sguardo o mira orizzontalmente, o tende all’alto. Essa ha generalmente i capelli annodati a molta distanza dal capo, i quali poscia sotto il legame, or più or meno presso, [p. 318 modifica]pendono in lunghi ricci paralleli. Forse da quella acconciatura de’ crini a lei propria ha preso Pallade il soprannome poco conosciuto di παραπεπλεγμένα. Polluce, spiegando quella voce con quell’altra ἀναπεπλεγμένα, non ce ne dà una più chiara idea; ma probabilmente quell’epiteto indica la maniera particolare di legar le chiome: maniera, che ha pur voluta spiegare il mentovato scrittore. E’ anche verosimile che l’aver quella dea i capelli più lungi delle altre sia il solo fondamento per cui sulla sua chioma giurar si solea. Si trova, sebben di raro, qualche volta Pallade tenente la destra sul capo armato d’elmo, qual vedesi presso al Giove sedente in cima alla facciata del tempio di quello dio, sul basso-rilievo del sagrifizio di M. Aurelio in Campidoglio, e su un medaglione d’Adriano nella biblioteca Vaticana17.

Diana. §. 11. Diana piucchè ogn’altra delle dee maggiori ha la figura e le sembianze d’una vergine, che essendo dotata di tutte le attrattive del suo sesso sembra ignorarle. Non ha però umile e piegato a terra lo sguardo, come Pallade, ma libero, franco, gioviale, quasi intento alla caccia, sua piacevole occupazione, e quale appunto si convien ad una dea che per lo più rappresentasi in atto di correre, cioè diretto orizzontalmente in guisa che passando sui vicini oggetti tenda a’ più lontani. I suoi capelli sono d’ognintorno della testa ripiegati in su, e di dietro, alla maniera delle fanciulle, legati sopra la collottola come in un gruppo o nodo, senza diadema, e senza quegli altri attributi o fregi, che le furono dati ne’ tempi posteriori. La sua figura è più svelta, ed ha membra più pieghevoli che Giunone o Pallade; cosicchè Diana mutilata si riconoscerebbe fra tutte le altre dee, come Diana stessa presso Omero fra tutte le sue belle Oreadi distinguevasi. Per lo più non ha che una succinta veste, la quale [p. 319 modifica]non le oltrepassa il ginocchio; ma talora è pure effigiata in veste lunga18, ed è la sola dea che in alcune sue figure porti scoperta la destra mammella.

Cerere. §. 12. Cerere in nessun luogo è stata effigiata con sì belle sembianze, quanto in una moneta argentea della città di Metaponto nella Magna Grecia, esistente nel museo del duca Caraffa Noya a Napoli. Nel rovescio vi sono, secondo il solito, impresse delle spiche di frumento, sulle cui foglie posa un sorcio. Essa ha qui, come su altre monete, il manto tirato di dietro sulla veste; e porta intrecciato fra le spiche e le foglie un diadema elevato alla maniera di Giunone, coperto in parte dai capelli, che ha graziosamente sciolti e sparsi sulla fronte: il che forse ne esprime il dolore per la rapita sua figlia Proserpina.

Proserpina. §. 13. Le città della Magna Grecia e della Sicilia sembrano essersi molto studiate di dare sulle loro monete, sì alla madre che alla figlia delle due testè mentovate dee, la più sublime bellezza; e difficilmente si troveranno, eziandio pel conio, monete più belle di alcune siracusane, rappresentanti una testa di Proserpina, e nel rovescio un vincitore su una quadriga. Quelle monete avrebbon dovuto esser meglio disegnate e incise nella collezione del museo di Pellerin19. Si vede in esse Proserpina coronata di frondi lunghe e appuntate simili a quelle che ornano insieme alle spiche la testa di Cerere; e quindi le credo foglie dello stelo del grano, anziché di canna palustre, quali furono giudicate da alcuni scrittori, che perciò s’avvisarono di vedere in quelle monete l'effigie della ninfa Aretusa.

Ebe. §. 14. Rarissime fra le figure delle dee sono quelle di Ebe. Se ne vede soltanto il busto su due bassi-rilievi; e su uno [p. 320 modifica]di questi, in cui rappresentasi l’espiazione d’Ercole20, esistente nella villa Albani, v’è scritto il di lei nome. Una simil figura si vede fu una gran tazza di marmo nella villa medesima. Tali figure però, essendo senza gli attributi proprj ad Ebe, non bastano a darcene una ben chiara idea. Su un terzo basso-rilievo nella villa Borghese21, vedesi quella in atto supplichevole, dopo che era stata privata del ministero, conceduto poscia a Ganimede: abbenchè non abbia ivi nessun attributo che la distingua, pur è facilmente riconoscibile dal tutt’insieme della rappresentazione22. Essa ha la veste alto-succinta, all’uso de’ fanciulli destinati al servizio delle mense e dei sagrifizj, detti Camilli23; e a quell’indizio dalle altre dee agevolmente distinguesi.

Bellezza delle dee minori ... §. 15. Fra le dee minori e subalterne io tratterò qui solo delle Grazie, delle Ore, delle Ninfe, delle Parche, delle Furie, e delle Gorgoni.

Grazie §. 16. Negli antichi tempi le Grazie, siccome Venere stessa, di cui sono le ninfe e le compagne, rappresentar soleansi interamente vestite; ma non è pervenuto fino a noi, ch’io sappia, se non un antico monumento, in cui così vestite si veggono, cioè la più volte mentovata ara triangolare della villa Borghese. Tra le figure ignude delle Grazie reputansi le più belle, le meglio conservate, e le più grandi, avendo la metà della grandezza naturale, quelle del palazzo Ruspoli; e siccome quelle hanno ancora le teste loro antiche e proprie (laddove recenti sono e di niun pregio nelle Grazie della villa Borghese), cosi possiamo su di esse portar giudizio, e darne una giuda idea. Tali teste sono senz’alcun fregio, ed hanno con un cordoncino legate intorno al [p. 321 modifica]capo le chiome, le quali in due delle suddette figure si uniscono, e s’annodano didietro sul collo. Hanno un’aria fra l’allegrezza e la serietà, esprimente quella tranquilla contentezza che è propria dell’età innocente.

Ore... §. 17. Seguaci e compagne delle Grazie sono le Ore, Ὧραι24, cioè le dee delle stagioni e della bellezza, di Giove figlie e di Temi25, e secondo altri poeti figlie del Sole. Ne’ più antichi tempi dell’arte rappresentavansi quelle in due sole figure26, quindi se ne fecero tre27, poiché in tre parti divideasi l’anno, cioè in primavera, autunno, e inverno28, e chiamavansi Eunomia, Dice, ed Irene29. Generalmente vengono rappresentate in atto di danzare sì dai poeti, che dagli artisti, e da questi per lo più si dà loro un’età uniforme. Breve esser suole l’abito loro, quale conviensi a danzatrici, e giugne appena alle ginocchia: hanno il capo coronato con foglie di palma voltate all’insù e diritte, quali veggonsi sulla base triangolare della villa Albani30. Quando in seguito fu diviso l’anno in quattro stagioni, s’introdusse pure una quarta Ora dagli artefici, come appare da un’urna sepolcrale della mentovata villa31. Qui però rappresentate sono in età differenti, in veste lunga, senza corona di palma: la prima indicante la primavera sembra un’innocente donzella, in quell’età che un greco epigramma32 chiama dell’Ora di primavera; e le altre tre in età gradatamente più avanzata. Ove però, come nel celebre basso-rilievo della villa Borghese, veggonsi più figure danzanti, son quelle le Ore in compagnia delle Grazie.

[p. 322 modifica] Ninfe.. §. 18. Perciò che riguarda le Ninfe, ognuno degli dei maggiori avea le proprie, e a quelle aggregare pur si possono le Mufe, come Ninfe d’Apollo. Le più conosciute però sono quelle di Diana, odia le Oreadi, le Ninfe degli alberi chiamate Amadriadi, le Ninfe del mare, cioè le Nereidi, e con esse le Sirene33.

Muse... §. 19. Le Muse, che rappresentate veggonsi su molti antichi monumenti, hanno atteggiamenti, positure, ed azioni molto diverse. Melpomene, Musa tragica, anche senza i proprj attributi, pure agevolmente si può distinguere da Talia, Musa della commedia: e questa, per tacer delle altre, distinguesi da Erato e da Tersicore, Muse del ballo. Alla proprietà caratteristica di queste due ultime Muse non hanno posto mente coloro, i quali della famosa statua del palazzo Farnese leggermente vestita, e alzantesi colla destra la tunica alla foggia delle danzatrici, si sono avvisati di farne una Flora (sotto il cui nome oggidì è conosciuta) coll'aggiungervi nella sinistra mano una corona. Nello stesso modo, senza fare molte ricerche, si è dato il nome di Flora a tutte le figure muliebri che hanno coronato di fiori il capo. Io so ben che i Romani aveano una dea Flora34; ma so altresì che tal dea fu ignota ai Greci, de’ quali son lavoro le mentovate statue. Or siccome vi sono molte statue di Muse maggiori dell’umana grandezza, ed una di queste, cangiata poscia ia un’Urania35, sta nel palazzo medesimo; così io tengo per fermo che la pretesa Flora sia piuttosto una statua di Erato o di Tersicore, che della dea de’ fiori36. Riguardo alla [p. 323 modifica]Flora del museo Capitolino37, coronata di fiori, non iscorgendo punto in lei una bellezza ideale, la credo piuttosto l’immagine di qualche bella donna che siasi fatta rappresentare sotto la forma d’una dea delle stagioni, e segnatamente della primavera espressa nel serto de’ fiori38. Nella descrizione delle statue del mentovato museo non avrebbe dovuto indicarsi che quella figura teneva in mano un mazzo di fiori, poichè sì i fiori che la mano sono un moderno restauramento.

Parche... §. 20. Le Parche, le quali da Catullo39 vengonci descritte quali vecchie curve, con membra tremanti, grinze nel volto, e severe nello sguardo, sono tutto l’opposto in più d’uno degli antichi monumenti40. Esse trovansi generalmente espresse nella morte di Meleagro, e son belle fanciulle, ora con le ali al capo, or senza, distinguendosi fra di loro pei singolari attributi. Una di esse viene costantemente effigiata in atto di scrivere su un rotolo. Talora non vi sono che due Parche, e in due sole statue appunto erano rappresentate nell’atrio del tempio d’Apollo a Delfo41.

Furie ... §. 21. Anche le Furie vengono rappresentate quali avvenenti fanciulle, chiamate da Sofocle sempre-vergini, ἀεὶ παρθένους, e talora hanno de’ serpenti intorno al capo, Si vedono le Furie angui-crinite, con faci accese nelle mani, e con braccia ignude contro di Oreste armato fu un vaso di terra cotta della collezione Porcinari, pubblicato nella seconda Parte de’ vasi Hamiltoniani. Cosi giovani e belle vengono rappresentate quelle vindici dee su varj bassi-rilievi in Roma, ove la stessa vicenda di Oreste si figura.


[p. 324 modifica] Gorgoni. §. 22. Le Gorgoni nominate da me in ultimo luogo fra le dee minori, tranne la testa di Medusa, non si trovano espresse su nessun antico lavoro. Il loro sembiante però nelle opere dell’arte non dovea punto corrispondere alla descrizione che ce ne danno i più antichi poeti, i quali attribuiscono loro lunghi denti da cinghiale; poiché a Medusa, una delle tre sorelle, solevano dare gli artefici i tratti della più sublime bellezza, e tal pure ci viene rappresentata dalla favola. Era quella, secondo la tradizione di alcuni riferita da Pausania42, figlia di Forco: regnò dopo la morte del padre nei dintorni della palude tritonica, e si pose alla testa dell’esercito de’ Libj; ma nella spedizione contro Perseo, cadde in un’imboscata, e perì: e quest’eroe ammirandone la bellezza, ancorché coperta dal pallore di morte, le recise il capo per mostrarlo ai Greci. La più bella testa di Medusa in marmo, che siaci restata, vedesi in mano alla statua di Perseo in molta parte restaurata, nel palazzo Lanti43: una delle più belle, che veggansi sulle gemme, è un cammeo del real museo Farnese a Napoli: bella è pure un’altra testa incisa in corniola del museo Strozzi: amendue sono della più sublime beltà ideale, come pur lo è la celebre Medusa dello stesso museo col nome di Solone44. E’ quella una calcedonia, e fu trovata a Roma in una vigna presso la chiesa de’ Ss. Giovanni e Paolo sul monte Celio da un vignaiuolo45.

Amazzoni ... §. 23. Alle dee io unisco, come immagini di bellezza ideale, le eroine ossia le Amazzoni, le figure delle quali sono [p. 325 modifica]talmente somiglievoli fra di loro ne’ capelli e nelle sembianze del volto, che sembrano tutte fu uno stesso modello lavorate46. Si scorge sul volto loro un’aria severa, mista di turbamento e di dolore; poiché tutte le loro statue hanno una ferita nel petto: ferita che, a mio parere, si sarà pur veduta su quelle delle quali non altro più rimane che la testa47. Le sovracciglia sono indicate da un rialzamento acuto; e poiché tal maniera di segnarle è una proprietà del più antico stile dell’arte, come più sotto dimostrerò, così potrebbe conghietturarsi che l’Amazzone di Ctesilao, la quale ottenne il premio a preferenza di quelle di Policleto e di Fidia48, abbia servito d’esempio e di modello agli artisti posteriori. Ciò ignorarono probabilmente coloro, i quali hanno restaurate le due Amazzoni di grandezza naturale esistenti nel museo Capitolino; poiché né l’antica testa dell’una, né la testa moderna dell’altra sono ben adattate alle statue. Questa osservazione avrebbe potuto dar de’ lumi circa una testa particolare d’un’Amazzone al signor Petit49, il quale non osa decidere se la testa coronata d’alloro su una moneta di Mirina, città dell’Asia Minore fabbricata dalle Amazzoni, una di queste eroine rappresenti, o piuttosto un Apollo. Ho già dimostrato altrove, né vuò qui ripeterlo, che a nessuna figura delle Amazzoni manca la destra mammella50.

[p. 326 modifica] Larve. §. 24. Parlando della bellezza ideale muliebre non deggio ommettere di far menzione delle Larve ossia Maschere di questo sesso, che sono effigiate con tratti della più sublime bellezza, eziandio su opere mediocri, e nominatamente su un trionfo di Bacco esistente in una sala del palazzo Albani, ov’io non so saziarmi di rimirarvi le due che vi sono: queste potrebbono refutare l’opinione di coloro, che si sono figurate tutte brutte e terribili le sembianze delle Maschere antiche.

Conclusione. §. 25. Terminiamo così opportunamente colle Larve (al cui nome si suole in noi destar l’idea di oggetto finto) questo esame della bellezza; avendo percorso dagli oggetti i più belli e i più sublimi fino a quelli che per le arti del disegno i meno degni pareano di considerazione; onde possa meglio intendersi la conseguenza, che dalle nozioni universali del bello noi ricaviamo. Non vi sono forse in tutta l’opera ricerche ed osservazioni che, al pari delle esposte in questo Capo, possano farsi più generalmente dalla maggior parte de’ leggitori; poiché giudicar ne possono coloro eziandio che sono lontani dai tesori dell’antichità: laddove le ricerche spettanti l’espressione, l’azione, il vestito, e lo stile a que’ soli appartengono che hanno sott’occhio gli antichi monumenti. Diffatti della bellezza sublime e maestà, che ammiransi nelle teste degli dei, ognuno può agevolmente formarsene un’idea sulle monete, sulle gemme, e ben anche sulle figure impresse in rame, le quali hannosi pure in que'paesi ove giammai non giunse lavoro di greco scarpello. Il Giove delle monete di Filippo il Macedone, del primo de’ Tolomei, e di Pirro non è punto inferiore per la maestà alle sue statue e figure in marmo. Non si può immaginar nulla di più bello che la testa di Cerere sulle monete d’argento della città di Metaponto nella Magna Grecia, e la testa di [p. 327 modifica]Proserpina su due simili monete di Siracusa. Potrei addurne moltissimi altri esempj sì di monete che di gemme.

§. 26. Nelle figure delle divinità non s’incontra mai un’idea bassa e volgare. Si osserva altresì che ad ognuna di esse hanno i greci artisti date sembianze particolari e costanti, di maniera che direbbesi esser ciò loro stato da una legge prescritto. Il Giove sulle monete jonie o doriche è a quello delle monete siciliane perfettamente simile. Le teste di Apollo, di Mercurio, di Bacco, di un Liber Pater, e sì del giovane che del vecchio Ercole hanno le stessissime sembianze sulle monete, e sulle gemme, come sulle statue. Sappiamo diffatti, che agli artefici serviano di norma e quasi d’un modello legale le più belle figure degli dei foggiate dai più grandi maestri, ai quali credeasi che le divinità medesime mostrate si fossero, perchè più simile all’originale, e più bella riuscisse l’immagin loro. Così vantavasi Parrasio che Ercole fosse a lui comparso in quelle sembianze appunto in cui egli avealo dipinto; e probabilmente ciò ebbe di mira Quintiliano51, quando disse, che la mano di Fidia sembrava accrescere un non so che di venerazione alla statua di Giove da lui scolpita52. La più sublime bellezza però, come dice Cotta presso Cicerone53, non è stata data in egual grado a tutti gli dei: né ciò esser poteva, come non possono dipingersi in un buon quadro molte figure, tutte della più eccellente avvenenza; né possono tutti gli attori d’una buona tragedia figurare da grandi eroi.

Note

  1. Giusta le moltiplici osservazioni de' moderni Fisici i parti maschili, anzichè più scarsi di numero, eccedono i femminili. Il rapporto di quelli a questi si trova essere in ragione di 21. a 20; e a tale di un dipresso è il rapporto della longevità delle femmine rispetto a quella de’ maschi. Gaeta Discorso prelimin. alla dottr. degli azzardi del Moivre. [ Così si osserva anche negli atti della Reale Accademia di Svezia, anno 1754. Tom. XVI. p. 256., e anno 1755. T. XVII. pag. 245. e da Büsching Nuova Geografia Tom. I. §. 61. pag. 81. Antologia Romana anno 1783. n. 32. pag. 263. Pare però che debba procedere soltanto per l'Europa; perocchè di altre parti fecondo la relazione di viaggiatori degni di fede, ha notato il Genovesi Lezioni di Comm. ec. Par. I. cap. 5. §. 27., che nascano più femmine.
  2. E Diana pure, come prova il signor abate Visconti Museo Pio-Clementino T. I. Tav. 10. pag. 17. not. b.
  3. Gori Mus. Flor. Stat. Tab. 26. seqq.
  4. Ateneo lib. 13. cap. 6. pag. 588. D.
  5. Museo Capitol. Tom. iiI. Tav. 19.
  6. Le mancava parimente il naso, che, per esserle stato restaurato con poca maestria, le fa perdere molto della sua bellezza.
  7. Fu cavata in Roma alle falde del monte Celio dal march. di Cornovaglio, e da lui posseduta anche al presente. Ne parla anche Foggini Museo Capitol. Tom. IV. Tav. 68. pag. 392., ove ne dà la figura.
  8. Monum. ant. num. 131.
  9. Eurip. Med. vers. 843. [Si può vedere Ateneo lib. 13. cap. 2. pag. 561., ove molto a lungo si diffonde per provare che gli antichi Greci non si aveano formata un’idea disonesta di Venere, e di Amore.
  10. Plin. lib. 36. cap. 5. sect. 4. §. 5. [ Scrive Plinio, che quella di Coo era vestita; e quella di Cnido era nuda; quale infatti si vede anche sulle monete di quell’isola, due delle quali possono osservarsi riportate da! signor abate Visconti Museo Pio-Clementino T. I, Tav. a. ove spiega per copie di quella famosa statua, la bellissima del Museo medesimo nella Tavola 2., e due altre che vi sono, meno belle: onde non potrà più godere di quest’onorc la detta Venere dc’ Medici, come taluno ha creduto presso Lanzi al luogo più volte citato, fjg. 171.
  11. Monum. ant. num. 30.
  12. Vedi sopra pag. 177. not. h.
  13. V'è chi dubita con qualche ragione, che possa essere d’Iside.
  14. Al presente nel Museo Pio-Clementino. Si veda la figura nel T. I. Tav. 2. di esso, e le dotte osservazioni, che vi fa sopra il signor abate Visconti. Egli crede fra le altre cose, che l’ornamento in capo di Giunone sia quello detto σφενδόνη fionda, per qualche rassomiglianza, che ha colla medesima. Questa opinioni^ però non toglierà mai, che non possa anzi con più ragione dirli σϕενδόνη, secondo la descrizione, che ne da Eustazio ad Dionys. Perieg. vers. 7. riferita dallo stesso signor abate Visconti, l’ornamento, che ha in capo Leucorea nel basso-rilievo di villa Albani, come lo spiega il nostro Autore sopra p. 183., e Monum. ant. Part. 7. cap. 12. 77., perchè più precisamente rassomiglia alla fionda, che quello di Giunone; e rassomiglia così anche all’anello colla pietra, che σϕενδόνη parimente chiamavasi dai Greci per la stessa forma, come ha in parte notato anche Winkelmann sopra pag. 34. §. 23.
  15. Pallas, & asperior Phœbi soror, utraque telis,
    Utraque torva genis, flavoque in vertice nudo.

    Stat. Theb. lib. 2. v. 237.

  16. Tollius, & Langbænius Not. ad Longin. de Sublim. sect. 4. p. 33. n. 21. & 22. [Plutarco De Vitioso pudore, princ., op. Tom. iI pag. 528. E.
  17. Venut. Antiq. Numism. max. mod, &c. Vol. I. Tab. XI.
  18. Tale è quella del Museo Pio-Clementino Tom. I. Tav. 30., già della villa Panfili. Nella Tavola 31. se ne vede una succinta anche di buon lavoro.
  19. Rec. de Med. des peupl. &t des villes, Tom. iiI. pl. 111. pag. 112.
  20. Illustrato già dal dotto P. Corsini con una lunga dissertazione.
  21. Monum. ant. num. 16.
  22. Si riconosce molto bene in quest’atto su di un bel basso-rilievo in un sarcofago del Museo Pio-Clementino.
  23. Dionisio Alic. lib. 2. cap. 22. pag. 90. lin. 15. Vegg. Amaduzzi Monum. Matthæj. Tom. I. Tab. 66. pag. 63.
  24. Pausania lib. 2. c. 17. p. 148. lin. 20.
  25. Esiodo Theog. vers. 901., Pindaro Olymp. 13. v. 6. segg., Diodoro lib. 5. §. 72. pag. 388.
  26. Paus. lib. 3. c. 18. p. 255. lin. 22., lib. 8. cap. 31. pag. 664. lin. 32.
  27. Esichio V. Ζεῦγος.
  28. Aristofane in Avib. vers. 710. Vedi Aleandro Expl. Tabulæ Heliacæ, §. Quatuor anni tempora, nel Thes. Antiq. Rom. Grævii Tom. V. col. 732. segg.
  29. Fornuto De Nat. Deor. cap. 29., Esiodo, Pindaro, Diodoro ll. cc.
  30. Monum. ant. num. 47.
  31. Ibid. num. 111.
  32. Anthol. lib. 7. num. 89. vers. 2.
  33. Veggasi il signor abate Amaduzzi Monum. Matthæj. Tom. iiI. cl. 10. Tav. 53. fig. 1. pag. 95. segg.
  34. Può vedersi monsignor Bottari Museo Capitolino Tom. iiI. Tav. 45. pag. 92. segg., che lo prova diffusamente.
  35. È sempre stata coi simboli di Urania, e tale provata das signor abate Visconti Museo Pio-Clement. Tom. I. Tav. 25. p. 49.
  36. Essendo questa, statua nello nello stesso atteggiamento della figura sul candelabro già di Barberini, ora del Museo Pio-Clementino, poteva il nostro Autore crederla una Venere, come sopra pag. 177. e 316. ha creduta quella, e come è stata chiamata da altri, e ultimamente sulla tavola in rame, che ne ha fatto il Piranesi. Questi però ha usata la cautela di chiamarla Venere, o la Speranza, quale con più probabilità potrebbe stimarsi egualmente che la figura del detto candelabro, secondo ciò che abbiamo detto alla cit. p. 177.
  37. cit. Tom. iiI. Tav. 45.
  38. Il signor abate Visconti l. cit. Tav. 24. pag. 47., la crede con migliori ragioni la Musa Polinnia.
  39. Carm. 61. vers. 302.
  40. Sull’arca di Cipselo vi era la Morte con lunghi denti, e unghie più grandi di qualunque fiera. Paus. lib. 5. c. 19. p. 425. in fine.
  41. Paus. lib. 10. cap. 24. p. 858 lin. 27.
  42. lib. 2. cap. 21. pag. 159. lin. 9.
  43. Più bella di tutte e quella del palazzo Rondanini d’alto-rilievo in marmo bianco, ove già si vedeva ai tempi di Winkelmann. Altra testa maggiore del naturale, non osservata, si può vedere su di un portone per la strada papale vicino a S. Tommaso in Parione. Essa è di buon lavoro in marmo bianco, in aria ridente, ma caricata.
  44. Bellissima è pure una Medusa in cammeo a rilievo, posseduta dal signor abate Visconti.
  45. Qui di Editori Milanesi hanno lasciato due periodi, nei quali l’Autore racconta come questo cammeo passò per varie mani; e che il primo possessore, volendo d'inverno farne un impronto incera, lo ruppe in due pezzi. Ma ciò sarà avvenuto di qualche altro cammeo, non di quello di Strozzi, che è qui intiero.
  46. Le Amazzoni che sono rappresentate sulla facciata del sarcofago nel Museo Capitolino, Tom. IV. Tav. 33., hanno i capelli annodati; e quelle che sono sedenti sul coperchio gli hanno sparsi sulle spalle.
  47. Una delle più belle statue rappresentanti Amazzoni veduta, e citata dal nostro Autore nel luogo dei Monumenti antichi, al quale rimanda qui appresso, è quella già della villa Mattei, ora del Museo Pio-Clementino. Non ha ferita alcuna né in petto, nè in verun’altra parte, nè ha in volto aria mesta e dolente, come tante altre; ma piuttosto di guerriera animosa. Può vedersene frattanto la figura presso Maffei Statue antiche Tav. 109., nei Monum. Matthæj. Tom. I. Tab. 60., e in altra tavola molto meglio incisa dal Piranesi. Il detto Maffei, come rileva anche Winkelmann al luogo citato, pag. 102. ha traveduto dicendo, che a quella statua mancava la mammella destra, e così facendole incidere.
  48. Plinio lib. 34. cap. 8. sect. 19. dà anzi la preferenza prima a quella di Policleto, il secondo luogo a quella di Fidia, e nel terzo luogo mette quella di Ctesilao.
  49. De Amaz. cap. 33. pag. 259.
  50. Monum. ant. Part. iI. cap. 18. p. 184. [Può vedersi anche Bottari Mus. Capitol. Tom. iiI. Tav. 46. pag. 95. segg., Foggini Tom. IV. Tav. 33. pag 113. segg.
  51. Cujus pulchritudo adjecisse aliquid etiam receptæ religioni videtur. Quintil. Inst. lib. 12. cap. 10. pag. 894. in fine.
  52. Leonide nell’Anthol. lib. 1. c. 12. n. 59. diceva di Prassitele, che avea fatto Amore in Tespi quale lo aveva veduto presso la meretrice Frine; e n. 65. Parmenione diceva lo stesso della Giunone fatta da Policleto, che fatta l’avesse nelle forme vedute in quella dea. Era quello un modo d’encomiare un’opera al più possibile, dicendo che corrispondeva al carattere, e dignità dell’originale.
  53. De Nat. Deor. lib. 1. cap. 29.